La macroeconomia è lo studio dei fenomeni che riguardano il sistema economico nel suo complesso.
Dato che gli eventi macroeconomici sono il risultato della sommatoria di una moltitudine di interazioni microeconomiche, la macroeconomia utilizza molti strumenti della microeconomia.
Macroeconomia
di Alessia Chiovaro
La macroeconomia è lo studio dei fenomeni che riguardano il sistema
economico nel suo complesso.
Dato che gli eventi macroeconomici sono il risultato della sommatoria di una
moltitudine di interazioni microeconomiche, la macroeconomia utilizza molti
strumenti della microeconomia.
Università: Università degli Studi di Palermo
Facoltà: Economia
Esame: Macroeconomia
Titolo del libro: Macroeconomia
Autore del libro: Gregory Mankiw
Editore: Zanichelli
Anno pubblicazione: 20071. La microeconomia
Tre variabili macroeconomiche sono particolarmente importanti:
Il prodotto interno lordo (PIL) reale: somma dei redditi prodotti da tutti coloro che partecipano ad un sistema
economico, depurato dell’eventuale variazione dei prezzi.(Ci sono periodi in cui il PIL reale diminuisce: se
il calo è moderato abbiamo fasi di recessione; nel caso in cui sia marcato abbiamo fasi di depressione)
Il tasso di inflazione: misura la velocità con cui aumentano i prezzi
Tasso di disoccupazione: misura la quota di forza lavoro che non ha una occupazione stabile
Gli economisti studiano come si determina il valore di tali variabili, le ragioni del loro modificarsi nel tempo
e le reciproche interazioni.
Per capire l’economia gli economisti si affidano ai modelli: formulazioni teoriche che semplificano la realtà
in modo da dimostrare come le variabili esogene (quelle che il modello prende per date, sono esterne al
modello e rappresentano l’input) condizionino quelle endogene (sono determinate dal modello e ne
rappresentano l’output).
Una caratteristica fondamentale dei modelli macroeconomici è l’assunzione dell’ipotesi di prezzi flessibili
(più adatti a descrivere l’economia nel lungo periodo) o vischiosi (adatti a descrivere l’economia del breve).
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 2. I DATI DELLA MACROECONOMIA
Una fonte di informazioni sull’economia, è l’osservazione casuale; oggi le statistiche economiche sono una
fonte sistematica e oggettiva di informazioni che riassumono lo stato dell’economia.
Le tre rilevazioni statistiche che gli economisti e i politici utilizzano più spesso sono:
- PIL
- Indice dei prezzi al consumo IPC
- Tasso di disoccupazione
1) Misura del valore dell’attività economica: PIL
Il PIL è spesso considerato la misura più affidabile dell’andamento di un sistema economico nazionale.
L’obiettivo del PIL è riassumere in un unico numero i valore monetario dell’attività economica in un dato
periodo di tempo. Il PIL può essere interpretato in due modi:
Come reddito totale di tutti coloro che partecipano all’economia
Come spesa totale per i beni e servizi prodotti dall’economia
La ragione di questa doppia interpretazione è che, per l’economia nel suo complesso, il reddito non può che
essere uguale alla spesa. Ciò discende a sa volta da una verità fondamentale: poiché in ogni transazione c’è
un compratore e un venditore, ogni centesimo di spesa non può che essere un centesimo di reddito del
venditore.
Per comprendere più affondo il significato del PIL, si deve prendere in considerazione la contabilità del
reddito nazionale, ovvero il sistema utilizzato per misurare il PIL e molte altre statistiche a esso collegate.
Per calcolare il PIL possiamo considerare sia i flussi monetari dalle imprese agli individui, sia quelli dagli
individui alle imprese. Alcune regole per il calcolo del PIL:
Il PIL è il valore di mercato di tutti i beni e servizi finali, prodotti nell’ambito di un sistema economico in un
dato periodo di tempo. Per calcolare il valore totale i beni e servizi diversi la contabilità del reddito
nazionale ricorre ai prezzi di mercato, dato che i prezzi riflettono la disponibilità degli individui a pagare un
bene o un servizio.
(PIL = prezzo bene1 × quantità bene1 + prezzo bene2 × quantità bene2)
beni usati: La vendita di beni usati non rientrano nel calcolo del PIL.
trattamento delle scorte: la regola generale è che: se un’impresa aumenta le scorte, l’investimento in scorte
viene considerato spesa dei proprietari dell’impresa. Quindi la produzione per il magazzino fa aumentare il
PIL quanto la produzione per la vendita. Una vendita di beni a magazzino, invece, essendo una
combinazione di spesa positiva (acquisto da parte del consumatore) e negativa (il disinvestimento in scorte)
non influenza il PIL. Questo trattamento delle scorte fa si che il PIL comprenda sempre e solo beni e servizi
di produzione corrente
beni intermedi e valore aggiunto: il PIL comprende solo il valore del bene finale. Aggiungere il valore del
bene intermedio a quello del bene finale significherebbe effettuare una doppia contabilizzazione.
Un modo per contabilizzare tutti i beni e servizi finali prodotti dell’economia è sommare il valore aggiunto
in ciascuna fase della produzione. Il valore aggiunto di un’impresa è pari al valore del suo prodotto meno il
valore dei beni intermedi che hanno dovuto acquistare per realizzarlo.
Per l’economia nel suo complesso la somma di tutto il valore aggiunto è pari al valore di tutti i beni e servizi
finali. Dunque il PIL è anche il valore aggiunto totale di tutte le imprese che operano in un sistema
economico.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia Servizi abitativi e altre imputazioni: nel computare il PIL la maggior parte dei beni e servizi sono valutati
rispetto al prezzo di mercato, ma alcuni non sono scambiati in un mercato e perciò non hanno un prezzo di
mercato, dunque se ne deve stimare il valore (valore di imputazione).
Le imputazioni sono particolarmente importanti per determinare il valore dei servizi abitativi (es. il canone
d’affitto è parte del PIL). Per tenere conto anche dei servizi abitativi goduti da chi vive in una casa di sua
proprietà, il PIL include l’affitto che “il proprietario paga a se stesso”(canone figurativo).
