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Il protagonista della filosofia heideggeriana
Nel pensiero di Martin Heidegger, l’essere e il nulla sono raggiungibili
attraverso l’angoscia, la tonalità emotiva
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(Stimmung) fondamentale. È
questo ciò di cui si discuterà qui di seguito, prendendo in esame,
principalmente, le opere Essere e tempo e Che cos’è metafisica?.
Per Heidegger, la filosofia si configura come ontologia fenomenologica
e universale scaturente dall’ermeneutica dell’Esserci (Dasein
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) e che su
questo ente è destinata a ripercuotersi
3
. L’essere, a cui una tale indagine
mira, risulta interrogato dal Dasein, il richiedente, il protagonista di tale
domanda
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.
1 Per un’analisi approfondita delle tonalità emotive nel pensiero heideggeriano, cfr. A. CAPUTO,
Pensiero e affettività: Heidegger e le Stimmungen, FrancoAngeli, Milano 2001.
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A differenza della filosofia classica tedesca che adopera tale termine per indicare l’esistenza in
generale, Heidegger lo intende in senso letterale: per lui indica, propriamente, il Da del Sein, il ci –
vale a dire il luogo d’apertura e del determinarsi attraverso una comprensione – dell’essere.
L’Esserci è dunque quell’ente privilegiato per via del suo rapporto con il proprio essere e con l’essere
in generale.
Inoltre, per Heidegger non si può più parlare di Mensch riferendosi all’uomo, in quanto il termine
risulta troppo contaminato dalla tradizione. Il suo è un avvertire la necessità di ripensare l’ontologia
e il suo soggetto e dunque quell’ente – l’Esserci – capace di porre la domanda filosofica per
eccellenza, quella sull’essere. Pertanto, è necessario risignificare tale ente, che diversamente
resterebbe ancorato all’ontologia greca o alla teologia cristiana che, rispettivamente, guardano
all’uomo come animale razionale e creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio.
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Tale definizione è esplicitata nel terzultimo capoverso del §7 di Essere e tempo.
Mentre per Husserl la fenomenologia coincide con l’indagine stessa che la filosofia, come «scienza
rigorosa» (Urwissenschaft), è in grado di svolgere, per Heidegger la filosofia è scienza dell’essere,
ontologia (Ursprungwissenschaft, scienza dell’origine). Pertanto, l’espressione «fenomenologia»
indica un concetto di metodo.
Al fine di spiegare il modo di operare della fenomenologia, nel §7 di Essere e tempo, Heidegger
approfondisce i concetti di fenomeno (analizzando le differenze tra i termini Phänomen, Schein e
Erscheinung) e di logos, oltre che quello di «ermeneutica».
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Compreso che la fenomenologia è la strada per arrivare all’essere, vi è da intendere quella che è la
struttura di questo domandare (Fragen) dell’essere e ancor più nello specifico di quali componenti
tale domanda è composta.
Nel §2 di Essere e tempo, Heidegger individua tre momenti che ne definiscono la struttura: vi è il
Befragte, l’interrogato, cioè l’ente al quale ci si rivolge per avere risposta; il Gefragte, ciò che è
chiesto nella domanda, ciò che si vuole ricercare ed ottenere, ovvero l’essere; e poi vi è l’Erfragte,
ciò che è propriamente richiesto, il senso. È necessario, però, ricordare che in tale ricerca non
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Dell’essere dell’ente abbiamo già da sempre una comprensione, seppur
vaga e indeterminata.
«Non sappiamo che cosa significa «essere». Ma per il solo fatto di chiedere:
«Che cosa è ‘essere’?» ci manteniamo in una comprensione dell’«è», anche
se non siamo in grado di stabilire concettualmente il significato di questo
è.»
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Nel porre la domanda sull’essere (Seinfrage), l’Esserci si colloca nel
circolo ermeneutico di tale indagine e la sua circolarità consente di
sottolineare il darsi fattuale di quel rapporto che lega essere ed Esserci
e che distingue quest’ultimo dagli altri enti per il suo primato
6
.
L’Esserci si configura come quell’ente di cui ne va il proprio essere
7
.
Questo ente non tanto è, ma può essere. Per Heidegger, l’esistenza non
va intesa come qualcosa di statico, ma indica che l’essenza dell’Esserci
è costituita da un aver da essere, di volta in volta, il proprio essere. La
comprensione di tale essere non è data una volta per tutte, bensì è
bisogna appiattire l’essere sull’ente, considerarli sullo stesso piano – indagarlo cioè al livello ontico,
che è proprio dell’ente –, ma al tempo stesso va ricordato che non si può indagare l’essere
direttamente. Bisognerà passare per quell’ente chiamato Dasein che è in un particolare rapporto con
il proprio essere e che, come detto, è implicitamente parte della struttura di questa domanda. Anzi,
ne è il protagonista, ossia il richiedente.
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M. HEIDEGGER, Essere e tempo, a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 2015, p. 17.
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Nello specifico, nel § 4 di Essere e tempo, Heidegger riconosce all’Esserci un triplice primato. In
primo luogo ha un primato ontico, in quanto questo ente «è determinato nel suo essere
dall’esistenza», cioè è in grado di rapportarsi alla propria esistenza; un primato ontologico, in quanto
può porre la domanda sull’essere (l’Esserci è in sé ontologico «per il suo esser-determinato
dall’esistenza»); infine ha un terzo primato poiché «esso è la condizione ontico-ontologica della
possibilità di ogni ontologia», possiede dunque un primato ontico-ontologico in quanto è
caratterizzato anche dalla comprensione dell’essere di ogni ente difforme da esso (HEIDEGGER,
Essere e tempo, cit., p. 26).
