Diritto Industriale :
Appunti di Diritto Industriale; docente Prof.ssa Marzia Balzano; A.A. 2009/10
Dettagli appunto:
-
Autore:
Valerio Morelli
[Visita la sua tesi: "L'interazione tra l'immagine di un brand sportivo e la notorietà dei singoli calciatori: il caso Real Madrid"]
- Università: Università degli Studi della Tuscia
- Facoltà: Economia
- Esame: Diritto Industriale
- Docente: rof.ssa Marzia Balzano
Indice dei contenuti:
- 1. Cos'è il diritto industriale
- 2. L'azienda nel diritto industriale
- 3. L’anticompetitività e Antitrust
- 4. Brevetti - Originalità o novità intrinseca
- 5. Trasferimento d’azienda - crediti e debiti
- 6. I nomi delle società e i marchi
- 7. Abuso di posizione dominante
- 8. Forme di comportamenti abusivi - Contratti leganti, Tie-in ed esclusiva
- 9. Brevetti nazionali e procedure di brevettazione internazionale
- 10. Brevetti - limitazioni e licenze
- 11. Registrazione e tutela del marchio
- 12. Giudizi e limitazioni sull'uso del marchio
- 13. La concorrenza sleale
- 14. Il diritto d'autore
- 15. Decadenza, trasferimento e utilizzo del marchio
- 16. Innovazione, brevetti e novità
Questa è solo un’anteprima: 16 pagine mostrate su 82 totali. Registrati e scarica gratis il documento.
Diritto Industriale di Valerio Morelli Appunti di Diritto Industriale; docente Prof.ssa Marzia Balzano; A.A. 2009/10 Università: Università degli Studi della Tuscia Facoltà: Economia Esame: Diritto Industriale Docente: rof.ssa Marzia Balzano1. Cos'è il diritto industriale Il diritto industriale nasce come una categoria di studio delle norme che riguardano tutte le problematiche connesse all’attività delle industrie. Dopo la rivoluzione industriale, l’attività industriale da vita a nuovi rapporti economici, che nell’epoca mercantile e artigianale non c’erano. Le materie che confluiscono nel diritto industriale sono il diritto di azienda, della concorrenza sleale, dei segni distintivi, delle invenzioni, del lavoro. Non rientra, invece, il diritto d’autore che nasce come diritto del lavoro, il quale proteggeva le persone che avevano idee letterarie, musicali e dovevano tutelarsi nei confronti delle industrie che pubblicava i loro lavori. Una forma elegante che si vede in alcuni istituti è la nozione di proprietà intellettuale, ossia un soggetto ha diritto all’uso esclusivo di un’idea considerata come un bene di cui è proprietario; gli imprenditori hanno una proprietà intellettuale sui marchi, le invenzioni che vengono inventate nella loro impresa. Negli istituti del diritto industriale, troviamo tecniche di professione che riguardano l’uso di beni produttivi, destinati ad essere utilizzati nell’ambito di un ciclo produttivo. E proprio la destinazione alla produzione che hanno tutti questi beni, istituti che troviamo nel diritto industriale è l’elemento che accomuna tutte le componenti di questa materia, dall’azienda ai marchi e ai brevetti. In tutte le norme del diritto industriale, l’attenzione del legislatore è proiettata all’obiettivo di stabilire le regole per cui un imprenditore forma la sua azienda e la gestisce efficacemente, e ciò avviene consentendo l’approvazione di questi beni, poi c’è tutta una parte legata alla salvaguardia del valore di queste imprese nel loro complesso, migliorare la capacità produttiva attraverso la ricerca, salvaguardare l’uso esclusivo della propria azienda e di tutte quelle idee che fanno parte della capacità produttiva di quell’imprenditore. Le norme del diritto industriale non si preoccupano solo di tutelare l’imprenditore, ma stabiliscono anche le condizioni alle quali la tutela viene assicurata; vi sono tecniche particolari di protezione verso i beni imprenditoriali, aziendali che però hanno dei limiti, ad esempio l’imprenditore non deve creare confusione con i prodotti degli altri, l’impresa deve operare con efficienza ma non deve crescere attraverso comportamenti scorretti, l’impresa deve cercare di incrementare il più possibile le proprie entrate ma incrementando le proprie vendite. Quindi, l’esclusiva e la disciplina della concorrenza sono proprio quelle condizioni alle quali è subordinata la particolare tutela data all’azienda. Immaginiamo un imprenditore, con la sua azienda e i suoi beni produttivi; l’interesse dell’imprenditore è quello di poter organizzare la sua azienda ed eventualmente monetizzarne il valore, così come arricchire l’organizzazione comprando altre aziende. L’imprenditore vuole che l’azienda sia un qualcosa che può avere una sua vita autonoma, riconosciuta dall’ordinamento giuridico. Se mi voglio affermare e crescere nel mercato, acquisire clientela, ho bisogno di essere riconosciuto. Se l’imprenditore ha interesse che la sua azienda possa distinguersi nel mercato, un altro interesse fondamentale per un’azienda che resta nel tempo nel mercato è quello di potersi evolvere; Ricerca e Sviluppo significa avere la garanzia che gli sforzi enormi della ricerca possano essere tutelati, riconosciuti e ricompensati. Nel diritto industriale, l’impresa è quel soggetto che opera nel mercato, nei suoi rapporti economici che interessano l’impresa rispetto ai suoi concorrenti, acquirenti, fornitori e a tutti i possibili soggetti delle Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale relazioni economiche che si svolgono nel mercato. Questo sistema giuridico ha delle sue fonti particolari, di diversa natura e struttura: le fonti nazionali, dove accanto abbiamo una prima categoria di norme che sono gli accordi internazionali, in cui molti istituti del diritto industriale sono oggi disciplinati in un certo modo nell’ambito delle nostre reti nazionali perché così è stato stabilito nell’ambito degli accordi internazionali. Sono accordi presi fra tanti stati con i quali si stabiliscono delle regole comuni per la protezione degli interessi delle imprese, tipicamente tutelati dal diritto industriale; ad esempio l’interesse all’uso esclusivo del marchio è un interesse specifico nato per l’imprese che alcuni paesi hanno cominciato a proteggere con proprie norme nazionali, le quali non bastavano perché, ad esempio, un cittadino da un paese all’altro trovava condizioni di protezione differenti. Si decide, pertanto, tramite questi accordi che il marchio che viene registrato in un paese darà un diritto di priorità che vale per tutti coloro che aderiscono all’accordo e, ad esempio, si stabilisce che nessun paese eviterà di riconoscere rilevanza ai segni indicativi per l’origine del nostro paese. Sono, quindi, accordi normativi con i quali gli stati s’impegnano a portare avanti in un certo modo le loro norme nazionali, ed è il tratto che accomuna tutti questi trattati, il cui scopo è quello di tutelare gli interessi degli imprenditori nel momento in cui aderiscono al mercato, ad esempio proteggere segni distintivi utilizzati purché siano nuovi oppure