Si deve ricorrere ai valori di imputazione anche per valutare alcuni dei servizi offerti dallo stato (es. vigile
del fuoco). La contabilità del reddito nazionale include questi servizi nel PIL valutandoli al costo.
In molti casi la regola richiederebbe ricorso a un valore di imputazione, ma esigenze di semplicità spingo
all’eccezione;ad es. un’ eccezione è data dall’economia sommersa, ovvero quella parte dell’attività
economica che viene sottratta al controllo dello stato con la finalità di evadere l’imposizione fiscale o perché
il suo oggetto è illecito.
Poiché i valori di imputazione necessari per il computo corretto del PIL sono stime approssimate, e dato che
alcune tipologie di beni e servizi non vengono incluse nel computo, il PIL è una misura imprecisa
dell’attività economica.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 3. PIL reale e Pil nominale
PIL nominale: valore dei beni e servizi misurati a prezzi correnti (può aumentare sia perchè aumentano le
quantità prodotte sia perché aumentano i prezzi)
PIL reale: valore dei beni e servizi calcolata a prezzi costanti; è una misura più efficace del benessere
economica, perché non è influenzato dai cambiamenti di prezzi (illustra cosa sarebbe accaduta alla spesa se
fossero cambiate le quantità e non i prezzi).
Per capire come viene calcolato il PIL reale, il primo passo da compiere è determinare l’anno base cioè
l’anno di riferimento per la determinazione dei prezzi; a questo punto beni e servizi vengono sommati
utilizzando i prezzi dell’anno base per valorizzarli.
Deflatore del PIL = PIL nominale/PIL reale
E’ un indice dell’andamento del livello generale dei prezzi in un sistema economico.
La definizione del deflatore del PIL c permette di dividere il PIL nominale in due componenti: una che
misura le quantità (PIL reale) e una che misura i prezzi (deflatore del PIL):
PIL nominale = PIL reale × deflatore del PIL
Il PIL nominale misura il valore monetario corrente della produzione aggregata dell’economia.
Il PIL reale misura la produzione aggregata a prezzi costanti.
Il deflatore del PIL misura il prezzo della produzione aggregata in rapporto ai prezzi dell’anno base
PIL reale = PIL nominale/ deflatore del PIL
Il deflatore del PIL viene utilizzato per deflazionare (depurare dall’inflazione) il PIL nominale, e ottenere il
PIL reale
Finora abbiamo considerato che il PIL reale venga calcolato sulla base dei prezzi di un anno base che non
viene mai modificato; se questo fosse il caso con il tempo i prezzi diventerebbero sempre più obsoleti. Per
risolvere questo problema il bureau of economic analysis statunitense ricorreva ad aggiornamenti periodici
(quinquennali). Oggi si ricorre a misurazioni dette a catena del PIL reale: con tale tecnica l’anno base viene
cambiato di anno in anno
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 4. Le componenti della spesa
La contabilità del reddito nazionale suddivide il PIL in 4 maggiori categorie di spesa:
Consumo (C):consiste dei beni e dei servizi acquistati dagli individui e si divide in tre sottocategorie: beni
durevoli, beni non durevoli e sevizi
Investimenti (I): consistono nei beni acquistati per uso futuro, suddivisi in tre sottocategorie: investimenti
fissi delle imprese, investimenti residenziali(immobili a scopo abitativo o di locazione) e investimenti scorta.
Spesa pubblica (G): consiste dei beni e dei servizi acquistati dalle amministrazioni centrali e periferiche (es.
strade autostrade, apparati militari, servizi forniti dai dipendenti pubblici …); la categoria non include
invece i trasferimenti dall’amministrazione agli individui, come i pagamenti effettuati dal sistema
pensionistico e previdenziale (poiché i trasferimenti riallocano un reddito esistente e non son effettuati in
cambio di beni e servizi non sono parte del PIL
Esportazioni nette (NX): si riferiscono ai rapporti economici con gli altri paesi e consistono nel valore dei
beni e dei servizi esportati verso altri paesi, meno il valore dei prodotti e dei servizi importati dall’estero; le
esportazioni nette rappresentano la spesa netta dei cittadini di altri paesi per l’acquisto di beni e servizi che
producono reddito per i produttori interni.
Cosi indicando Y il PIL:
Y = C + I + G + NX
Questa equazione è un’identità (necessariamente soddisfatta data la definizione delle variabili) e viene detta
identità contabile del reddito nazionale.
Il sistema europeo dei conti economici integrati (SEC): l’unione europea ha predisposto il SEC al quale si
devono conformare i conti economici dei paesi membri. Esso prevede alcune misure alternative del reddito.
Deducendo dal PIL ai prezzi di mercato le imposte indirette nette (differenza tra imposte indirette e
contributi alla produzione) si ottiene il valore aggiunto al costo dei fattori (VA) che misura i redditi
complessivamente generati ai fattori produttivi all’interno del territorio nazionale.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 5. Altre misure del reddito
La contabilità del reddito nazionale prevedono anche altre misure del reddito, che differiscono leggermente
dal PIL:
Prodotto nazionale lordo: PNL = PIL + redditi esteri dei residenti – redditi interni dei non residenti. Il PIL
misura il reddito aggregato prodotto all’interno di un paese mentre il PNL misura il reddito aggregato sei
residenti nel paese.
Prodotto nazionale netto: PNN = PNL – ammortamenti; nel gergo della contabilità del reddito nazionale gli
ammortamenti sono detti anche consumo del capitale fisso.
Reddito nazionale = PNN – imposte indirette; il reddito nazionale è una misura di quanto hanno guadagnato
i componenti del settore privato dell’economia.
La contabilità del reddito nazionale statunitense suddivide il reddito nazionale in 5 componenti in funzione
della modalità di produzione del reddito: Redditi da lavoro dipendente; Redditi dei titolari d’impresa
individuale e società di persone; Rendite immobiliari; Profitti societari (società di capitali); Interessi netti
Reddito personale = reddito nazionale – profitti societari – contributi sociali e previdenziali – interessi netti
+ dividendi + trasferimenti delle P.A. a individui + redditi personali da interessi
Reddito personale disponibile = reddito personale – imposte su reddito e altri pagamenti alle P.A.
