2
Fu così che, il 18 aprile 1951, fu costituita la CECA, ovvero la Comunità Europea del Carbone e
dell’Acciaio, allo scopo di creare un mercato comune per quelle che allora erano risorse di
grandissima importanza per l’economia, superando quelli che erano i limiti dell’OECE
(composizione troppo eterogenea, scarso potere decisionale, mancanza di obiettivi specifici e
mirati). E’ interessante notare come la nascita di questo primo embrione di Comunità Europea sia
dovuta a un’iniziativa volta a creare una sinergia e una collaborazione di tipo interregionale e
transfrontaliero (la produzione del carbone e dell’acciaio era concentrata in delle zone di frontiera,
in passato oggetto di dispute territoriali tra Francia e Germania: la Saar e il bacino della Ruhr),
nonché di attuare una politica economica e sociale comune nel suddetto settore di mercato. Con
questa iniziativa, inoltre, si poneva fine alla secolare contrapposizione tra Francia e Germania, con
effetti positivi per la pace e la stabilità di tutta l’Europa occidentale.
Partendo dalle considerazioni introduttive, facciamo un passo avanti e ci apprestiamo a considerare
con più attenzione i problemi relativi alla disomogeneità del tessuto sociale ed economico
nell’ambito dell’Unione (e talvolta anche nell’ambito di ciascun paese all’interno dell’Unione), e
alla necessità di ridurre queste disomogeneità anche attraverso un’efficace collaborazione
transnazionale e transfrontaliera.
Quali sono, dunque, le caratteristiche salienti di quelle che vengono riconosciute come aree in
ritardo di sviluppo, quindi bisognose di aiuti e di interventi strutturali da parte dell’Unione? Al fine
di un’assegnazione efficace dei fondi strutturali, sono stati adottati criteri precisi per individuare
queste aree.
Secondo la Comunicazione della Commissione Europea n. 344 del 01/07/1999, non pubblicata in
Gazzetta Ufficiale, che espone le linee direttrici per i programmi del periodo 2000-2006, sono tre
gli obiettivi prioritari per il suddetto periodo:
1. Promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo
2. Favorire la riconversione economica e sociale delle zone con difficoltà strutturali
3. Favorire l’adeguamento e l’ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione,
formazione e occupazione
Per quanto riguarda l’obiettivo 1, il criterio per stabilire quali regioni siano da considerare “in
ritardo di sviluppo” è stato, come per il periodo 1994-1999, il PIL pro-capite di ciascuna regione,
che deve essere inferiore al 75% della media comunitaria. E’ stato inoltre stabilito di fare rientrare
nell’obiettivo 1 le regioni insulari ultraperiferiche dell’Unione (ad esempio le Azzorre o le Canarie),
nonché le zone interessate dall’obiettivo 6 del periodo 1994-1999, ovvero le zone a scarsissima
densità di popolazione.
3
Nell’ambito dell’obiettivo 2, le zone definite genericamente come afflitte da “difficoltà strutturali”
vengono distinte in quattro tipi: zone industriali, rurali, urbane e dipendenti dalla pesca. E’ stabilito
che l’obiettivo 2 interessi non più del 18% della popolazione comunitaria, con una ripartizione
approssimativa del 10% per le zone industriali, del 5% per le zone rurali, del 2 e dell’1%
rispettivamente per le zone urbane e per quelle dipendenti dalla pesca. Le zone industriali
ammissibili sono contraddistinte da un tasso di disoccupazione superiore alla media comunitaria;
una percentuale di posti di lavoro nell’industria superiore alla media comunitaria; una tendenza al
declino di questa categoria di posti di lavoro. Le zone rurali, invece, devono rispondere a due di
quattro criteri combinati: densità inferiore ai 100 abitanti per km
2
o tasso di occupazione in
agricoltura uguale o superiore al doppio della media comunitaria; tasso di disoccupazione superiore
alla media comunitaria o tendenza alla diminuzione della popolazione. I criteri per l’ammissione
delle zone urbane sono cinque, tra i quali ne deve sussistere almeno uno: tasso di disoccupazione di
lunga durata superiore alla media comunitaria; elevato livello di indigenza; situazione ambientale
degradata; elevato tasso di criminalità; basso livello di istruzione della popolazione. Le zone
dipendenti dalla pesca, infine, devono rispondere ai seguenti requisiti: tasso di occupazione
significativo nel settore della pesca, con problemi relativi alla ristrutturazione del settore;
diminuzione significativa dei posti di lavoro in questo settore. L’ammissibilità all’obiettivo 2 può
essere estesa a zone contigue a quelle ammissibili all’obiettivo 1; a zone rurali colpite dal fenomeno
dell’invecchiamento della popolazione agricola attiva; a zone che si trovano a far fronte a gravi
problemi derivanti dalla ristrutturazione nei settori agricolo, industriale o dei servizi.