rispettosi del buon costume. La prima convenzione internazionale, in materia di diritto industriale, la più antica e corposa è stata firmata nel 1883 ed è la convenzione di Parigi, la quale ha fondato l’organizzazione mondiale per la tutela della proprietà industriale. Questo ente che opera a Ginevra è fondamentale, perché ha stabilito un principio in cui tutti i paesi che aderivano al trattato s’impegnavano a riconoscere a cittadini degli altri paesi gli stessi diritti riconosciuti ai propri in materie di diritto industriale, come registrazione dei marchi oppure protezione contro gli atti di concorrenza sleale, una convenzione che ha iniziato a gettare le basi comuni per una disciplina uniforme di tipo sovrannazionale. Dopo questa convenzione, c’è ne sono state molte altre come la convenzione di Monaco, l’accordo di Washington, la cooperazione della tutela della proprietà industriale, il Patent Cooperation Treaty (PCT) ossia il trattato di cooperazione in materia di brevetti. Quest’ultime sono convenzioni più recenti, degli anni ’70, importanti in materia di tutela delle invenzioni, come la convenzione di Monaco che regolamenta l’utilizzo dei brevetti e la disciplina delle invenzioni a livello europeo. Una grandissima svolta legata allo studio delle convenzioni è stata l’Unione Europea e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), insieme di stati industrializzati e in via di sviluppo, che ha degli uffici centrali, e che opera per migliorare la cooperazione del commercio, dove una parte fondamentale dell’attività ha riguardato le scelte relative al diritto industriale, in particolar modo quelle relative alla protezione dei segni distintivi e delle invenzioni. L’UE è nata negli anni ’50 come mercato unico. L’obiettivo degli stati europei era quello di incentivare i rapporti economici tra uno stato e l’altro, abbattendo le dogane, trasformare i paesi europei in un unico grande mercato, dove merci, capitali e persone potessero circolare tra un paese e l’altro. Da un punto di vista economico, l’UE è una realtà molto consolidata, che dirige una parte consistente della nostra economia. Anche il diritto europeo ha modificato tantissimo la prospettiva originaria che avevamo nei confronti dei segni distintivi (marchi e brevetti). L’obiettivo fondamentale dell’UE che aspira a diventare una federazione di stati sarebbe quello di avere un marchio europeo, un brevetto europeo, la disciplina della concorrenza Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale europea e la circolazione dell’azienda europea. Due forme di intervento comunitario realizzate con due diverse tipologie di atti normativi: regolamenti comunitari e direttive comunitarie. I regolamenti si possono paragonare a pieno titolo alle nostre leggi nazionali; sono adottati quando in un settore o per una materia è necessaria la stessa disciplina in tutti gli stati membri. Tali fonti devono essere rispettate da tutte le norme nazionali, il che significa che una nostra legge non dovrebbe poter disporre nulla in contrasto con un regolamento comunitario. Esiste un regolamento sul marchio comunitario che consente ai cittadini dell’UE di registrare un marchio che vale per tutta l’Europa. La direttiva comunitaria è uno degli atti che il Parlamento europeo può adottare per l’assolvimento dei compiti previsti dal Trattato che istituisce la Comunità Europea. Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale 2. L'azienda nel diritto industriale Il diritto industriale è un diritto che guarda ai beni di produzione, beni destinati all’attività produttiva. L’azienda (art. 2555 C.C.) è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio d’impresa; quando si parla di azienda, si parla di beni, quelle cose che formano l’oggetto di un diritto. L’azienda è un insieme di beni organizzati per l’attività produttiva, beni aziendali sono tali poiché l’imprenditore li ha destinati all’impresa. Quindi, quando sentiamo parlare di azienda, si pensa ai beni, a un ciclo produttivo al quale quei beni sono destinati, e a destinarli è l’imprenditore, soggetto titolare di un’iniziativa economica. L’imprenditore può essere persona fisica oppure una società verso la quale operano una o più persone per lo svolgimento di un’attività economica, e sono molto convenienti perché consentono di gestire tale attività in una situazione di autonomia patrimoniale. Un’azienda (esempio: fabbrica di automobili) per l’esercizio della sua attività economica, ha bisogno di componenti materiali (esempio: catene di montaggio) e immateriali (esempio: brevetti, know how); alcuni rapporti giuridici, invece, come i contratti di fornitura, distribuzione e lavoro, sono indispensabili per gestire l’impresa e il legislatore li considera estremamente intimi con l’azienda. L’azienda, per quanto abbia un trattamento giuridico unitario, è sempre un insieme di cose e ogni cosa ha un po’ la sua natura che resta, e ciò è possibile coglierlo quando vediamo la disciplina del trasferimento e la forma dell’atto di trasferimento (art. 2556 C.C.). C’è un regime della prova, la legge ha prova di un rapporto giuridico, atto o fatto che impone una certa forma; il trasferimento di aziende va provato per iscritto: per dimostrare l’avvenuto trasferimento dell’azienda, bisogna concludere il contratto per iscritto. Questa forma è imposta a fin di prova, perché il trasferimento tra le parti è valido anche a prescindere dalla forma scritta, a meno che la forma scritta non sia imposta dalla natura dei beni aziendali. L’azienda, per quanto sia un organismo considerato unitariamente dal legislatore, lo stesso legislatore non si dimentica delle singole componenti che ne fanno parte, le quali sono rilevanti. Quando bisogna stabilire la forma di trasferimento che tipicamente caratterizza un bene, l’azienda non è trattata in modo unitario perché se c’è un insieme di beni, mobili e immobili, la forma scritta serve per l’immobile e si può trasferire verbalmente gli altri beni aziendali. Il trattamento unitario dell’azienda va considerato come un qualcosa che non fa perdere l’individualità che compone l’azienda, anche se attualmente un elemento di unitarietà anche nella forma di trasferimento è stato introdotto da una normativa che è nata con finalità antiriciclaggio e che ha imposto la tracciabilità di tutti gli atti di trasferimento degli atti produttivi, sia parlando di aziende che di quote societarie. Questa forma unitaria di atto scritto che implica l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata, e quindi la necessità di andare da un notaio, è ormai imposta per tutte le imprese soggette a registrazione ma anche quelle che s’iscrivono nella sezione speciale (esempio: artigiani, agricoltori); la norma non stabilisce la validità dell’atto, ma vuole mettere in rilievo la trasparenza dell’operazione. Tuttavia, ciò