2
nazionale, del settore dei prodotti tipici, comprendente prodotti alimentari e vini.
Nel secondo è stata studiata la letteratura di economia agroalimentare per
esaminare le modalità con cui è stato affrontato l'argomento "prodotti tipici". In
particolare si è posta l'attenzione sulla giustificazione dell'intervento pubblico
per la tutela della qualità, sulla caratterizzazione socio-economica delle
produzioni tipiche, sui punti critici del sistema e sui percorsi per la loro
affermazione sul mercato. Nel terzo si è analizzato e classificato l'intero
comparto lombardo dei prodotti tipici riconosciuti dalle istituzioni, ossia le
denominazioni comunitarie (prodotti alimentari e vini) e i prodotti agroalimentari
tradizionali, con lo scopo di delineare un quadro strutturale, economico e
strategico del comparto. Nel quarto, e ultimo, capitolo vengono analizzate prima
di tutto le competenze in ambito normativo della Regione Lombardia sul settore
dei prodotti tipici, poi vengono descritte le strutture regionali preposte ad
occuparsi dei prodotti tipici e le rispettive attività ed, infine, si valutano gli
orientamenti delle azioni e le politiche promozionali programmate, per i prossimi
anni, dalla Regione Lombardia per tutelare e valorizzare il proprio patrimonio
tipico.
3
CAPITOLO 1: LA NORMATIVA COMUNITARIA E NAZIONALE
SUI PRODOTTI AGROALIMENTRI TIPICI
1.1 PREMESSA
La globalizzazione dei mercati, e la loro crescente liberalizzazione, sta mutando
il quadro competitivo internazionale, con la conseguente creazione di svantaggi
e vantaggi per il settore agricolo e agroalimentare nazionale. Il nostro
agroalimentare, infatti, è caratterizzato da una duplice vocazione: accanto alle
produzioni di tipo commodities, esistono un gran numero di produzioni la cui
qualità, dovuta al legame con le zone di provenienza e/o alle tecniche di
produzione e trasformazione, è riconosciuta come tale dal consumatore.
L'allargamento dei mercati e la loro internazionalizzazione se, da un lato,
rappresentano un rischio per le produzioni di massa, soprattutto per gli
operatori di dimensione economica ridotta quali quelli che caratterizzano il
nostro Paese, dall'altro possono certamente costituire una opportunità per le
produzioni agroalimentari di qualità, se sostenute da una forte politica di
valorizzazione e tutela.
Prima però di esaminare quali siano queste produzioni di qualità e prima
di analizzare quali siano le politiche comunitarie e nazionali che tutelano e
promuovono tali produzioni, occorre però cercare di definire cosa si può
intendere per "qualità".
4
1.2 LA QUALITA'
1.2.1 Qualità immutabile?
L'Enciclopedia di direzione ed organizzazione aziendale con una metafora
assimila la qualità ad "una tavola galleggiante sul mare, che il capriccio delle
onde e delle correnti trasporta in varie direzioni" (Tamburrano, 1983). Questo
significa innanzitutto che la qualità non è un concetto immutabile nel tempo. Se
è vero che "il termine qualità assume un significato preciso soltanto in funzione
di particolari punti di vista legati agli obiettivi dei soggetti che entrano in scena"
(Pagella, 1994), allora significa che la qualità si adatta a cambiamenti che
avvengono, quali ad esempio i mutamenti nelle caratteristiche richieste dal
consumatore e dalla società nel suo complesso, oppure le novità nelle
caratteristiche del processo produttivo. Per cui con il trascorrere del tempo il
concetto di qualità può abbandonare certi aspetti ed abbracciare valori nuovi o
recuperarne alcuni precedentemente eliminati.
1.2.2 Significati correnti
Fatta questa considerazione, è opportuno riportare le due accezioni secondo le
quali, nel linguaggio corrente, viene utilizzato il termine "qualità".
1. Valutare la qualità significa caratterizzare, cioè identificare le peculiarità
presenti nel prodotto e stimarne l'intensità.
2. Qualità implica un giudizio di merito su quanto il prodotto sia buono, sia
adatto, sia giusto per un determinato scopo. Inoltre, con frequenza, all'uso
del termine si accompagna un giudizio positivo che equivale ad
"eccellenza", "pregio", ecc.
In campo agroalimentare questa diversità di impostazione è evidenziabile
anche tra i diversi Paesi europei (Gios e Clauser,1995). In quelli mediterranei
5
(Francia e Italia in particolare) vi sono norme di qualità che sottintendono un
giudizio di valore e portano a distinguere un prodotto eccellente da un prodotto
corrente, privilegiando il primo. In quelli dell'Europa centro-settentrionale il
termine qualità può invece affiancare anche prodotti non particolarmente
pregiati, purché siano conformi a standard di produzione e rispettino precise
norme tecniche. In entrambe le accezioni però si può riscontrare che "qualità"
sottintende:
™ un insieme di caratteristiche (che consente di identificare il prodotto in
maniera univoca);
™ un obiettivo (in funzione del quale le caratteristiche vengono valutate);
™ un giudizio ( sulla capacità delle caratteristiche di soddisfare l'obiettivo).