Gli interventi riguardanti l’obiettivo 3 non interessano le regioni comprese nell’obiettivo 1. Esso è
legato alla nuova strategia europea nel campo dell’occupazione, elaborata nel trattato di Amsterdam
(ottobre 1997).
Possiamo dunque tracciare un identikit delle aree in ritardo di sviluppo, secondo alcune
caratteristiche ricorrenti: tasso di disoccupazione elevato, o in crescita; reddito pro capite basso, in
genere inferiore alla media comunitaria; prevalenza del settore primario o secondario (agricoltura,
pesca, industria) rispetto al settore dei servizi; tendenza all’obsolescenza e alla crisi di questo tipo di
attività, con conseguenze negative sull’occupazione. E’ dunque in queste aree che si devono
concentrare gli sforzi di coesione e integrazione dell’Unione Europea, stimolando iniziative volte a
modernizzare il tessuto economico-industriale e a creare nuovi posti di lavoro. Queste iniziative
vengono finanziate attraverso degli strumenti particolari, chiamati fondi strutturali. I fondi
strutturali sono uno strumento finanziario adottato dall’UE per ridurre le disparità economiche
esistenti fra le varie regioni che ne fanno parte.
4
Esistono quattro fondi strutturali: il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), nato nel 1975, il
cui compito principale è la riduzione degli squilibri regionali e la creazione di posti di lavoro (Reg.
CE n. 1783/99)
1
, e che assorbe la maggior parte delle risorse dedicate ai fondi strutturali; il FSE
(Fondo Sociale Europeo), nato nel 1960 e operativo dal 1962, che finanzia progetti rivolti allo
sviluppo delle risorse umane (Reg. CE n. 1784/99)
2
; infine il FEAOG (Fondo Europeo Agricoltura,
Orientamento e Garanzia), nato nel 1962, che contribuisce allo sviluppo economico e sociale delle
zone rurali (Reg. CE n. 1257/99)
3
, e lo SFOP (Strumento Finanziario di Orientamento alla Pesca),
nato nel 1993, volto al miglioramento e allo sviluppo nel settore della pesca (Reg. CE n. 1263/99)
4
.
Tutti i fondi operano nell’adempimento dell’articolo 130 C del Trattato di Roma, che introduceva il
tema della disparità di sviluppo nell’allora nascente Comunità Europea. Il Trattato di Maastricht,
nel 1992, ha poi perfezionato quello di Roma, prevedendo esplicitamente i fondi strutturali e
delineandone i compiti. C’è poi la Banca Europea degli Investimenti (BEI), istituita nel 1958 dal
Trattato di Roma, che ha il compito di contribuire al conseguimento di uno sviluppo equilibrato. E’
dotata di autonomia finanziaria e di una propria personalità giuridica. I suoi finanziamenti sono
integrativi rispetto a quelli dei fondi strutturali. I destinatari dei fondi, infine, vengono stabiliti
mediante una concertazione tra le singole Regioni, lo Stato e la Commissione Europea, attraverso
due differenti percorsi decisionali: si può puntare sui Documenti Unici di Programmazione
(DOCUP), con il vantaggio di una immediata operatività dell’iniziativa, oppure sui Piani di
Sviluppo Regionale, che diventano poi QCS (Quadri Comunitari di Sostegno), a norma del Reg. CE
n. 2082/93
5
, e che si strutturano infine in Programmi Operativi, Sovvenzioni Globali e Grandi
Progetti. Questo percorso, però, costringe a un iter più lungo prima dell’erogazione dei fondi.
Le aree in ritardo di sviluppo sono distribuite in modo eterogeneo sul territorio dell’Unione
Europea, con differenti tipologie di ritardo a seconda dei Paesi e della loro situazione politica,
sociale ed economica. A grandi linee, e in base all’analisi portata avanti finora, si può dire che le
zone più colpite da questo tipo di disagio sono: le zone rurali, le zone soggette a declino industriale,
le zone di frontiera.
1
Regolamento (CE) n. 1783/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 1999 relativo al Fondo
europeo di sviluppo regionale, pubblicato in GUCE n. L 213 del 13/08/1999
2
Regolamento (CE) n. 1784/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 1999 relativo al Fondo
sociale europeo, pubblicato in GUCE n. L 213 del 13/08/1999.
3
Regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte
del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG), pubblicato in GUCE n. L 160 del 26/06/1999.
4
Regolamento (CE) n. 1263/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 relativo allo strumento finanziario di
orientamento della pesca, pubblicato in GUCE n. L 161 del 26/06/1999.
5
Regolamento (CE) n. 2082/1993 del Consiglio del 20 luglio 1993 che modifica il regolamento (CEE) n.