che emerge da quest’assetto normativo è che per quanto la legge, non dimentichi le diversità tra i beni aziendali, richiedendo per la validità dell’atto la forma scritta solo per beni immobili, è imposta la forma scritta a finalità di controllo degli atti di scissione. Un altro profilo per il quale l’azienda si considera in termini unitari riguarda la tutela nello specifico godimento di beni; ci sono delle azioni specifiche che tutelano il Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale concetto di beni, in particolare l’azione di manutenzione. L’azienda, essendo un complesso unitario, può beneficiare di tale azione dove il proprietario del bene immobile può opporsi a fastidi nei confronti del godimento del suo bene. L’azienda, quindi, consiste in un insieme di beni che sono trattati in una prospettiva di unitarietà dalla legge. Tale prospettiva mira a identificare una forma di circolazione dell’ azienda per la trasparenza anche perché, nella gestione degli affari, per trasferire un’azienda bisogna ricorrere a un atto notarile. L’unitarietà dell’azienda si coglie quando si vanno a vedere le norme sul trasferimento d’azienda. Azienda caratterizzata dall’avviamento, un plusvalore, un valore particolare che hanno i beni aziendali visti nella loro unitarietà, che può essere scritto in bilancio e rappresenta la potenziale capacità produttiva di un insieme di beni che operano nel mercato, svolgendo attività produttiva, e che hanno un valore maggiore della somma dei valori delle singole componenti. Si va a vedere la capacità dell’impresa di essere già avviata; quando si parla del valore di avviamento, si fa riferimento a un’azienda attiva. Se un’azienda fosse trasferita, chi la compra avrebbe la possibilità di trasferire anche la clientela in quell’azienda. Clientela attratta dalla qualità e bontà dei beni grazie alla presenza della pubblicità, dalla riconoscibilità dei segni distintivi e la loro affermazione nel mercato. L’avviamento, perciò, consiste nella capacità di fatturazione di un’azienda. Trasferimento d’azienda tra parti: ci sono casi in cui si trasferisce solo un bene aziendale importante, se si vende un determinato bene sarà la persona cui l’ho venduto che continuerà l’attività; bisogna interrogarsi se quel trasferimento consentirà chi acquista di intraprendere immediatamente un’attività. La cessione d’azienda si verifica quando ciò che si trasferisce permette all’acquirente di intraprendere la gestione di un’attività economica (esempio: l’attività di produzione di una componente elettronica specifica, se non si trasferiscono i brevetti i macchinari non possono essere utilizzati e quindi l’azienda non è stata trasferita). L’identificazione dell’atto di cessione d’azienda si ha quando l’oggetto di trasferimento riguarda tutti i beni essenziali per lo svolgimento di un’attività economica. Quindi, la cessione dell’azienda consiste nel cedere l’intero complesso produttivo; il legislatore lo consente perché vuole che si trasferisca la capacità produttiva del complesso, ossia l’avviamento. Questa disciplina particolare presuppone che le parti intendano trasferire un’azienda; ci sono dei casi in cui questa distinzione non è facile e, pertanto, bisogna stare attenti nella relazione dei singoli contratti. Tale materia trova applicazione anche nel trasferimento del ramo d’azienda, un ramo che abbia un suo perché di articolazione e una sua unitarietà (esempio: il servizio mensa di una grande impresa, la quale può dare in outsourcing l’azienda e vendere il ramo della mensa che può essere acquistato da un’altra azienda; la vendita di tale servizio può avere un senso venderlo come azienda unitariamente). Divieto di concorrenza (art. 2557 C.C.): chi vende l’azienda non deve fare concorrenza all’acquirente, iniziando un’attività che, per il suo oggetto e la sua obbligazione, possa entrare in concorrenza. Si richiama il perno della disciplina della concorrenza che è il mercato rilevante; se si trasferisce un’azienda (esempio: centro estetico) che ha un buon giro di clientela, si dovrà evitare di intraprendere la stessa attività. Il mercato rilevante può essere l’area geografica della competizione, che identifica quelli che sono i potenziali concorrenti, coloro che fanno quell’attività nell’area dove si riesce ad arrivare con i miei clienti. Quindi, non Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale aprire un’attività dove c’è concorrenza. Oltre a pagare il valore dell’attività trasferita, si paga anche il bacino di clientela; remunerando tutto ciò, si è protetti dalla legge con un effetto automatico del contratto che è l’obbligo di non concorrenza, che scatta se nulla è pattuito. La legge consente di aggravare il patto di concorrenza, ma pone due limiti: l’oggetto, non si può impedire alla controparte di svolgere un’attività economica, è tutelato l’alienante; 5 anni (termine obsoleto che la Commissione Europea ha abbassato a 3 anni), previsione inderogabile perché tutela sia l’interesse dell’alienante a non essere bloccato per sempre, che l’interesse alla competitività dei mercati. Se il legislatore è disposto ad ammettere che un operatore economico esca definitivamente dal mercato per un certo periodo di tempo se vende l’azienda, e si attenga dal fare qualcosa che sarebbe contrario con la sua uscita dal mercato, cioè aprire una nuova attività che fa immediatamente concorrenza all’acquirente. L’uscita dal mercato deve essere radicale, ossia non sola uscita dalla disponibilità dei beni ma anche rottura dei rapporti con la clientela, e per un breve periodo perché entro quel periodo il nuovo gestore dell’azienda dovrà essere in grado di mantenere i rapporti con la clientela. Se più imprese si ripartiscono i mercati, commetterebbero un illecito. Questa norma è dettata con riferimento ad un’operazione molto precisa, il trasferimento dell’azienda, ma ci sono delle operazioni simili al trasferimento dell’azienda e ciò introduce il raffronto tra l’azienda e la partecipazione societaria; l’attività economica può essere gestita individualmente oppure costituire una società, dotarla di un suo patrimonio e complesso aziendale, e usarla per investire l’attività. Posso costituire da solo una società, conferire beni aziendali, avviarli, iniziare l’attività, gestirla con il nome della società. Le imprese circolano, mediamente, con cessioni di pacchetti societari che controllano le aziende. Nell’ambito di un’azienda, possono rientrare beni sia di proprietà dell’imprenditore ma anche beni come la locazione di un’immobile, il leasing di un macchinario; affinché il complesso produttivo possa funzionare, servono una serie di contratti. I contratti connessi alla gestione dell’azienda non hanno un trattamento come i normali contratti. Nel momento in cui un macchinario cambia titolare, anche questi rapporti