Sulle sfumature dei significati e sulle combinazioni caratteristiche-obiettivo-
giudizio si ottengono letture diverse del tema della qualità.
1.2.3 Approccio economico alla qualità
L'approccio al tema qualità da parte delle scienze economiche può essere
affrontato secondo due correnti di pensiero, sostenute l'una dall'Economia
Politica e l'altra dall'Economia Aziendale
1
.
La questione qualità nel campo dell'Economia Politica è considerata in
generale come sinonimo di differenziazione del prodotto ed è stato affrontata
prevalentemente come elemento in grado di influenzare la scelte dei
consumatori ed i comportamenti delle imprese. In pratica si considera il valore
della qualità (ossia della caratterizzazione e della differenziazione del prodotto)
come un valore complementare e non intrinseco del prodotto.
Il tema della qualità secondo L'Economia Aziendale ha invece avuto una
notevole evoluzione storica. Nei primi decenni del novecento la qualità veniva
1
Per tutto il paragrafo si confronti con: Gios G. e Clauser O. (1995).
6
intesa, in azienda, come collaudo repressivo e ispezione sui possibili difetti del
prodotto. A partire dal secondo dopoguerra, si è incominciato a pensare alla
qualità come conformità del prodotto alle specifiche (caratteristiche) tecniche
previste. Da questo si è giunti, all'inizio degli anni novanta, ad un allargamento
del concetto e delle "competenze" della qualità: si è passati dal controllo della
linea di produzione, alla pianificazione, alla prevenzione, alla ricerca della
qualità come filosofia dell'intera azienda, all'obiettivo del miglioramento
continuo. Inoltre, per dare visibilità ai consumatori di questo impegno, le
aziende hanno iniziato a certificare i propri prodotti, ossia assicurare che
prodotti e procedure rispettavano determinati standard. Questo approccio viene
definito "qualità totale" (o in inglese TQA, total quality assurance).
Infine negli ultimi anni si vanno sviluppando due tipi di approcci integrati. Il
primo, il QFD (quality function deployement), integra il punto di vista
dell'impresa con quello del consumatore, nei confronti del prodotto.
Il secondo, l'approccio sistemico alla qualità, invece, amplia il QFD,
allargando le sue attenzioni anche sul punto di vista della concorrenza e
dell'intera società. Per cui arriva a definire la Qualità Complessiva come il
risultato dell'integrazione di: qualità totale, qualità percepita, qualità integrale,
qualità differenziale, qualità tecnologica.
™ La qualità totale rappresenta il punto di vista delle imprese, che considerano
la stessa come assenza di difetti e rispondenza alle specifiche, le quali sono
definite in funzione di determinati scopi.
™ La qualità percepita identifica il punto di vista del consumatore, per cui la
qualità è sinonimo di soddisfacimento delle proprie attese (tecniche,
estetiche, psicologiche, ecc.)
™ La qualità integrale evidenzia il punto di vista della società, per cui qualità
significa soddisfacimento di aspettative collettive, in relazione a valori
largamente condivisi.
7
™ La qualità differenziale enfatizza il punto di vista derivante dal confronto di
un prodotto con quello dei possibili concorrenti.
™ La qualità tecnologica è la qualità intrinseca del prodotto, che equivale al
possesso di determinate caratteristiche ben individuabili e quantificabili.
In particolare l'insieme delle stesse può essere suddiviso in quattro sottoinsiemi:
1. caratteristiche tecniche del prodotto.
2. caratteristiche tecnologiche del processo produttivo e distributivo.
3. servizi forniti dal prodotto al consumatore
4. esternalità del prodotto fornite al sistema.
Quindi è possibile affermare che la qualità tecnologica costituisce una sorta di
filo conduttore che lega i quattro tipi di qualità precedentemente citati. Questo
perché essa rappresenta l'elemento oggettivo che sta alla base delle diverse
valutazioni.
Tutto quanto finora esposto può essere riassunto ed espresso in un'altra
forma (Gios e Clauser,1995): la qualità è assimilabile al differenziale di prezzo
unitario di una data merce che i consumatori sono disponibili a pagare in più per
una varietà diversa del bene in esame. Ovvero, se le caratteristiche di un bene
(la qualità tecnologica) tendono ad avvicinarsi alle attese, alle aspettative del
consumatore (la qualità percepita) e si differenziano in maniera significativa da
quelle della concorrenza (qualità differenziale), allora il consumatore sarà
disposto a pagare un prezzo maggiore per possedere quel bene. Tanto
maggiore sarà la differenza di prezzo unitario che il consumatore sarà disposto
a versare, tanto più elevata è da considerarsi la qualità di tale prodotto.