Il reddito personale disponibile è rilevante perché corrisponde a quanto gli individui e le società di persone
possono spendere dopo averlo ottemperato al loro dovere di contribuenti.
NB tutte queste misure del reddito mostrano un andamento stagionale regolare: queste oscillazioni sono
attribuibili a una diversa capacità di produrre oppure alla componente stagionale nelle preferenze dei
consumatori. Quando gli economisti studiano le fluttuazioni del PIL reale e elle altre variabili economiche,
spesso desiderano eliminare quella parte di fluttuazione dovuta a prevedibili movimenti stagionali. La
maggior parte delle statistiche economiche riportate dai mezzi di informazione sono destagionalizzate (i dati
sono stati depurati per eliminare le fluttuazioni stagionali irregolari.
Misurare il costo della vita: l’indice dei prezzi al consumo.
L’aumento generalizzato dei prezzi viene detto inflazione.
La misura più comunemente utilizzata del livello dei prezzi è l’IPC. Esso trasforma i prezzi di molti beni e
servizi in un unico indice che misura il livello generale dei prezzi. Viene attribuito un peso differente a
diversi beni e servizi calcolando il prezzo di un paniere di beni e servizi acquistato dal consumatore medio:
l’IPC è il prezzo relativo di questo paniere di beni e servizi rispetto al prezzo del medesimo paniere. L’IPC è
l’indice dei prezzi più frequentemente utilizzato, pur non essendo l’unico. Un altro è l’indice dei prezzi alla
produzione, che misura il prezzo del paniere medio di beni acquistati dalle imprese invece che dai
consumatori (inoltre si possono calcolare indici di prezzi per specifiche categorie di beni).
In Italia le rilevazioni del livello generale dei prezzi vengono effettuate dall’Istat che, oltre a calcolare l’IPC
(che si riferisce agli scambi in cui l’acquirente è il consumatore finale), computa anche altri indici quali:
L’indice del costo della vita o indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati
Indice dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali; si riferisce ai prezzi che si determinano nelle
transazioni che si svolgono nel mercato interno in cu il venditore è un produttore di beni industriali
Indice dei prezzi all’ingrosso in cui il venditore è un commerciante all’ingrosso
Indici speciali (es. dedicati ai prezzi agricoli)
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 6. L’IPC e il deflatore del PIL
Il deflatore del Pil e l’IPC offrono un’informazione diversa di ciò che accade a livello generale dei prezzi
nell’economia. Le differenze fondamentali tra le 2 rilevazioni sono 3:
Il deflatore del PIL misura il livello dei prezzi di tutti i beni e i servizi prodotti nell’economia, mentre l’IPC
misura quelli di tutti i beni e i servizi acquistati dai consumatori. IN conseguenza un aumento del prezzo dei
beni e dei servizi acquistati dalle imprese o dalla P.A viene rilevato dal deflatore del PIL, ma non dall’IPC.
Il deflatore del PIL comprende solo i beni e i servizi prodotti all’interno dei confini nazionali. I beni
importati non fanno parte del PIL e, perciò, non vengono rilevati dal deflatore del PIL. L’aumento del
prezzo di un bene prodotto e venduto nello stesso Paese modifica l’IPC essendo acquistato da un
consumatore, ma lascia invariato il deflatore del PIL.
L’IPC assegna peso fissa ai prezzi di beni differenti, mentre il deflatore del PIL assegna pesi variabili. In
altre parole l’IPC è calcolato sulla base di un paniere fisso di beni, mentre il deflatore del PIL fa variare la
composizione del paniere in funzione della variazione della composizione del PIL.
Gli economisti chiamano l’indice di Laspeyres un indice dei prezzi calcolato su un paniere fisso di beni, e
indice Paasche un indice dei prezzi calcolato su un paniere variabili. Nessuno dei due indici rivela una
manifesta superiorità:
se i prezzi di beni diversi aumentano in misura diversa, un indice di Laspeyres (paniere fisso) tende a
sovrastimare l’aumento del costo della vita, non tenendo in debito conto che i consumatori possono
sostituire i beni il cui prezzo aumenta con beni meno costosi.
Al contrario, un indice di Paasche (paniere variabile) tende a sottostimare l’aumento del costo della vita,
perché, pur tenendo conto dell’effetto di sostituzione, non riflette la riduzione del benessere del consumatore
che ne deriva.
NB: secondo molti economisti l’IPC tende a sovrastimare l’inflazione:
Problema 1: L’IPC non tiene conto della possibilità del consumatore di sostituire con beni meno costosi quei
beni che hanno subito i maggiori aumenti di prezzo; grazie a questo meccanismo quando i prezzi aumentano
il costo della vita aumenta meno rapidamente dell’IPC.
Problema 2: introduzione di nuovi beni; quando vengono introdotti nel mercato nuovi beni, il benessere del
consumatore aumenta perché egli ha una gamma più ampia di beni tra cui scegliere. In effetti l’introduzione
di nuovi beni fa aumentare il valore reale della moneta, ma questo aumento del suo potere di acquisto non
viene rilevato dall’IPC.
Problema 3: variazioni non rilevate nella qualità dei beni. Quando un’impresa aumenta la qualità di un bene
che commercializza, il corrispondente aumento di prezzo non riflette un aumento del costo della vita.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 7. Misurare la disoccupazione: il tasso di disoccupazione
Il tasso di disoccupazione è la statistica che rileva la % degli individui che, desiderando lavorare, non hanno
un’occupazione.
Ogni adulto (maggiore di 16 anni) di ciascuna famiglia viene collocato in una delle 3 categorie:
Occupato
Disoccupato: se non ha un impiego, se è in attesa della data di inizio di un nuovo lavoro, se è
temporaneamente privo di lavoro o se sta cercando un’occupazione.