giuridici cambiano titolare in automatico. Rapporti che passano perché c’è un interesse dell’acquirente dell’azienda a salvare l’organismo nel suo complesso. In questo contesto, emergono tre persone interessanti: chi vende l’ azienda, chi l’ha compra vuole i contratti perché gli interessa continuare la gestione, il terzo potrebbe non essere d’accordo ad essere trasferito. Chi compra l’azienda, può subentrare in tutti i rapporti contrattuali, i quali passano l’acquirente. Il contratto è automaticamente trasferito, il che consente la continuità di gestione dell’azienda e il mantenimento di unitarietà aziendale. Il terzo non è completamente senza tutela, non è condannato a restare in questo rapporto, tanto è vero che la legge prevede il diritto di recesso, che va esercitato subito ma soprattutto deve essere motivato con una lista calda. Nella vicenda aziendale, il legislatore fa una classica scelta a favore della continuità dell’impresa, ovvero salva sempre la scelta che permette la continuazione dell’attività economica, che è quella di sacrificare il terzo che può recedere soltanto in caso di giusta causa e non può pretendere di continuare l’attività con cui ha ceduto l’azienda, e questo è un incentivo a non recedere. Ci sono dei casi di contratto che sono esclusi per legge da questa disciplina e sono i contratti di carattere personale, la cui norma dice che chi acquista l’azienda vende tutti i contratti tranne quelli che hanno carattere personale; colui che compra l’azienda ha una tutela molto ampia nell’escludere i contratti perché se vuole subentra oppure no, quindi chi compra l’azienda può subentrare in tutti i contratti, salvo quelli di natura personale. La norma non tutela l’acquirente che può decidere anche di Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale non subentrare in quelli di carattere non personale, è il terzo ad essere tutelato poiché vincolato dal contratto salvo giusta causa, tutelato però non pienamente perché non può mantenere in vita il contratto con l’imprenditore. Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale 3. L’anticompetitività e Antitrust Il diritto Antitrust è molto espansivo, prende in considerazione due forme di illecito, considerate l’una più grave dell’altra, perché sono vietabili e sanzionabili non solo le intese che hanno oggetto anticompetitivo, ossia quegli accordi, pratiche concordate e delibere associative che nascono per limitare la concorrenza, ma anche quelle situazioni in cui un accordo tra imprese può avere ripercussioni sulla concorrenza. Se un’intesa nasce con oggetto anticompetitivo, siccome gli effetti anticompetitivi si presumono, non occorre che l’Autorità di concorrenza dimostri che un accordo di prezzo ha portato a un incremento di prezzi, poiché si da per scontato. Quando ci si trova di fronte a un’intesa che non nasce con oggetto anticompetitivo, questi effetti vanno dimostrati (esempio: accordi di distribuzione, quando sono riconosciute esclusive a favore delle parti). In questo caso, non si sa se tale accordo sarà anticompetitivo; per vietarlo bisogna analizzare una serie di elementi, come la grandezza delle imprese coinvolte, e vedere se quest’accordo nel mercato in cui interviene può essere anticompetitivo. Quindi, due comportamenti diversi: nel primo caso, dal comportamento stesso, materialmente si ricava l’esistenza dell’illecito; nel secondo caso, emergono gli economisti, occorre l’analisi economica, per capire l’impatto effettivo del comportamento nel mercato, alla luce delle variabili economiche (quota di mercato, potere di mercato e barriere all’ingresso). Prima tipologia di illecito Antitrust più grave: intese restrittive nell’oggetto. Sono quelle intese che hanno per oggetto la definizione dei prezzi; fissazione delle quote di produzione o ripartizione del mercato da cui s’ottiene lo stesso risultato di consentire un sistematico aumento di prezzi, perché se si limita la quantità di prodotto immesso, s’impedisce la diminuzione di prezzi per la legge della domanda e dell’offerta; turbativa d’asta, accordo di prezzo e ripartizione della gara specifico, considerata distinta per tradizioni di studio e per la ragione che, quando l’accordo di prezzo turba lo svolgimento di una gara pubblica, c’è anche una rilevanza penale del comportamento, perché questa responsabilità investe direttamente i manager che partecipano alla turbativa. Aspetto penale competente delle Procure, che applicano una norma del Codice Penale per sanzionare la turbativa d’asta, anche con la reclusione. La sanzione penale del manager s’affianca alla sanzione che l’Autorità Antitrust da all’impresa. Impresa che va incontro a una sanzione, che può essere molto alta, definita pecuniaria, applicata appunto dall’ Autorità Antitrust. Comportamenti definiti “hard core restrictions”, termine ereditato dal diritto americano, che significano le restrizioni della concorrenza più gravi. Rispetto a queste intese, è molto usata la parola cartello, la cui nozione è riferita a questo tipo di concertazioni, di prezzo e di quota. Ci sono parecchi cartelli, con illeciti simili. I cartelli sono concertazioni di durata abbastanza lunga (2-3 anni); le imprese hanno contatti telefonici, riunioni associative, si mandano le mail, hanno vari momenti di organizzazione di contatti. Nel cartello tipo, si ha una riunione associativa periodica, altri cartelli invece funzionano tramite telefonate. Le imprese sono moderne nei cartelli: prima si scrivevano, adesso si parlano, si incontrano, ecc. L’argomento è quello di aumentare i prezzi, non esagerare con le quote di produzione; spesso c’è una ripartizione della clientela, dove le imprese che cartellizzano tendono a darsi zone esclusive di operatività, ovvero se hanno molte vendite in una certa zona, se le spartiscono, oppure si limitano a questi interventi di prezzo che danno risultato garantito. L’accordo di prezzo non vuol dire fissare il prezzo. Può significare impegnarsi a non abbassare i prezzi in un certo momento. Quando si vedono prezzi diversi, non vuol dire Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale che non c’è cartello, perché con il cartello ogni impresa continuerà sistematicamente al alzare i prezzi e non l’abbasserà mai rispetto al livello attuale. Due esempi di cartello, recentemente conclusi dalla Commissione Europea; due casi recenti, che offrono prospettive diverse di cartello. Il primo è il caso Bananas, che riguarda la vendita di banane nell’Europa del Nord, un mercato dove l’offerta proviene da poche imprese. Ci sono 3 concorrenti che si confrontano in questo mercato, e la concertazione si svolgeva con delle telefonate. I prezzi di vendita di questo prodotto sono fluttuanti; ogni settimana, l’impresa fa la sua offerta di prezzo destinata agli acquirenti del prodotto. Siccome questi prezzi variavano