Conversare di emozioni
Quali fasi è importante seguire per poter conversare di emozioni?
È importante prima di tutto che il libro sia adeguato per suscitare l’interesse del bambino. Però i libri non devono coinvolgere troppo i bambini, non devono avere un impatto emotivo troppo forte, perché altrimenti sono così dentro la storia che provano empaticamente le emozioni dei personaggi (l’aorusal si alza) e quindi è difficile che raggiungano quel piccolo distacco per poter conversare di emozioni. Se il bambino prova la stessa paura o rabbia dei personaggi le zone emotive del suo cervello sono troppo attivate, e quindi si deve aspettare che l’arousal diminuisca prima di poter iniziare una riflessione razionale sue quelle emozioni. E infatti i disegni di Ciro e Beba sono molto delicati per non far coinvolgere troppo i bambini. Poi è importante che il bambino comprenda la storia, prima di poter parlare di emozioni, quindi che riesca a familiarizzare e ad appropriarsi della storia. Poi è importante che l’educatrice sia attenta ai bisogni del bambino (e quindi non sia troppo preoccupata di assolvere la funzione di parlare di emozioni). Poi ci si focalizza sugli aspetti materiali della storia, e solo in seguito si comincia a spostare il focus sulle espressioni delle emozioni -> si parte con ciò che i bambini possono osservare delle emozioni (espressioni, comportamenti ecc).
Esempio: Ciro e Beba giocano a nascondino. Ciro ha paura e si nasconde dietro un cespuglio e chiama Beba. Beba lo prende per mano e lo porta in garage dove c’è il papà che usa il trapano e gli fa vedere che il rumore viene da lì. La maestra chiede a un bambino di cosa ha paura, e il bambino risponde dei signori della strada che fanno i lavori. Poi gli chiede cosa fa per far passare la paura, e il bambino risponde che va da Beba -> questo mostra come il bambino ha interiorizzato la storia. Solo in un secondo momento i bambini arrivano a produrre qualcosa di proprio. Quindi inizialmente per parlare, narrare di sé i bambini devono imitare un modello, e solo poi saranno in grado di produrre qualcosa di nuovo.
In che modo, attraverso la conversazione, si strutturano le pratiche conversazionali nel bambino (attraverso dialoghi e conversazioni tra madre e bambino piccolo, il bambino acquisisce le regole della conversazione, come alternanza dei turni, volume della voce, quindi aspetti pragmatici della conversazione, pause, intervalli, sguardi, gesti)? Video: si verifica una interazione faccia a faccia diadica frontale tra madre e bambino. A noi sembra piuttosto naturale, però se pensiamo alle mamme africane che portano i bambini sulla schiena si possono trovare altre strutture di interazione, in cui madre e bambino sono a contatto fisico e guardano nella stessa direzione. Quindi il fatto che siano di fronte già dice qualcosa sull’interazione diadica tra madre e bambino, che è tipica adella cultura occidentale.
Invece nelle società collettivista il bambino partecipa a grandi gruppi, quindi interazione multilaterale (difficile che vi sia interazione diadica). Questo modello poi si ritrova nei nostri modelli conversazionali -> anche da adulti si ricerca la conversazione con una persona sola, soprattutto se vogliamo che sia caratterizzata da partecipazione e ascolto attivo -> la modalità privilegiata di comunicazione adulta è quella a tu per tu, in cui ci aspettiamo che sia caratterizzata da alternanza di turni, che si alternano in modo veloce -> queste caratteristiche sono presenti anche nel video, in cui appunto vi è un ritmo incalzante è abbastanza sostenuto. Il bambino poi riprende i vocalizzi della madre con lo stesso ritmo, e la madre poi fa da eco. Nella nostra cultura occidentale-Latina il ritmo è sostenuto e tolleriamo anche bene la a sovrapposizione di turni (quando dura qualche millisecondo), e vi sono delle Popolazioni che lo tollerano anche di più (esempio: arabi), mentre alcune popolazioni non lo tollerano affatto perché è segno di maleducazione (esempio: Giappone o Lapponia) -> sono chiamate culture del silenzio -> in queste culture l’intervallo di latenza può essere molto più lungo del nostro (noi siamo nell’ordine dei millisecondi, mentre in queste culture anche dei secondi) -> questa latenza è segno di educazione e rispetto perché indica che si sta riflettendo sulle poche parole che vengono dette. Da noi invece il silenzio è considerato sprezzante.
Interazione madre-bambino occidentale: Interazione diadica, contatto faccia a faccia, grande contatto fisico (però non sono appiccicati), modulazione del volume e forte enfasi su chi parla (che deve rendersi interessante su chi ascolta), inoltre la mamma attribuisce anche intenzioni al bambino (mind-mindedness), quindi viene considerato soggetto attivo. Quindi già nelle proto conversione vi è un apprendimento culturale sulle pratiche comunicative.
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Dettagli appunto:
- Autore: Mariasole Genovesi
- Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
- Facoltà: Psicologia
- Corso: Psicologia dello sviluppo e dei processi educativi
- Esame: Pedagogia Interculturale e della Cooperazione
- Docente: Alessia Agliati
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