Non appartenente alla forza lavoro: lavoratore scoraggiato (chi desidera un lavoro ma ha smesso di
cercarlo).
La forza lavoro si definisce come la forma di occupati e disoccupati, e il tasso di disoccupazione è definito
come la quota % dei disoccupati sulla forza lavoro, cioè:
Forza lavoro = n° occupati + n° disoccupati.
Tasso di disoccupazione = Numero disoccupati / Forza lavoro × 100
Una statistica collegata è il tasso di partecipazione alla forza lavoro, pari alla % di appartenenti alla forza
lavoro sulla popolazione adulta.
Tasso di partecipazione alla forza lavoro = forza lavoro/popolazione adulta × 100
Disoccupazione, Pil e legge di Okun
Dato che i lavoratori occupati contribuiscono alla produzione di beni e servizi e i disoccupati no, aumenti
del tasso di disoccupazione dovrebbero essere associati a diminuzioni del Pil reale. Questa relazione inversa
tra disoccupazione e PIL è detta legge di OKUN.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia
Conclusioni: Le tre statistiche analizzate esprimono l’andamento dell’economia in termini quantitativi. Gli
attori economici pubblici e privati utilizzano queste statistiche per tenere sotto controllo l’andamento
dell’economia e formulare decisioni appropriate.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 8. Cosa determina la produzione aggregata di beni e servizi
La produzione di beni e servizi di un’economia, cioè il suo PIL, dipende da:
Quantità di fattori di produzione di cui dispone. I due fattori di produzione più importante sono il capitale
(K) e il lavoro (L); ipotizziamo per semplicità che questi siano dati, cioè che l’economia disponga di una
quantità fissa di capitale e di lavoro (K = K; L = L) e che siano completamente utilizzati, cioè che nessuna
risorsa sia sprecata
Capacità di trasformare questi fattori, rappresentata dalla funzione di produzione. La tecnologia di
produzione disponibile determina il volume della produzione per ogni data quantità di capitale e lavoro. Gli
economisti descrivono la tecnologia disponibile determina il volume della produzione per ogni data quantità
di capitale e lavoro. Gli economisti descrivono la tecnologia disponibile con una funzione di produzione:
definendo Y il volume di produzione, la funzione di produzione è:
Y = F (K, L). [la produzione è funzione della quantità di capitale e lavoro]
La funzione di produzione descrive la tecnologia disponibile per trasformare capitale e lavoro in prodotto (se
vi sono modi più efficienti di produzione, il volume di produzione è maggiore). Molte funzioni di
produzione godono di una proprietà detta rendimenti di scala costanti: una funzione di produzione ha
rendimenti di scala costanti se a un aumento di eguale percentuale di tutti i fattori d produzione corrisponde
un aumento di pari percentuale del prodotto; matematicamente: zY = F (zK,zL), per ogni z>0
L’offerta di beni e servizi
I fattori di produzione e la funzione di produzione, insieme determinano la quantità di beni e servizi offerti
che, a sua volta, equivale al prodotto dell’economia. Matematicamente questo si esprime come:
Y = F(K, L) = Y
Dato che ipotizziamo fisse l’offerta di capitale e di lavoro e la tecnologia anche il prodotto è fisso.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 9. Come si distribuisce il reddito nazionale tra i fattori di
produzione
Il prodotto aggregato dell’economia è uguale al reddito aggregato. Poiché i fattori di produzione e la
funzione di produzione, insieme determinano il prodotto totale di beni e servizi, determinano anche il
reddito nazionale.
I prezzi dei fattori
La distribuzione del reddito nazionale è determinata dai prezzi dei fattori, che rappresentano l’ammontare
pagato per i fattori di produzione: il salario corrisposto al lavoratore e la rendita del proprietario del capitale.
Il prezzo che ciascun fattore riceve per i propri servizi è, a sua volta determinato dall’offerta e dalla
domanda per quel fattore.
Ipotizzano che i fattori di produzione dell’economia siano fissi, la curva di offerta di ciascun fattore è
verticale. L’intersezione tra la curva di domanda del fattore, con pendenza negativa, e la curva di offerta del
fattore verticale, determina il prezzo di equilibrio del fattore.
Le decisioni dell’impresa concorrenziale.
L’ipotesi più semplici da fare, riguardo all’impresa media, è che sia concorrenziale. Un’impresa
concorrenziale è piccola rispetto ai mercati in cui opera, al punto che le sue singole decisioni non sono in
grado di influenzare i prezzi di mercato (price takers).
L’obiettivo dell’impresa è massimizzare il profitto (ricavi meno costi)
Profitto = Ricavo (PY) – costo del lavoro (WL) – costo del capitale (RK)
Per vedere come il profitto dipende dai fattori di produzione, utilizziamo la funzione di produzione Y = F
(K, L) per sostituire Y ottenendo:
Profitto = PF (K, L) – WL – RK
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 10. Il prodotto marginale del lavoro (PML)
E’ la quantità aggiuntiva di prodotto che l’impresa ricava da ogni unità aggiuntiva di lavoro tenendo fissa la
quantità di capitale.
PML = F (K, L+1) – F(K,L)
Dal PML alla domanda di lavoro. Per massimizzare il profitto un’impresa deve decidere se aumentare le
unità di lavoro. L’aumento del ricavo indotto dall’utilizzo di un’unità di lavoro dipende da 2 variabili: PML
e il prezzo del prodotto. Poiché un’unità aggiuntiva di lavoro produce PML unità di prodotto la quale viene
venduta al prezzo P, il ricavo aggiuntivo è pari a PML × P; il costo aggiuntivo di un’unità di lavoro è pari a
W; dunque la variazione del profitto è data da: Profitto = Ricavo (PML × P) – costo (W)
SE il prodotto (PML × P) > W, l’unità di lavoro aggiunta fa aumentare il profitto fino a quando PML
raggiunge il punto in cui il ricavo incrementale è uguale al salario reale.