2052/88 recante disposizioni di applicazione del Regolamento (CEE) n. 2052/1988 per quanto riguarda il
coordinamento tra gli interventi dei vari Fondi strutturali, da un lato, e tra tali interventi e quelli della Banca Europea
per gli Investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti, dall’altro, pubblicato in GUCE n. L 193 del 31/07/1993.
5
Le tre categorie, in particolare la prima e la terza, possono spesso coincidere tra loro. Possono
essere considerate aree di disparità economica interi Paesi, come ad esempio il Portogallo, la Grecia
e l’Irlanda o la Spagna, da sempre considerati i più “poveri” dell’Unione; oppure determinate zone
di un Paese: ad esempio tutta l’Italia meridionale, le zone rurali interne della Spagna, la Corsica, le
regioni più remote della Scandinavia, l’ex Germania Est (in proposito, l’esperienza di solidarietà e
integrazione in occasione della riunificazione della Germania, quando la Comunità Europea si trovò
ad affrontare il problema dell’ex Germania Est, potrà tornare molto utile nei prossimi anni, con
l’allargamento a Est dell’Unione). E’ in queste aree, difatti, che più si concentrano i progetti e le
iniziative comunitarie volte a promuovere lo sviluppo economico e sociale. Destinatarie dei fondi e
oggetto delle iniziative, specialmente quelle per le zone con difficoltà strutturali (obiettivo 2), non
sono però grandi aree definite genericamente, ma realtà locali precise e ben distinte, distribuite “a
macchia di leopardo” sul territorio.
In conclusione si può dire che, se da un lato l’esistenza di zone più ricche e sviluppate rispetto ad
altre può essere considerata fisiologica in un territorio vasto ed eterogeneo come quello dell’UE,
dall’altro c’è e ci sarà sempre più bisogno di iniziative volte alla coesione economica e sociale.
Buoni risultati in questo senso sono stati raggiunti, negli ultimi anni, grazie ai Fondi strutturali e
alle iniziative comunitarie. Restano tuttavia delle aree di miglioramento, in particolare per ciò che
riguarda la cooperazione con paesi terzi e il coordinamento degli interventi.
6
1. L’INIZIATIVA INTERREG
1.1 La cooperazione interregionale
1.1.1 : La cooperazione interregionale e transfrontaliera attraverso la storia
La cooperazione internazionale, interregionale e transfrontaliera è sempre stata uno dei valori
fondanti delle Comunità Europee. Oggi questo valore è ampiamente riconosciuto, ed è stato fatto
proprio da tutte le istituzioni comunitarie e da tutti gli stati membri. Esso si esprime attraverso le
politiche di coesione economica e sociale, e viene messo in pratica tramite diverse iniziative
comunitarie, tra cui anche INTERREG. Il cammino delle politiche di coesione, però, è stato un
cammino molto lungo e non privo di difficoltà. Per rintracciarne le origini, dobbiamo fare un salto
indietro nel tempo: poco dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Un primo segnale che va nella direzione di un’unità e di una coesione europea, dopo le devastazioni
causate dal conflitto, lo si può ritrovare nel discorso tenuto a Zurigo nel 1946 dal grande statista
Winston Churchill. In quell’occasione, egli sostenne la necessità di creare gradualmente degli “Stati
Uniti d’Europa”
6
. Il primo passo in tal senso avrebbe dovuto essere un’associazione tra Francia e
Germania. Un primo esempio di organismo internazionale regionale nell’Europa post-bellica si ha
nel 1948 con la nascita dell’OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica), il
cui fine principale era la gestione comune del massiccio aiuto concesso dagli Stati Uniti all’Europa
occidentale per mezzo del “Piano Marshall”. Scopo degli USA era, sostenendo la ricostruzione
economica, creare un blocco di paesi europei alleati da contrapporre ai paesi dell’est, sotto
l’egemonia dell’Unione Sovietica. L’OECE, però, aveva dei limiti: la composizione era troppo
eterogenea, il potere decisionale era scarso, il coordinamento tra le azioni dei diversi stati era
inesistente. Era dunque necessario un diverso modello di organizzazione: un’organizzazione
sovranazionale, con obiettivi specifici e mirati. Fu così che, il 18 aprile 1951, fu costituita la
CECA, ovvero la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, allo scopo di creare un mercato
comune per quelle che allora erano risorse di grandissima importanza per l’economia, nonché di
attuare una politica economica e sociale comune nel suddetto settore di mercato. Aderivano a questa
iniziativa Francia, Repubblica Federale tedesca, Italia, Benelux.
6
Sul punto cfr. F. LAURIA, Manuale di Diritto delle Comunità Europee, Torino 1992, 2
a
edizione, pag. 4