frequentemente, come si giocava il cartello? Le imprese, il giorno prima di fare le proprie offerte, si telefonavano a due a due. C’era la prima impresa, Chiquita, che si sentiva con gli altri concorrenti, Dole e Del Monte, per confrontarsi con loro, proponendo la sua offerta. Ognuno comunicava agli altri cosa avrebbe fatto. Con questo meccanismo delle telefonate settimanali, ognuno agiva sotto il controllo dei concorrenti, si dovevano tenere i prezzi stabili al rialzo. Secondo cartello è il Cadle Waxes, che riguarda le cere di paraffina, è un prodotto più industriale. Cere usate per la produzione di candele. Qualunque consumatore europeo è stato danneggiato da questo cartello, perché questa materia prima così diffusa nella produzione di candele, plastiche, che almeno un acquisto con prezzo da cartello è stato fatto un po’ da tutti. Megacartello più articolato scoperto dalla Commissione Europea, durato per tanti anni e che ha coinvolto una decina di imprese, e si svolgeva attraverso periodici incontri nelle associazioni di categoria, dove si definivano strategie, si stabilivano aumenti di prezzi e si mandavano delle mail, tra concorrenti, per comunicare i prezzi praticati. Mail che servivano per monitorare il rispetto del cartello. Cartello tipico caratterizzato da incontri, discussioni, concertazioni e monitoraggio. Ci sono diversi modi per scoprire i cartelli; un modo è quello delle denunce, avvolte le associazioni di consumatori denunciano che i prezzi sono troppo alti. La Commissione Europea, per scoprire questi cartelli, si è avvalsa dei programmi di clemenza, diffusi dalle Autorità Antitrust americane. Sono uno strumento con cui le Autorità di concorrenza promettono uno sconto di pena o l’immunità totale della pena, alle imprese disposte a collaborare con loro. Nel cartello Bananas, l’impresa Chiquita ha confessato alla Commissione quello che aveva fatto, portando tabulati delle telefonate avute coi concorrenti, mentre nel caso Cadle Waxes, varie imprese produttrici di paraffina si sono recate dalla Commissione, dichiarando di voler cooperare, raccontando quello che è successo attraverso documentazione, come le mail. I programmi di clemenza si basano sulla strategia che, l’impresa che per prima denuncia il cartello è esente da qualunque sanzione Antitrust. Le imprese, che arrivano per seconda o terza, possono avere uno sconto di pena che, nel nostro ordinamento, può arrivare al 50%, e questo perché le prove fornite possono rafforzare le prove fornite dalla prima impresa. Intese restrittive negli effetti: veri e propri contratti conclusi tra imprese, che non hanno nulla di segreto, che le parti vogliono poter azionare davanti a un Giudice, che aspirano alla piena liceità, ma che possono creare problemi di concorrenza. Due famiglie di tali accordi: accordi verticali di distribuzione e accordi orizzontali di cooperazione. Gli accordi di distribuzione sono quei accordi con i quali un produttore di beni vende i suoi prodotti a un distributore, e si accorda sulle condizioni della vendita. Condizioni più o meno articolate, a seconda dell’intensità del rapporto di cooperazione tra il produttore e il distributore. Ci possono essere Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale problemi se il produttore cerca un rapporto di cooperazione con il distributore, a cui gli si chiede delle prestazioni in cambio delle quali avrà dei vantaggi. Questo rapporto cooperativo di tipo verticale produttore – distributore, può avere delle ripercussioni sul mercato. Situazione tipica di questi accordi è che il produttore sia interessato a che il distributore deve essere molto attento alla vendita del prodotto, che richiede una serie di servizi per la clientela. Il produttore, per essere sicuro che il distributore s’impegnerà nella vendita dei suoi prodotti, gli chiederà un’esclusiva, di vendere solo per lui. Si fa un punto di distribuzione monomarca. Altra tipologia di accordo verticale sono gli accordi di distribuzione selettiva, molto usati nei prodotti di marca. Sono quei accordi con i quali un produttore seleziona i propri distributori in base a certe caratteristiche che devono avere, che garantiscono un certo sistema distributivo. Il produttore sceglie solo quei punti vendita che assicurano un risultato efficace. L’accusa rivolta a questi sistemi è che, il consumatore preferirebbe avere un sistema distributivo più scadente e pagare di meno il prodotto. Questo sistema sofisticato incrementa il livello dei prezzi ma, siccome il problema è quello di capire cosa c’è dentro il mercato, nella misura in cui il produttore seleziona dei punti vendita e ci sono altri fornitori di prodotto sul mercato, si ritiene che quest’accordi non siano problematici, ritenuti non anticompetitivi. Ultimamente, su questi accordi, la Commissione ha voluto verificare che questa selezione non precludesse le vendite on line, nel caso in cui queste vendite non fossero giustificate. Entrambi gli accordi devono essere valutati nel contesto di riferimento, in cui sono destinati ad esplicare i propri effetti. Quest’accordi possono rappresentare un problema, solo quando creano una barriera all’ingresso alla distribuzione di prodotti concorrenti; ciò non emerge nella distribuzione selettiva, e nella distribuzione esclusiva in favore del fornitore, non è detto che ci sia un effetto anticompetitivo, perché tale effetto ci sarà solo se il fornitore legherà a se tutti i prodotti. Gli accordi verticali, anche quelli che contengono restrizioni che si prestano a creare barriere all’ingresso per i concorrenti, sono preoccupanti nella misura in cui sono posti in essere da operatori dotati di un rilevante potere di mercato, perché anche la clausola di esclusiva non crea problemi se l’esclusiva è conseguita da un operatore piccolo. Altra tipologia di accordi, simili a quelli verticali da un punto di vista del potenziale impatto anticompetitivo, sono gli accordi orizzontali tra concorrenti, finalizzati a cooperare. La cooperazione può riguardare tanti segmenti della produzione, e i più interessanti sono produzione, distribuzione, ricerca e acquisti. La produzione in comune può essere uno strumento efficace per le imprese, che possono decidere di produrre un input insieme. Si mettono insieme per la produzione di un qualcosa. In più occasioni, l’Autorità di concorrenza ha analizzato accordi con cui le imprese petrolifere condividevano la gestione di bacini di stoccaggio del carburante, che sono un costo, un’infrastruttura inquinante, e anche i costi di gestione possono essere ammortizzati se in un grande deposito ci mettono carburante e più operatori, che fanno un accordo di cooperazione. Quest’accordo può essere utile, in quanto risparmia i costi, rende meno inquinato l’ambiente, ma può essere un problema nella misura in cui le imprese, mettendosi