La domanda di lavoro dell’impresa è determinata dall’uguaglianza PML × P = W. Da questa uguaglianza
otteniamo che W/P rappresenta il salario reale, ossia la remunerazione misurata in unità di prodotto invece
che in unità monetarie.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 11. IL prodotto marginale del capitale (PMK) e la domanda di
capitale
PMK è la quantità aggiuntiva di prodotto che l’impresa ricava ad ogni unità aggiuntiva di capitale tenendo
fissa la quantità di lavoro:
PMK = F (K + 1, L) – F(K, L)
L’aumento di profitto indotto dalla adozione di una macchina in più è dato dalla differenza tra il ricavo
aggiuntivo della vendita del prodotto incrementale e la remunerazione della macchina aggiuntiva:
Profitto = Ricavo (PMK × P) – costo (R)
Per massimizzare il profitto l’impresa utilizzerà capitale in quantità tale per cui PMK eguaglia la rendita
reale del capitale: PMK = R/P
La rendita reale del capitale è la rendita misurata in termini di prodotto invece che in termini monetari.
In sintesi, nell’ipotesi di massimizzazione del profitto, l’impresa domanda ciascun fattore di produzione in
misura tale per cui il prodotto marginale del fattore stesso eguaglia il suo prezzo in termini reali.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 12. La distribuzione del reddito nazionale
Se tutte le imprese del sistema economico sono concorrenziali e massimizzano il profitto, ogni fattore di
produzione è remunerato in modo corrispondente al suo contributo marginale al processo produttivo: il
salario reale del lavoratori eguaglia il PML e la rendita reale del capitale eguaglia il PMK; il monte salari
reale è perciò pari a PML × L e la rendita totale reale del capitale a PMK × K.
Il reddito che rimane alle imprese dopo aver remunerato i fattori di produzione è il profitto economico,
destinato ai proprietari delle imprese.
Profitto economico = Y – (PML × L) – (PMK × K)
Se vogliamo analizzare la distribuzione del reddito nazionale riscriviamo i termini dell’uguaglianza come: Y
= (PML × L) + (PMK × K) + profitto economico
Il reddito aggregato si ripartisce tra remunerazione del lavoro, del capitale e profitto economico.
Se la funzione di produzione ha rendimenti di scala costanti, il profitto economico dovrebbe tendere allo
zero. Una volta remunerati i fattori di produzione non rimane più nulla. Secondo il teorema di Eulero è
possibile affermare che se la funzione di produzione ha rendimenti di scala costanti, allora:
F(K, L) = (PML × L) + (PMK × K)
Se il profitto economico è teoricamente nullo, è possibile spiegare l’esistenza del profitto nell’economia
reale in quanto la maggior parte delle imprese è proprietaria dei beni capitali che utilizza e poiché i
proprietari del capitale e i proprietari delle imprese sono i medesimi individui spesso il profitto economico e
la rendita del capitale sono indistinti. Questa definizione alternativa di profitto è denominata profitto
contabile.
Profitto contabile = profitto economico + (PMK × K)
Ciascun fattore di produzione viene remunerato in base al prodotto marginale e la remunerazione dei fattori
esaurisce il prodotto aggregato. Il prodotto aggregato si distribuisce tra la remunerazione del capitale e la
remunerazione del lavoro, sulla base del rispettivo prodotto marginale.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 13. Cosa determina la domanda di beni e servizi
Abbiamo identificato le 4 componenti del PIL: Consumo (C), Investimenti I, Spesa pubblica G, Esportazioni
nette (X)
Ipotizzeremo per semplicità un’economia chiusa (che non intrattenga rapporti commerciali con altre
economie); di conseguenza le esportazioni nette sono nulle.
In un’economia chiusa esistono 3 possibili impieghi della produzione aggregata. Le 3 componenti del PIL
sono espresse nell’identità contabile del reddito nazionale: Y = C+ I + G
Consumi. Gli individui ricevono reddito dal proprio lavoro o dalla proprietà di beni capitali.
Il reddito degli individui a livello aggregato corrisponde al prodotto dell’economia Y; lo Stato tassa gli
individui di un ammontare T.
Reddito disponibile: parte di reddito residuo dopo la corresponsione delle imposte Y – T
Gli individui distribuiscono il proprio reddito disponibile tra consumo e risparmio.
Ipotizziamo che il livello di consumo dipenda direttamente dal livello del reddito disponibile: quanto più è
elevato è il reddito disponibile, tanto più elevato è il consumo.
C = C(Y – T)
La relazione tra consumo e reddito disponibile è detta funzione di consumo.
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 14. Gli investimenti
Sia gli individui sia le imprese acquistano beni di investimento per aumentare il proprio stock di capitale e
per sostituire il capitale esistente logorato dall’uso.
La quantità domandata di beni di investimento dipende dal tasso di interesse, cioè dalla misura del costo
delle risorse necessarie per finanziarne l’acquisto: affinché un progetto di investimento sia profittevole, il
suo rendimento deve superare il suo costo.
Analizzando il ruolo dei tassi di interesse nell’economia, gli economisti sono soliti distinguere tra tassi di
interesse nominali e tassi di interesse reali.
Questa differenza è rilevante nel caso in cui vari il livello generale dei prezzi.
Il tasso di interesse nominale corrisponde a quello che l’investitore deve pagare.
Il tasso di interesse reale (misura il vero costo dell’investimento e ne determina la quantità) è il tasso di
interesse nominale depurato degli effetti dell’inflazione.
Possiamo riassumere questa analisi in un’equazione: I = I(r)
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 15. La spesa pubblica
Comprende acquisto armi per la difesa, i servizi dei dipendenti della P.A, opere pubbliche, etc. I
trasferimenti agli individui (come le provvidenze per le famiglie povere e le pensioni per anziani e gli
invalidi) non vengono effettuati in cambio di componenti della produzione aggregata di beni e servizi e
perciò non sono inclusi nella variabile G.
I trasferimenti sono l’opposto delle imposte: fanno aumentare il reddito disponibile degli individui
esattamente come le imposte lo riducono.
Possiamo definire T come la differenza tra imposte e trasferimenti.
