Introduzione
25 marzo 1958 L’atteggiamento fenomenologico talvolta, ti fa vivere la filosofia, ma non ti dispone a scrivere a
“fissare” le tue idee. In questo senso, anche in questo senso è socratico.
E. Paci, Diario Fenomenologico, Monza: i Satelliti Bompiani, 1973, p.48.
Quello della fenomenologia è stato uno dei movimenti più magmatici del Novecento, nella misura
in cui si è differenziato e ha influenzato molteplici esperienze spesso in contrasto tra di loro, la cui
portata forse è ancora difficile stabilire con esattezza. Esemplificativo di questa sua multivocità, o
perlomeno di questa molteplicità d’interpretazioni possibili è il fatto che numerosi attori della sua
storia si siano sentiti in dovere di darne una definizione che rendesse quella “parte” di
fenomenologia diversa dalle altre. Durante i felici anni d’insegnamento a Friburgo, prima del
distacco intellettuale dal suo allievo prediletto, Edmund Husserl si esprimeva nei seguenti termini
«La fenomenologia siamo io e Heidegger e nessun altro»
1
. Ed è proprio a seguito del distacco
intellettuale tra i due che è iniziata per così dire la diaspora dall’alveo husserliano, la cui idea di
Fenomenologia risiedeva sostanzialmente nella necessità di un ripensamento totale della storia della
filosofia pregressa, nel bisogno di un «ritorno alle cose stesse» che permettesse una volta per tutte
di rifondare la filosofia come una scienza rigorosa e quindi non più passibile di infondatezza e
astrattezza
2
. Naturalmente, per motivi di spazio e di vastità dell’argomento in questione, non ho
intenzione di delineare un resoconto completo del “movimento fenomenologico”. E in questo
proliferare d’interpretazioni, di posizioni teoretiche contrastanti e di applicazioni di varia natura e
genere è mia intenzione recuperare un attore preciso; l’obiettivo di questa tesi è quindi recuperare e
ripensare la novità e l’importanza del pensiero e della persona di Enzo Paci. Dico “del pensiero e
della persona”, in primo luogo, per enfatizzare l’inestricabile coimplicazione tra “pensiero e vita
vissuta” che è proprio uno dei capisaldi della fenomenologia fin dall’ultimo Husserl, che apre la
1
Hans Georg Gadamer, Il movimento fenomenologico, a cura di Corrado Sinigaglia, Bari: Laterza, 1994, p.
29.
2
Enzo Paci, Introduzione a l’Elogio della filosofia, Torino: Paravia, 1958, pp. VI-VII.
In questo passo introduttivo al testo di Merleau-Ponty, Paci accenna alla distinzione necessaria, seppur
sommaria, tra un primo Husserl che «può essere interpretato come un filosofo delle essenze» e un ultimo
Husserl che «deve essere interpretato come un filosofo dell’esistenza intesa come mondo della vita». La
prima fase del pensiero husserliano, nella quale egli insisteva costantemente sul bisogno
dell’«epochizzazione», sulla necessità metodologia della riduzione fenomenologica, per sospendere il
giudizio sul mondo e rivolgersi alle essenze, è quella sulla quale si sono basate le accuse di platonismo ad
Husserl; ma Paci sostiene che corsivo mio «sospendere il giudizio e ridurre fenomenologicamente vuol dire,
prima di tutto «porre tra parentesi» ogni teoria, ogni discorso astratto, ogni costruzione intellettualistica, ogni
sistema: vuol dire rifiutarsi di imporre alla viva esperienza, all’esistenza, «alla cosa stessa» un ordine
preordinato e precostituito, un sistema antecedentemente compiuto». Paci sostiene l’inevitabile evoluzione in
senso esistenzialista del pensiero husserliano riconsiderando l’interesse dell’Husserl delle Ideen per il tema
del tempo e della negazione del mondo, prodromici rispetto ai due temi caratteristici dell’esistenzialismo
heideggeriano: il problema del nulla e il problema del tempo.