insieme, ognuna sa quanto carburante immetterà l’altra nel mercato, hanno omogeneizzato una voce di costo che può facilitare una collusione (equilibrio di Cournot), anche senza fare un accordo esplicito. Altro esempio di accordo di cooperazione sono gli accordi d’acquisto; le centrali d’acquisto nascono dagli operatori delle grandi distribuzioni che, mettendosi insieme negli acquisti, potevano vincere la corsa dei produttori. La centrale d’acquisto nasce per un’idea intelligente, ci si mette insieme e comprando di più, s’ottiene uno sconto. Ciò permette ai partecipanti di fare prezzi più competitivi Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale a valle, si paga di meno il prodotto e si rivende a meno. Ma questo richiede che il mercato della distribuzione sia molto competitivo. L’accordo di centrale d’acquisto può essere utile per rendere più omogenee le imprese. Condizioni della collusione: grado di concentrazione elevato, omogeneità tra operatori, similarità degli obiettivi, capacità di reazione; se ci si trova in contesto che è propenso alla collusione, anche una centrale d’acquisto può essere problematica. Quindi, il rischio degli accordi di cooperazione può essere la collusione, perché tali accordi facilitano equilibri spontanei delle imprese. Esempio degli accordi di cooperazione sono i contratti di ricerca. Accordi che possono avere un impatto sulla disciplina della concorrenza; ci sono casi problematici in cui, due imprese che già vendono due prodotti separatamente, per arrivare al prodotto di nuova generazione o al miglioramento del prodotto, si mettono insieme. Questa necessità di mettersi insieme per il perfezionamento di prodotti già venduti, può essere obiettiva, perché la ricerca verso il nuovo prodotto può implicare dei costi non quantificabili, ci possono essere incognite se si decide di ricominciare la ricerca per un prodotto nuovo, si può avere di fronte l’incognita di una ricerca di base costosa, i cui esiti non sono sicuri e l’accordo di cooperazione non è un problema. Può essere problematico tale accordo se lo sviluppo del prodotto è prevedibile, e l’accordo di ricerca è solo un modo per fare un’alleanza, valutando il mercato e le quote di mercato delle parti. Sia gli accordi verticali che orizzontali, pur avendo una matrice anticompetitiva, possono avere effetti complessivi che sono compensati, dove l’accordo produce efficienze tali che si può chiudere un occhio da un punto di vista della restrizione e della concorrenza. Un accordo di distribuzione esclusiva, di un’impresa non piccola, che vincola parecchi distributori ed è efficiente, perché migliora le condizioni di vendita di un prodotto sofisticato per il quale c’è richiesta di servizi pre e post vendita, gli effetti complessivi dell’accordo devono essere valutati nella loro interezza. Questo modo di procedere alla valutazione, tener conto degli effetti pro competitivi dell’accordo che nascono dall’efficienze, si chiama valutazione secondo ragione, elaborato negli Stati Uniti, per distinguere queste situazioni dai cartelli dove non ci sono efficienze che tengano. Valutazione d’efficienza che non è priva di riconoscimento normativo (art. 101 TFUE e art. 4 legge Antitrust italiana). Le due norme chiariscono che le intese, pur producendo effetti anticompetitivi e, allo stesso tempo, producono efficienze di cui possono avvantaggiarsi i consumatori finali, possono essere salvate dal divieto, purché le efficienze non avvantaggiano solo le imprese, e la concorrenza non sia esclusa per sempre dal mercato. Le efficienze, di cui bisogna tener conto, possono essere di tipo qualitativo, non conta avere solo un prodotto meno costoso, ma raggiungere anche un prodotto migliore. Quest’analisi di efficienza crea diversi interrogativi, con studiosi contrari alle norme dichiarando che, quando si fa un’analisi di efficienza, è come se si sacrificasse gli interessi di certi consumatori a quelli di altri, perché l’efficienza può essere interessante per alcuni consumatori e per altri no. Quando s’applicano le norme comunitarie, il test d’efficienza è automatico; per gli accordi di impatto locale, l’analisi d’efficienza deve essere richiesta dall’impresa e, fin quando l’Autorità Antitrust non accerta l’efficienza, l’intesa resta soggetta al divieto e si parla di autorizzazione dell’intesa. Per distinguere i due sistemi, si usa l’espressione regime di eccezione legale (art. 101), in cui l’efficienza è eccepita dall’impresa nel corso del procedimento ed è valutata con efficacia retroattiva; l’altra espressione è regime di autorizzazione in deroga (art. 4), è l’impresa a chiamare l’Autorità Antitrust per valutare l’intesa e l’efficacia è ex nu, dal momento in cui l’efficienza è accertata. In Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale entrambi casi, l’impresa deve dimostrare che l’accordo è indispensabile per raggiungere le efficienze. Alla luce delle norme sulle esenzioni, la Commissione Europea ha fatto dei regolamenti di esenzione, strumento tipico del diritto Antitrust europeo; servono a individuare categorie di accordi per i quali si presume che, per quanto possano essere restrittivi della concorrenza, sono produttivi di efficienze e, vista la dimensione delle imprese e i contenuti dell’accordo, si può presumere che vadano esentati, fuori dal divieto. I regolamenti più importanti sono i regolamenti sugli accordi verticali (nuova versione uscita quest’anno), e due regolamenti sugli accordi di cooperazione che sono gli accordi di specializzazione e gli accordi di ricerca. Il regolamento sugli accordi verticali stabilisce che, in a priori, gli accordi di distribuzione nei quali il fornitore e il distributore non abbiano una quota superiore al 30%, si presume che per quanto anticompetitivi saranno esentabili, producono efficienze, a meno che non contengano le clausole nere, delle condizioni intollerabili (il fornitore impone il prezzo di rivendita al distributore). Gli accordi di specializzazione e di ricerca hanno una logica simile; i primi, sono gli accordi con cui le parti producono in comune, oppure si dividono la produzione di due prodotti. Si sta cooperando, e il problema è se le imprese congiuntamente raggiungono una quota rilevante nel mercato, e si presume che questi accordi non siano anticompetitivi, o se lo sono saranno compensati dalle efficienze, se le imprese non raggiungono congiuntamente certe quote. Per gli accordi di ricerca, la quota è il 25% del mercato, se la ricerca riguarda un prodotto che sostituirà prodotti già esistenti. Se la ricerca riguarda un prodotto nuovo, si prescinde dalla quota di mercato e dopo 7 anni dall’inizio della produzione, si vedrà se è stato raggiunto il 25% nel mercato nuovo. In questi accordi, si va a vedere la posizione complessiva delle parti nel mercato che, negli accordi