Se G = T (T = imposte meno trasferimenti); il bilancio dello Stato è in pareggio;
Se G<T, lo Stato ha un avanzo di bilancio che può essere utilizzato per rimborsare il debito pregresso
se G > T, disavanzo di bilancio che deve essere finanziato attraverso l’emissione di titoli di Stato;
Per evidenziare che queste variabili sono determinate al di fuori, del modello del reddito nazionale
scriviamo
G = G; T = T
Cosa crea l’equilibrio tra la domanda aggregata e l’offerta di beni e servizi
Nel modello classico, il tasso di interesse ha un ruolo cruciale nell’equilibrio di domanda e offerta. Ci sono 2
modi di considerare il tasso di interesse nell’economia:
Come il tasso influenza l’offerta e la domanda di beni e servizi;
Il suo effetto sull’offerta e sulla domanda di prestiti.
L’equilibrio nel mercato di beni e servizi: l’offerta e la domanda del prodotto di un’economia
La domanda del prodotto di un’economia è determinata da consumi, investimenti e spesa pubblica:
i consumi dipendono dal reddito disponibile
Gli investimenti dipendono dal tasso di interesse
La spesa pubblica e imposte sono variabili esogene, determinate dalle decisioni di politica fiscale.
I fattori di produzione della funzione di produzione determinano la quantità di prodotto offerta
nell’economia, per cui Y = F(K, L) = Y.
Sostituendo la funzione di consumo e la funzione di produzione nell’identità contabile del reddito nazionale,
otteniamo: Y = C(Y – T) + I(r) + G
Poiché le variabili G e T sono esogene in quanto determinate dalla politica fiscale e il livello di prodotto è
fissato dai fattori di produzione e dalla funzione di produzione, possiamo scrivere:
Y = C(Y - T) + I(r) + G
Il tasso di interesse, r, è l’unica variabile dell’equazione non determinata. Ecco perché il tasso di interesse ha
un ruolo cruciale da giocare: deve aggiustarsi in modo da garantire l’equilibrio tra domanda e offerta.
Quanto più elevato è il tasso di interesse tanto più basso è il livello degli investimenti e quindi tanto minore
è la domanda di beni e servizi, C + I + G. Se il tasso di interesse è troppo alto, gli investimenti sono troppo
bassi e l’offerta eccede la domanda, se è troppo basso investimenti sono troppo elevati e la domanda eccede
l’offerta.
Al tasso di interesse di equilibrio la domanda di beni e servizi eguaglia l’offerta.
L’equilibrio nei mercati finanziari: offerta e domanda di fondi mutuabili
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia Dato che il tassi di interesse è il costo del debito e la remunerazione dei prestiti sui mercati finanziari,
possiamo chiarire la funzione del tasso di interesse riscrivendo l’identità contabile del reddito nazionale:
Y – C – G = I
Dove Y – C – G è uguale alla produzione residua una volta soddisfatta la domanda di consumo e la spesa
pubblica ed è detta anche risparmio nazionale o più semplicemente risparmio (S). Inquesta forma l’identità
contabile del reddito nazionale mostra che il risparmio eguaglia gli investimenti.
Possiamo suddividere il risparmio nazionale in 2 componenti: risparmio del settore privato e del settore
pubblico
(Y – T – C) + (T – G) = I
- Il termine (Y – T – C) è la differenza tra reddito disponibile e consumo e corrisponde al risparmio privato.
- (T – G) è la differenza tra imposizione fiscale e spesa pubblica e corrisponde al risparmio pubblico.
Se lo Stato spende più di quanto incassa attraverso l’imposizione fiscale generando un disavanzo di bilancio,
il risparmio pubblico è negativo.
Per vedere come il tasso di interesse porti i mercati finanziari in condizione di equilibrio, sostituiamo la
funzione di consumo e la funzione di investimento nell’identità contabile del reddito nazionale:
Y – C(Y – T) – G = I (r)
Ma dato che G e T sono esogenamente determinati dalla politica fiscale e che Y è fisso e determinato dai
fattori di produzione e dalla funzione di produzione, Y – C(Y – T) – G = I(r) S = I(r)
Risparmio e investimenti possono essere anche interpretati in termini di domanda e offerta: in questo caso il
“bene” è il fondo mutuabile e il suo prezzo è il tasso di interesse.
Il risparmio è l’offerta di fondi mutuabili
Gli investimenti rappresentano la domanda di fondi mutuabili
Quindi, al tasso di equilibrio: la quantità di fondi mutabili offerta è = alla domanda di fondi mutuabili
Alessia Chiovaro Sezione Appunti
Macroeconomia 16. Variazioni del risparmio: gli effetti della politica fiscale
Un aumento della spesa pubblica pari a G. Effetti: L’impatto immediato è un pari aumento della domanda di
beni e servizi; ma dato che il prodotto aggregato è fissato dai fattori di produzione, l’aumento della spesa
pubblica deve essere necessariamente compensato dalla diminuzione di altre componenti della domanda.
Dato che (Y-T) e il consumo C sono invariati, l’aumento della spesa pubblica, provoca un aumento del tasso
di interesse e una diminuzione degli investimenti: si dice che “la spesa pubblica spiazza gli investimenti”.
Una diminuzione dell’imposizione fiscale. pari a T.
L’effetto immediato di un taglio delle imposte è l’aumento del reddito disponibile e quindi un aumento del
consumo. Il reddito disponibile aumenta di T e il consumo aumenta di un ammontare pari a T volte la
propensione marginale al consumo PMC.
Quanto più elevata è la PMC, tanto più elevato è l’effetto della riduzione delle imposte sui consumi.
Dato che il prodotto dell’economia è fissato dai fattori di produzione e dalla funzione di produzione, e che il
livello della spesa pubblica è determinato esogenamente, l’aumento dei consumi deve essere compensato da
una corrispondente diminuzione degli investimenti. Affinchè gli investimenti diminuiscano, il tasso di
interesse deve salire. Perciò una riduzione delle imposte (come un aumento della spesa pubblica) fa
aumentare il tasso di interesse.