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È uno dei caratteri fondamentali dell’Esserci, che Heidegger esprime con il termine Jemeinigkeit,
«essere sempre mio». Ciò di cui ne va, nell’Esserci, è quell’esistente che noi stessi sempre siamo.
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sempre in gioco; e all’Esserci è data la possibilità di attuare o meno una
tale comprensione, cioè di essere o meno sé stesso.
A tal proposito, Heidegger precisa che l’Esserci può anzitutto
fraintendere sé stesso, configurarsi cioè come esso non è – e questo
accade nella quotidianità
8
. Questo, però, non costituisce un ente
separato dall’Esserci, quanto un modo d’essere dell’Esserci stesso,
ovvero quello dell’autodispersione
9
.
Ma come cogliamo l’Esserci nella sua autenticità (Eigentlichkeit)? Per
farlo, è necessario prendere in esame quella che in sede ontologica è la
«situatività» (Befindlichkeit) dell’Esserci, cioè il suo sentirsi situato, e
che onticamente è nota con «tonalità emotiva».
La Befindlichkeit indica il modo in cui l’Esserci si trova aperto nei
confronti del puro e semplice fatto di esistere. Nel paragrafo 29 di
Essere e tempo, Heidegger indaga tale fenomeno come un esistenziale
fondamentale, lavorando sulle tonalità emotive (Stimmungen) e
riattribuendo ad esse una dignità filosofica che, da Aristotele in poi, era
venuta meno.
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Nel quarto capitolo di Essere e tempo, Heidegger prosegue l’analisi dell’Esserci mostrando che è
già da sempre in un mondo e in relazione con esso. E dunque, la comprensione di sé avviene a partire
proprio dagli altri, nella quotidianità. In tale contesto, avviene un fraintendimento del proprio essere.
Heidegger parla di un essere-assieme che dissolve il singolo Esserci nel modo di essere degli altri.
Ciò che si prospetta è una situazione di medietà e il soggetto di tale situazione è denominato da
Heidegger come Si (Man). Nel mondo del Si, ciascuno è l’altro e nessuno è sé stesso. Questo modo
improprio col quale l’Esserci si comprende è un modo inautentico; ed è in tale contesto che avviene
una deiezione dei concetti di visione, comprensione e discorso che si chiudono in curiosità, equivoco
e chiacchiera, come dirà Heidegger in seguito.
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Va fatto presente che, nella riflessione heideggeriana, il fenomeno dell’inautenticità e quindi della
dispersione del sé non è un giudizio negativo, bensì una descrizione fenomenologica di alcuni
caratteri della quotidianità.
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La Befindlichkeit manifesta anzitutto la fatticità (Faktizität
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)
dell’esistenza dell’Esserci, tralasciando la provenienza e la finalità di
un tale esistere. Questo perché l’Esserci si trova «gettato» in una tale
situazione. Tale stato dell’Esserci è ciò che Heidegger definisce
appunto «gettatezza» (Geworfenheit)
11
.
Indicare l’apertura (Erschlossenheit) dell’Esserci significa rivolgersi al
carattere costitutivo per il quale l’Esserci si apre a tutto ciò che c’è, al
mondo e a sé stesso; è cioè al tempo stesso aperto e aprente.
Tale relazione tra Esserci ed essere è possibile poiché l’Esserci indica,
propriamente, quel luogo di incontro con l’essere stesso. Esso cioè è già
da sempre in relazione a qualcosa e ciò indica un esser già fuori di sé
dell’Esserci. Parliamo di apertura poiché l’Esserci si configura come
quell’ente che è di volta in volta il suo Ci. Ciò significa che questo ente
è già da sempre illuminato rispetto a tutti quei rapporti nei quali può
trovarsi coinvolto.
Dunque, l’Esserci è il luogo in cui l’essere viene a dischiudersi. In esso
vi è la possibilità di portare a galla la verità, di far accadere lo
svelamento, la verità come aletheia
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.
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Heidegger chiama questo «fatto» dell’esistenza la fatticità (Faktizität) dell’Esserci. Tale termine
è differente da quello di fattualità (Tatsächlichkeit): mentre quest’ultimo indica il semplice fatto che
qualcosa è concretamente, che c’è, la fatticità esprime i caratteri fattuali dell’Esserci, cioè il suo
essere già da sempre in un mondo e nel trovarsi in un rapporto costitutivo e preliminare con l’essere
in generale.
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«Non c’è però solamente questo elemento del «trovarsi», dell’«essere gettato» di volta in volta in
una particolare situazione, a caratterizzare l’esserci in quanto aperto alla fatticità del proprio esistere.
L’esserci, infatti, non solo percepisce una tale situazione […] ma anche avverte un tale suo percepire.
Ciò è dovuto al fatto che vi è una particolare riflessività nello stesso sentire, tale che […] esso risulta
al tempo stesso anche un «sentir di sentire» […]. Ecco perché l’ambito degli «stati d’animo», delle
«emozioni», delle «passioni» e degli «umori» può essere una delle modalità in cui il mondo è aperto
all’esserci.» A. FABRIS, Essere e tempo di Heidegger. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma
2004, p. 114.
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Il Ci indica appunto l’apertura che costituisce l’Esserci. Con esso si può rendere manifesto
l’essere. L’immagine più indicata a tal questione che Heidegger propone è quella della radura