di specializzazione e di produzione in comune, è del 20%, mentre negli accordi di ricerca è del 25%. Nell’accordo di ricerca, se un’impresa ha, con il suo concorrente, una quota di mercato modesta, non bisogna preoccuparsi. Se la quota è rilevante, invece, bisogna distinguersi, perché l’impresa potrebbe essere molto grande nei mercati attuali, però incominciare una nuova linea di ricerca su un prodotto nuovo che ancora non esiste, e beneficiare dell’accordo di esenzione, perché quando il prodotto è nuovo, non contano più le quote di produzione, purché l’accordo non contenga restrizioni gravi. Una delle restrizioni che il regolamento di esenzione non ammette è che, l’accordo precluda a qualche partecipante la possibilità di sfruttamento della ricerca. Questo regolamento impone che tutte le parti che partecipano al progetto di ricerca, possano sfruttare separatamente o insieme i risultati della ricerca. Se ciò non è stabilito, non si può più beneficiare del regolamento di esenzione, ma ciò non vuol dire che tutto è perduto, perché si ha la possibilità di una decisione individuale che dimostri come, lasciare lo sfruttamento della ricerca ad un solo partecipante, può avere un senso in termini di efficienza, perché l’altro è un ente pubblico, un soggetto interessato che ci sia ricerca, ma non a sfruttarla. Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale 4. Brevetti - Originalità o novità intrinseca Originalità (detto anche dalla giurisprudenza novità intrinseca, art. 48 C.P.I.): norma chiave, è il cuore della disciplina brevettuale; il legislatore dice che, si concede un brevetto, un diritto di esclusiva protetto, se l’inventore dimostra di aver fatto un salto rispetto alla massa, a tutti gli altri che lavoravano nel settore, ed ecco perché, per capire l’attività inventiva, si fa riferimento al concetto di “esperto medio del settore”: se c’è una persona che lavora nel settore, lo conosce perfettamente ed è un esponente, ad esempio un’invenzione che riguarda la chimica farmaceutica, l’esperto del settore sarà un chimico farmaceutico, una persona che lavora nel campo che fa anche ricerca; se una persona del campo, trova questa invenzione, non sarebbe naturalmente arrivato a tale risultato e quel trovato non è un’invenzione. Naturalmente arrivato significa che il legislatore da per scontato che, dato un certo patrimonio di conoscenze, c’è un’evoluzione interna che porta a qualche piccolo miglioramento al quale si arriva tutti insieme. Non è un grande salto, ma una mera deduzione da tutto quello che si sa, e la sanno fare tutti gli esperti del ramo. Quello che deve essere tutelato come invenzione, è ciò che un esperto del ramo non troverebbe evidente dall’ambito delle conoscenze. Sono stati elaborati dei parametri interpretativi generali, che sono i criteri di non evidenza, ossia quando si contesta l’originalità di un trovato, la giurisprudenza dice di vedere se questo trovato si può considerare veramente originale; è originale quando non è evidente per un effetto medio. I parametri, dai quali si può dedurre che un qualcosa non è evidente per l’esperto medio, sono: la mano felice e il progresso tecnico; quest’ultimo è un semiparametro, cioè se l’invenzione ha portato a un progresso della tecnica. La mano felice, invece, nasce dalla saggezza popolare, ossia se il soggetto per arrivare a un risultato, deve fare un percorso complesso e questo vuol dire che non c’è grande intuizione. Un tipico indizio di vera invenzione è che un risultato complesso si raggiunge con una soluzione semplice. Tipico parametro è la semplicità e la sicurezza, con la quale l’invenzione propone di giungere al risultato. Altro aspetto sono i tentativi precedenti, ossia il fatto che esista un problema da risolvere, non significa che l’invenzione che lo risolve non sia originale; il fatto che si è cercato più volte di risolvere un problema con fallimenti, è un indizio che l’invenzione è originale. Altro elemento può essere il fatto che durante l’esistenza delle invenzioni ci siano molte contraffazioni, è considerato un indizio del fatto che l’invenzione non era un grande salto; se le contraffazioni non ci sono o se né verificata solo una, è l’esempio tipico che l’invenzione è solida. La valutazione di originalità si svolge tramite il coinvolgimento di periti, richiedono conoscenza del settore della tecnica, della chimica, della meccanica alla quale l’invenzione appartiene. Altro parametro è l’industrialità (art. 49 C.P.I.): l’invenzione deve appartenere al mondo dell’industria, cioè deve essere un trovato o un procedimento suscettibile di essere riprodotto. L’industrialità è vista come possibilità di ripetere la produzione del prodotto o l’attivazione del processo produttivo che costituisce l’oggetto dell’invenzione. L’invenzione è un trovato nuovo, che deve esprimere una rilevante attività inventiva e deve essere replicabile nell’industria. Inoltre deve avere un’utilità, una finalità. Quando la giurisprudenza valuta se un trovato presenta i requisiti di novità e originalità, chiede all’inventore di dimostrare a cosa serve la sua invenzione, cosa l’inventore ha fatto di nuovo e quale problema in più è Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale riuscito a risolvere rispetto al passato. L’inventore deve dare un contributo rilevante al progresso dell’umanità, un’utilità nuova. Se un’invenzione è divertente, ma non serve a nulla, non può essere considerata invenzione, e non possono accedere a brevettazione dei trovati di cui l’inventore conosce dei risultati, ma non l’ha focalizzati. Ciò riguarda alcuni settori delle invenzioni come la biotecnologia e la chimica; in questi ambiti, ci si può trovare di fronte ad attività inventive che sono già arrivate a uno stadio avanzato, ma non finale. Tipico caso è l’invenzione di una molecola. Chi inventa una molecola nuova, vuole ottenere l’esclusiva sull’uso della molecola, con tutte le possibili combinazioni finali che questa molecola può realizzare, i vari composti a base di questa molecola. Questa esigenza di brevettazione pone un problema di fondo, ossia l’inventore deve essere già in grado di identificare l’uso di questa invenzione. Spesso una molecola da luogo a composti omogenei, con una sola funzione. Nella misura in cui, si ha una classe omogenea di composti che da una funzione precisa, la scoperta può essere brevettata. Se poi emerge che, modificando le varianti finali, si ottiene un composto diverso che ha un’altra utilità, ciò non può essere ricompreso nell’invenzione originaria, perché era sconosciuto e le invenzioni risulterebbero due. Se la stessa impresa arriva alla scoperta di un secondo composto, può brevettarlo come invenzione autonoma, ma se vi arriva un altro, non lo potrà fare. Dietro queste realtà, si possono creare degli abusi enormi, perché l’impresa può