Possiamo anche analizzare l’effetto di un taglio alle imposte prendendo in considerazione risparmio e
investimenti. Poiché l’abbattimento delle imposte fa aumentare il reddito disponibile di T, il consumo
aumenta di PMC × T. Il risparmio nazionale, S, pari a Y – C – G, diminuisce di un ammontare
corrispondente all’aumento del consumo.
Variazioni della domanda di investimenti.
Ragioni:
l’innovazione tecnologica
provvedimenti fiscali che scoraggiano o incoraggiano gli investimenti.
Se modificassimo al funzione di consumo, facendo in modo che questo e il suo reciproco (il risparmio)
dipenda anche dal tasso di interesse, la curva di risparmio avrebbe pendenza positiva, anziché verticale (un
tasso di interesse elevato potrebbe ridurre il consumo e aumentare il risparmio). Con una curva di risparmio
a pendenza positiva un aumento della domanda di investimenti farebbe aumentare sia il tasso di interesse di
equilibrio sia la quantità degli investimenti.
Conclusioni: Abbiamo sviluppato un modello che spiega la produzione, la distribuzione e l’allocazione del
prodotto aggregato di beni e servizi di una economia. Tale modello viene detto modello dell’equilibrio
generale. Il modello enfatizza l’aggiustamento dei prezzi a equilibrare domanda e offerta
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Macroeconomia 17. MONETA E INFLAZIONE
Il fenomeno dell’aumento generalizzato dei prezzi è noto come inflazione.
Il tasso di inflazione (variazione % del livello generale dei prezzi nell’unità di tempo) varia sostanzialmente
nel tempo e tra diversi paesi. Episodi di inflazione straordinariamente elevata sono detti iperinflazione.
Cos’è la moneta:
La moneta è uno stock di beni che possono essere utilizzati immediatamente per fare transazioni.
Funzioni della moneta:
riserva di valore. La moneta rappresenta un mezzo per trasferire potere di acquisto dal presente al futuro.
Essa è una riserva di valore imperfetta: se i prezzi aumentano la quantità di beni che si possono acquistare
con una data quantità di moneta diminuisce; ciononostante gli individui detengono la moneta con l’obiettivo
di scambiarla con beni o servizi in un certo momento nel futuro.
unità di conto. La moneta rappresenta il termine in cui si esprimono i prezzi. La moneta è il metro con cui si
misurano le transazioni economiche.
mezzo di scambio. La moneta è ciò che utilizziamo per acquistare beni e servizi. La facilità con cui la
moneta può essere convertita in beni o servizi, a volte è definita liquidità. Un sistema fondato sul baratto
perché si realizzi uno scambio deve verificarsi una doppia coincidenza di volontà; in un’economia moderna
complessa il commercio di solito è indiretto e richiede il ricorso alla moneta.
I tipi di moneta:
Moneta a corso legale: non ha valore intrinseco (euro, dollaro, etc)
Moneta merce: è dotata di valore intrinseco. (es. oro). NB: un’economia che utilizza l’oro o banconote
convertibili in oro si dice che adotta un sistema aureo.
Come si determina la quantità di moneta.
La quantità di moneta disponibile è detta offerta di moneta. In un’economia che utilizza moneta a corso
legale, l’offerta di moneta è controllata dallo Stato: vicoli legali danno allo Stato il monopolio sulla stampa
delle banconote. L’offerta di moneta diventa così uno strumento di politica economica. Il controllo
esercitato sull’offerta di moneta è detto politica monetaria, la quale è delegata a un’istituzione parzialmente
indipendente detta banca centrale (negli Stati Uniti è la Federal Reserve e nell’Unione Europea è la BCE).
Gli strumenti principali attraverso cui una banca centrale controlla l’offerta di moneta sono le operazioni di
mercato aperto, cioè operazioni di acquisto e di vendita di titoli del debito pubblico (se la banca centrale
desidera aumentare l’offerta di moneta compra titoli, viceversa li vende).
Nb: I compiti della BCE: vigilanza sulla stabilità dei prezzi in Europa; definizione della politica monetaria,
con la potestà di dare disposizioni alle singole banche centrali per quanto concerne il controllo della quantità
di moneta, etc. IL SEBC è composto dalla BCE e dalle banche centrali degli Stati membri dell’UE.
Come si misura la quantità di moneta.
Poiché la moneta è lo stock delle attività utilizzabili per regolare le transazioni, la quantità di moneta è la
quantità di tali attività.
Gli aggregati monetari:
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Macroeconomia C = Circolante: somma di tutte le banconote e monete metalliche in circolazione
M1 = C + saldo depositi di C/C (traveller’s cheque e depositi a vista)
M2 = M1 + fondi comuni di investimento di mercato monetario in possesso di privati e depositi vincolati a
breve termine
M3 = M2 + depositi vincolati a lungo termine, accordi di riacquisto, eurodollari e fondi comuni di
investimento di mercato monetario in possesso di istituzioni.
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Macroeconomia 18. La Teoria Quantitativa della moneta
Il collegamento tra le transazioni e la moneta si esprime attraverso la c.d. equazione quantitativa.
Moneta (M) × velocità (V) = Prezzo (P) × Transazioni (T)
T = n° totale delle transazioni che si verificano in un determinato periodo di tempo (es un anno).
P = prezzo della transazione media
PT = quantità di moneta scambiata in un anno
M = quantità di moneta
V = velocità di circolazione della moneta rispetto alle transazioni; misura la rapidità con cui la moneta
circola nell’economia.
L’equazione quantitativa è un’identità. Essa è utile perché dimostra che se una delle variabili varia, una o
più delle altre devono necessariamente variare per mantenere l’uguaglianza.
Dalle transazioni al reddito. Gli economisti per semplificare tale equazione, sostituiscono T con il prodotto
aggregato totale dell’economia Y. T e Y sono strettamente correlati: quanto più l’economia produce tanti più
beni e servizi vengono scambiati, però non si tratta della medesima variabile.
M × V = P × Y
PY = valore monetario del prodotto aggregato (PIL nominale)
Y = Pil reale
P = deflatore del PIL
V = velocità di circolazione della moneta rispetto al reddito.