4
Lebenswelt come campo d’indagine nel quale, effettuata la riduzione trascendentale il
fenomenologo deve riscoprirvisi per –secondo le parole di Merleau-Ponty– «ritrovare quel contatto
ingenuo con il mondo e alla fine dargli uno statuto filosofico»
3
. Ma la fenomenologia è
caratterizzata anche dalla duplicità, dall’ambiguità: come «ambizione d' una filosofia che vuole
essere una scienza esatta, ma è anche un resoconto dello spazio, del tempo, del mondo vissuti. È il
tentativo di una descrizione diretta della nostra esperienza così com’è, senza alcun riferimento alla
sua genesi psicologica e alle spiegazioni causali che lo scienziato, lo storico o il sociologo possono
fornire»
4
. Nella declinazione che Enzo Paci ne fornisce, la fenomenologia diventa un preciso stile
etico, un modo determinato di stare al mondo e di pensarsi e pensare al mondo, in una prospettiva
più dilatata di quella meramente teoretica, ossia ritornando nella critica della società che è critica
dei singoli soggetti componenti. Risolvendosi nell’effettiva possibilità di trasformazione radicale
del mondo e dell’uomo, nella praxis e nel reindirizzamento di un’intenzionalità che si è inaridita e
alienata totalmente nel consumo e nel feticcio, la fenomenologia tenta di superare l’impasse nel
quale l’occidente si è gettato e dal quale è necessario un riscatto. In Paci diventa primariamente
«un’ascesi nel senso etimologico di esercizio» volto a risolvere quell’impasse che l’Husserl della
Krisis aveva connotato come la stanchezza dell’Occidente: una riflessione vissuta che vuole vivere
la crisi e non rassegnarsi ad una passiva accettazione di questa. Una riflessione conscia della
presenza in seno alla società umana stessa dei presupposti della sua distruzione, e che intende
proporre positivamente una via d’uscita. L’elemento caratterizzante della filosofia paciana, come
mette in rilievo Giovanni Piana, suo allievo, sta proprio in questa coscienza costante che la
riflessione teorica, partendo e ritornando alla Lebenswelt, deve essere in grado di ripensare e di
ricomprendere ogni sviluppo filosofico e scientifico tenendo conto delle «determinazioni materiali
che condizionano l’operare soggettivo in un sviluppo sociale attraversato da parte a parte da una
conflittualità storica»
5
.
Già queste considerazioni preliminari ci permettono di caratterizzare una componente
sostanziale della riflessione di Paci nel suo originale tentativo di unione di fenomenologia e
marxismo, in un’ottica esplicitamente e pragmaticamente orientata verso il cambiamento. Ma la
riflessione di Enzo Paci non è stata solo questo.Il Diario fenomenologico, oltre a fornirci
l’immagine di un pensiero e di un pensatore estremamente rigorosi, ci permette, per volontà di Paci
stesso, di vedere quei pensieri sorgere nella pratica quotidiana del fare fenomenologia, con le parole
di Paci di sostituire ai «discorsi sottili» l’evidenza intersoggettiva e in primo luogo umana
dell’esperienza quotidiana (sulla composizione e sulla rilevanza di questo testo tornerò nel
paragrafo dedicatogli); dove la distinzione tra l’evidenza e il discorso sottile si risolve nella
3
M. Merleau-Ponty, La fenomenologia della percezione, a cura di A. Bonomi, Milano: Bompiani, 2003, p.
15.
4
Ivi, p. 15.
5
G. Piana, Una ricerca ininterrotta. La lezione di Enzo Paci, in «L’Unità», 3 agosto 1976.
5
dinamica manifesta del «senso del tempo, l’incarnarsi della verità filosofica, nella vita quotidiana»
6
.
Prima di continuare con l’esposizione delle tematiche e delle riflessioni paciane si rende necessaria
una scelta: data anche la natura di questo lavoro di tesi non è mia intenzione né recuperare la totalità
né fornire un resoconto completo dell’evoluzione intellettuale del pensiero di Paci. A questo
proposito tratterò quelle che possiamo definire tre parti della riflessione paciana che si rifanno ad
importanti periodi della sua vita: il primo capitolo sarà dedicato all’analisi e allo studio
dell’innovativa declinazione “relazionistica” della fenomenologia paciana, come venne presentata
in Tempo e Relazione; il capitolo II sarà interamente dedicato all’esperienza della rivista aut-aut
fondata dallo stesso Paci, e ad un resoconto della fase fenomenologico-marxista del pensiero
paciano. Infine nel III capitolo tornerò a trattare, in linea con il Diario fenomenologico, la questione
del soggetto fenomenologico e della vita di Paci.
Prima di iniziare a trattare il testo fondamentale per comprendere la particolare accezione
relazionistica della fenomenologia paciana, penso sia utile una riflessione. La peculiarità
dell’esperimento paciano – per quanto riguarda la fase di sintesi marxismo e fenomenologia – sta a
mio parere nell’aver tentato di accostare un tipo di atteggiamento filosofico come quello
fenomenologico, che per sua costituzione non prevede il raggiungimento di concretizzazioni, ma
anzi impone come stile esattamente la necessità di riaffrontare ogni questione senza alcun apporto
delle conoscenze pregresse, con il marxismo, che invece fa forza in primo luogo sulla sua portata
ideologica, di funzione identitaria e poi di critica economica
7
: non a caso in Italia negli anni ’60
questa operazione fu causa di aspre critiche a Paci stesso. Può essere utile rifarsi all’introduzione
del Diario fenomenologico, scritta nel 1974, quindi posteriore alla prima pubblicazione di questo,
nella quale Paci ribadisce come il telos di questa nuova sintesi sia la creazione di una società nella
quale nessun uomo sia oggetto per l’altro (il portato sociale dell’obbiettivazione scientifica), nella
quale ogni individuo sia considerato nella sua concretezza di uomo e di agente trasformatore del
mondo. Non un marxismo umanista, ma una sintesi emergente, enciclopedica nel senso che
comprende al suo interno «non […] solo relazione tra le scienze, ma la totalità e la pienezza
dell’uomo e delle sue operazioni»
8
.