brevettare una molecola generale, e dopo un paio d’anni dichiara di aver scoperto un nuovo composto e lo brevetta; ma il nuovo composto, con quella stessa molecola di base, non è così diverso dal composto originario. Per questo, quando si deve valutare se un’invenzione è brevettabile, è fondamentale non perdere di vista la necessità di identificare una funzione. Funzione che aiuta molto nell’identificazione di trovati meritevoli di brevettazione. Quindi, quando si valuta la brevettabilità di un trovato, bisogna capire se è originale, ossia risolvere in maniera non scontata un problema. Un eccesso di disponibilità a brevettare piccole innovazioni, che sono abbastanza scontate, comporta un uso distorto del brevetto. Diritti conferiti dall’invenzione: diritto morale (art. 62 C.P.I.), il diritto di essere considerato l’inventore; diritti patrimoniali (art. 63 C.P.I.), il diritto di sfruttare economicamente l’invenzione e di chiederne il brevetto. L’esclusiva che da la legge è quella di vietare agli altri di sfruttarla, e il diritto di esclusiva che spetta solo all’inventore è concesso con il brevetto. L’inventore, però, può decidere di non chiedere il brevetto e tenere, quindi, l’invenzione segreta. Chi inventa qualcosa, ha il diritto di essere riconosciuto come autore; anche nelle convenzioni internazionali, è ribadito il principio che l’inventore ha diritto che il suo nome sia riportato nel brevetto. È un diritto che non può essere trasferito. La legge, infatti, consente ai parenti stretti dell’inventore di far valere il suo diritto dopo la morte; i parenti fanno valere il diritto come morale del loro parente che non c’è più. Questo non è considerato come trasferimento del diritto patrimoniale. I diritti patrimoniali sono trasmissibili, nulla vieta che un inventore trasferisca i diritti economici, a partire dal diritto alla richiesta del brevetto. Ciò che è alienabile e trasmissibile è il solo diritto ad essere riconosciuto inventore. Si può decidere di non brevettare l’invenzione. Il vantaggio di non brevettare è il sostenimento delle tasse; si può decidere di non affrontare tali costi, ma ciò non significa che non si è tutelati. Se si ha un segreto industriale e la legge l’ho tutela, si è però esposti al rischio che qualcuno lo brevetti e si resta fregati. Una prima regola è l’invenzione di gruppo. Spesso le invenzioni sono il frutto di un lavoro di un equipe di Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale ricerca. Oggi come oggi, la maggior parte delle ricerche sono d’equipe e si svolgono in forma organizzata. L’equipe ha in comunione diritti nascenti dal brevetto, ognuno ha il diritto di essere considerato uno degli inventori, ma c’è il problema di come gestire i diritti patrimoniali e, riguardo a ciò, la normativa rinvia alle regole sulla comunione dei beni. Ci sono decisioni che si prendono, secondo criteri di ordinaria amministrazione, a maggioranza e le decisioni straordinarie si prendono secondo un’unanimità. Il problema di fondo è capire chi decide se e come brevettare, perché il brevetto può essere chiesto in diversi modi; ad esempio, come descrizione dell’invenzione, dove chiedere il brevetto. Invenzione “ordinata” caratterizzata da due situazioni: contratti di ricerca, processi articolati il cui principio è che un soggetto incarica un team di inventori o un inventore perché inventi qualcosa. La caratteristica è che tali soggetti non sono dipendenti; sono contratti che s’assimilano al contratto d’opera, d’appalto e sui quali si verifica l’ingerenza pubblica, perché avvolte sono le autorità pubbliche che finanziano le ricerche. Se si da un incarico di ricerca, tramite un contratto di ricerca, si può riservare il diritto di brevettare. L’inventore inventa poiché dipendente di un’impresa: tutte le imprese di media grandezza hanno una sezione dedicata alla ricerca, e anche le imprese che non hanno tale sezione, se vogliono restare nel mercato, devono innovare. La maggior parte delle innovazioni vengono dalle imprese, che lavorano in ricerca. Atteso che l’invenzione è realizzata da un dipendente, nel contesto dell’impresa e sotto la spinta dell’avviamento aziendale, l’imprenditore finanzia la ricerca e la indirizza per il miglioramento dei processi produttivi. La ricerca è organizzata sistematicamente anche nell’ambito di enti di ricerca; esistono degli enti che non si occupano della produzione di trovati, ma solo della ricerca di nuovi trovati. Questi enti, una volta raggiunto il trovato, lo fanno brevettare ma, anche in questo caso, il dipendente lavora per un ente che lo indirizza nell’attività di ricerca. Il brevetto, quindi, non spetta al lavoratore, bensì al datore di lavoro, o all’impresa o all’ente di ricerca che ha assunto l’inventore. Invenzioni dei dipendenti (art. 64 C.P.I.): l’invenzione è sempre fatta nello svolgimento delle mansioni lavorative, non deve essere un’invenzione fatta per caso, ma lavorando s’inventa. La differenza che emerge, tra l’invenzione d’azienda e l’invenzione di servizio, è legata alla componente economica; in un caso, si ha una maggiorazione stipendiale in più, perché ci si aspetta che s’arrivi ad inventare. Nell’altro caso, non si ha una maggiorazione della retribuzione, perché non ci si aspetta l’invenzione, e il datore di lavoro premierà l’inventore se inventa qualcosa. Si vedrà, quindi, se per lo svolgimento della prestazione lavorativa, c’è una maggiorazione stipendiale legata al fatto che ci si attende dei risultati in ricerca. Se c’è l’equo premio, l’inventore non era pagato per inventare. Bisogna capire, dal contratto di lavoro, se l’impresa ha deciso di pagare in più il dipendente, perché si aspettava un’attività inventiva. Se l’inventore ha già la maggiorazione, come sorta di scommessa, e l’impresa crede che questo inventerà, l’impresa stessa deciderà di pagare l’inventore mese per mese. L’impresa può optare per un’altra scelta, pagare l’inventore che fa solo la ricerca, ma senza tener conto del guadagno che darà in termini di attività inventiva. Ciò che conta è la diversità dello stipendio, perché se lo stipendio rientra nella media, difficilmente si potrà vedere che c’è una maggiorazione per l’attività inventiva. Il fatto che, il dipendente ha uno stipendio più alto della media per il tipo di funzioni che svolge, non si considera un elemento che testimonia il fatto che quel più, è perché ci si attende un’attività inventiva. Le imprese, quando hanno dei dipendenti dai quali s’aspettano qualche innovazione, devono fare dei contratti chiari. L’invenzione di servizio presuppone che il dipendente sia assunto con mansioni Valerio Morelli Sezione Appunti Diritto Industriale
Forse potrebbe interessarti:
Economia dell'innovazione
PAROLE CHIAVE:
industriadiritto industriale
Antitrust
Concorrenza
Marchio
BREVETTI
POSIZIONE DOMINANTE
tie-in