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Macroeconomia 19. La funzione della domanda di moneta e l’equazione quantitativa
Saldi monetari reali: quantità di moneta in termini di quantità di beni e servizi M/P. Essi misurano il potere
di acquisto dello stock di moneta.
Una funzione della domanda di moneta è un’equazione che illustra come si determina la quantità di saldi
monetari reali che gli individui desiderano detenere. Una funzione semplice è: M/P d = kY
k è una costante che indica la quantità di moneta che gli individui desiderano detenere per ogni unità di
reddito.
La funzione della domanda di moneta ci permette di considerare l’equazione quantitativa da un altro punto
di vista. Per farlo dobbiamo considerare che: M/P = kY -> M(1/k) = PY -> MV = PY dove V = 1/k.
Ciò dimostra il collegamento tra domanda di moneta e velocità di circolazione della moneta. Quando k è
elevata, la moneta cambia di mano raramente e viceversa quando è bassa.
Se V è costante (ipotesi limitativa della realtà), l’equazione quantitativa si trasforma nella c.d. teoria
quantitativa della moneta, cioè può essere considerata come una teoria per la determinazione del PIL
nominale:
MV = PY -> Una variazione della quantità di moneta M deve provocare una variazione proporzionale del
PIL (PY)
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Macroeconomia 20. Moneta, prezzi e inflazione
La Teoria sulla determinazione del livello generale dei prezzi nell’economia si fonda su 3 elementi:
I fattori di produzione e la funzione di produzione determinano il livello del prodotto aggregato Y
L’offerta di moneta determina il valore nominale del prodotto aggregato PY. Ciò discende dall’equazione
quantitativa e dall’ipotesi della velocità di circolazione della moneta sia costante
Il livello dei prezzi P è il apporto tra il valore nominale del prodotto PY e il prodotto Y.
Dunque, la capacità produttiva di un’economia determina il PIL reale, la quantità di moneta il PIL nominale,
e il deflatore del PIL è il rapporto tra PIL nominale e Pil reale.
Dato che i fattori di produzione e la funzione di produzione determinano il PIL reale, la variazione del PIL
nominale non può che rappresentare la variazione del livello dei prezzi. Quindi la teoria quantitativa implica
che il livello dei prezzi sia proporzionale all’offerta di moneta.
L’equazione quantitativa scritta in forma % è:
Variazione % di M + Variazione % di V = Variazione % di P + Variazione % di Y.
La variazione % della quantità di moneta (M) è controllata dalla banca centrale;
la variazione % della velocità di circolazione della moneta (V) riflette spostamenti della funzione della
domanda di moneta. Nell’ipotesi che la velocità sia costante, la variazione % della velocità di circolazione
della moneta è zero.
La variazione % del livello dei prezzi (P) è il tasso di inflazione
La variazione % del prodotto (Y) dipende dalla crescita dei fattori di produzione e dal progresso
tecnologico.
La crescita dell’offerta di moneta determina il tasso di inflazione.
La teoria quantitativa della moneta afferma che la Banca centrale, controllando l’offerta di moneta, ha il
controllo assoluto sul tasso di inflazione. Se la Banca centrale:
mantiene stabile l’offerta di moneta -> il livello dei prezzi è stabile;
aumenta rapidamente l’offerta di moneta -> il livello dei prezzi aumenta
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Macroeconomia 21. Il signoraggio: quel che si ricava dal battere moneta
Tutti i governi spendono denaro per l’acquisto di beni e servizi, per redistribuire il reddito, etc.
Un governo può finanziare la propria spesa in 3 modi:
- aumentare i ricavi aumentando le tasse
- indebitarsi con il pubblico emettendo titoli di Stato
- limitarsi a battere moneta (signoraggio).
Se un governo batte moneta per finanziare la spesa pubblica aumenta l’offerta di moneta che genera a sua
volta inflazione. Questa politica equivale a imporre una tassa da inflazione. In conseguenza all’aumento
dell’offerta di moneta il valore reale delle banconote detenute dal pubblico diminuisce. L’inflazione dunque
equivale a una tassa sulla moneta detenuta.
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Macroeconomia 22. Inflazione e tassi di interesse
Gli economisti chiamano i tassi di interesse corrisposti dalle banche tasso di interesse nominale, e l’aumento
del potere di acquisto tasso di interesse reale.
Se definiamo “i” il tasso di interesse nominale, “r” quello reale,” “il tasso di inflazione, il rapporto tra le 3
variabili, può essere descritto come: r = i -
L’effetto di Fisher. i = r + [equazione di Fisher]
L’equazione d Fisher mostra che il tasso di interesse nominale può variare per due cause:
variazione tasso di interesse reale
tasso di inflazione
La teoria quantitativa della moneta e l’equazione di Fisher, insieme ci dicono che la crescita della quantità di
moneta influenza il tasso di interesse nominale.
Secondo la teoria quantitativa un aumento del tasso di crescita della moneta dell’1% genera un aumento
dell’1% del tasso di inflazione. Secondo l’equazione di Fisher un aumento dell’1% del tasso di inflazione,
provoca un pari aumento del tasso di interesse nominale.
La relazione diretta tra tasso di inflazione e tasso di interesse nominale viene detta Effetto di Fisher.
Due tassi di interesse ex ante e ex post. Distinguiamo 2 concetti diversi di tasso di interesse reale:
tasso di interesse reale ex ante: quello che creditore e debitore si aspettano al momento della stipula
dell’accordo
tasso di interesse reale ex post: quello che effettivamente realizzano
= tasso di inflazione futuro; e = di inflazione atteso per il futuro
tasso reale ex ante = i – e; tasso reale ex post = i –
I 2 tassi sono diversi nel caso in cui l’inflazione effettiva sia diversa dall’inflazione attesa e.
Il tasso di interesse nominale non può aggiustarsi sull’inflazione effettiva, dato che non è conosciuta nel
momento in cui viene stabilito il tasso di interesse. Quindi l’effetto di Fisher può essere scritto: i = r + e
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