6
E. Paci, Introduzione a Il Diario fenomenologico, Milano: Bompiani, 1973, p. 8.
7
E. Paci, Funzione delle scienze e significato dell’uomo, Milano: il Saggiatore, 1970, pp. 13-14.
A questo riguardo Funzione delle scienze e significato dell’uomo è il testo nel quale più diffusamente Paci
ha sostenuto l’avvicinamento Marx-Husserl. Nell’introduzione viene evidenziata l’apparente paradossalità e
anche il probabile rifiuto, da parte di entrambe gli autori relati, di questo accostamento. Però non è una
questione di coerenza o di scontro tra due filosofie che sarebbero sembrate troppo dogmatica una e troppo
teoretica l’altra ai rispettivi autori: si tratta di rilevare all’interno di entrambe le posizioni una medesima
tensione verso la liberazione dell’uomo dall’obiettivazione o dall’alienazione, di cui Husserl fornisce i
presupposti teoretici –la condizione di intersoggettività costituente che porta ogni individuo a pensarsi non
come fatto atomico ma come un nodo di relazioni, e tutte le riflessioni della Krisis– mentre Marx lo
strumento di trasformazione attiva, la praxis.
8
E. Paci, Introduzione a Il Diario fenomenologico, cit., p. 7.
6
1. Tempo e Relazione
1.1 La fondazione del Relazionismo e la vertigine dell’interconnessione
Perciò dell’evento si può dire proprio il contrario di ciò
che si dice della sostanza e cioè che esso in se et
per se non concipitur et omnia indiget ad existendum.
E. Paci, Tempo e Relazione, p. 35.
Questo paragrafo sarà dedicato alla descrizione della particolare declinazione che Paci impose alla
sua idea di fenomenologia, e l’analisi partirà dall’introduzione di Tempo e relazione, volume in cui
confluiscono, oltre ad articoli già pubblicati su aut-aut, scritti inediti che cercano di definire in
maniera quanto più rigorosa il relazionismo come filosofia. L’esordio mette in guardia dai possibili
fraintendimenti e dalle interpretazioni infondate che una prospettiva filosofica di questo tipo
potrebbe portare a muovere, proponendo quello che è il principio fondamentale della
fenomenologia relazionistica e soprattutto chiarendo l’utilizzo di tutti i termini che potrebbero
fuorviare oppure fare da appiglio per eventuali attacchi. La riflessione si apre con la
riconsiderazione retrospettiva di ciò che il relazionismo non vuole essere, opponendosi
strenuamente a quella tendenza interpretativa che si può considerare aperta con la filosofia greca e
ancora perdurante negli anni in cui Paci elabora le sue tesi: il sostanzialismo. Che si tratti di
applicarlo al cosmo, al linguaggio, al problema dell’identità personale, questo non fa che fornire
un’immagine fenomenologicamente non accettabile (in quanto sempre più informativa di ciò che
abbiamo precedentemente immesso nell’oggetto studiato, piuttosto che della reale costituzione delle
cose) e quindi necessaria di un'emendazione: la tematica dell’antisostanzialismo troverà spazio nel
terzo paragrafo del capitolo, nonostante sia difficile parlare esclusivamente di un aspetto della
filosofia paciana come se fosse possibile isolarlo in maniera ermetica dal resto dell’edificio teorico.
È esattamente questo aspetto che ho voluto evidenziare nel titolo La vertigine
dell’interconnessione, dove il termine “vertigine” serve per indicare come alla sicurezza e
all'autoreferenzialità della sostanza
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Paci opponga costantemente il tema del rischio, della
responsabilità e della scelta. Consumatasi la morte dell’assoluto, frantumatasi la verità nelle
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Il tema della corrispondenza analogica principio d’identità=sostanza=sicurezza sarà affrontato
approfonditamente nel paragrafo 3 del presente capitolo; per ora mi limito a segnalare come in quasi tutti
gli scritti paciani ricorra l’assimilazione dell’adesione a dottrine sostanzialistiche o logico-identitarie con
un inespresso bisogno di sicurezza e amore (cfr. Enzo Paci, Tempo e relazione, Torino: Taylor, 1954, p.
226).
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