1.2.4 Due prodotti agroalimentari di qualità: i biologici e i tipici
In questo quadro complesso emerge quanto sia arduo circoscrivere il concetto
di qualità e sintetizzarne il significato in maniera univoca e definita. Per cui la
8
precedente esposizione non aveva tale scopo, ma voleva solamente gettare le
basi necessarie a capire quali siano nel settore agroalimentare le produzioni di
qualità e perché queste produzioni possano definirsi tali. A partire da quanto
detto, si può affermare che sul mercato, pur essendoci diversi prodotti
agroalimentari di qualità, le due categorie di punta, non solo in àmbito nazionale
ma anche a livello europeo, sono:
• I prodotti biologici
• I prodotti tipici
I prodotti derivanti da agricoltura biologica hanno la peculiarità di essere
ottenuti senza l'utilizzo di sostanze chimiche sintetiche: diserbanti, insetticidi,
concimi chimici, ecc. né di organismi geneticamente modificati. Per cui la loro
qualità (ossia la loro capacità di andare incontro, meglio rispetto ad altri generi
di prodotti agricoli, alle richieste dei consumatori) si manifesta nelle seguenti
caratteristiche:
1. I prodotti biologici soddisfano meglio le richieste di sicurezza alimentare,
così come sono percepite dai consumatori, poiché sono considerati più
naturali, più genuini e più sani di quelli ottenuti dall'agricoltura tradizionale.
2. Tali prodotti contribuiscono alla salvaguardia dell'ambiente naturale in
quanto i processi produttivi adottati sono a minor impatto rispetto a quelli
tradizionali.
Per quanto riguarda i prodotti tipici, essi hanno la caratteristica
fondamentale di essere vincolati ad un territorio per le materie prime e/o per
uno specifico metodo di lavorazione. La qualità di questi prodotti si esplica
nelle seguenti caratteristiche:
1. I prodotti legati ad un'origine geografica sono prodotti differenziati rispetto a
quelli di provenienza varia.
9
2. I prodotti tipici sono apprezzati dai consumatori perché essi li considerano
genuini, sani, buoni. Ricordano loro i "sapori di una volta" , le tradizioni e la
cultura del luogo dal quale provengono e contribuiscono al loro
mantenimento e alla loro valorizzazione.
3. I prodotti tipici riconosciuti a livello comunitario vengono sottoposti a controlli
sulla base di un disciplinare di produzione che precisa le caratteristiche del
prodotto e del suo processo di produzione; agli occhi del consumatore si
presentano quindi come prodotti tenuti sotto controllo in maniera maggiore
rispetto ai prodotti comuni o, comunque, ai prodotti non tipici, dando agli
stessi una sensazione di maggior sicurezza e di fiducia.
1.3 LA QUALITA' A LIVELLO COMUNITARIO
Anche la Comunità europea, nel corso degli anni, si è chiesta che cosa fosse la
qualità. Attualmente la Comunità riconosce e protegge tre tipologie di prodotti
agroalimentari di qualità:
™ quelli intrinsecamente legati all’origine geografica (legame con il territorio);
™ quelli che hanno conservato una tradizionalità del processo produttivo;
™ quelli che vengono prodotti utilizzando pratiche ecocompatibili, rispettose
dell’ambiente e della salute dell’uomo.
Per salvaguardare e valorizzare questi prodotti, la Comunità ha elaborato
tre regolamenti fondamentali di cui si dirà più avanti. Prima però di analizzare
quella che è la legislazione europea per la qualità agroalimentare, è opportuno
descrivere sinteticamente in che modo la Comunità europea è arrivata a
definirla e regolamentarla.
10
1.3.1 Breve storia delle politiche agricole comunitarie
Sin dalla nascita della Comunità Economica Europea, con il Trattato di Roma
del 1957, la liberalizzazione degli scambi commerciali è stato uno degli obiettivi
prioritari (art.3 del Trattato). Negli anni ’60 e ’70 la politica di armonizzazione
attiva della Comunità europea ha portato all’abolizione dei dazi doganali e delle
restrizioni quantitative e all’eliminazione degli ostacoli tecnici agli scambi tra i
Paesi comunitari.
Nel settore agroalimentare si sono attuate politiche di mercato attraverso
le OCM, le Organizzazioni Comuni di Mercato, ovvero regolamenti relativi ai
singoli settori produttivi, che disciplinano tutti gli aspetti di mercato.
La politica comunitaria di liberalizzazione degli scambi, tuttavia, ha
imposto la necessità di creare un insieme di principi e regole comuni per
definire e assicurare in modo univoco la qualità delle merci all’interno del
mercato comunitario. Tuttavia questa creazione è risultata difficoltosa
soprattutto per due ordini di motivi:
™ l’eterogeneità delle legislazioni nazionali dei paesi membri ;
™ l’esistenza di norme tecniche in ogni Paese membro, ovvero di regole (che
non sono leggi) emanate da enti di normazione, per la codificazione di
specifiche costitutive dei prodotti.
Politiche di armonizzazione
La difficoltà di creare principi e regole comuni per definire e assicurare in modo
univoco la qualità delle merci all’interno del mercato comunitario ha portato,
negli anni ’80, all'adozione di politiche di armonizzazione attraverso regole
tecniche cogenti sia orizzontali, e quindi di carattere generale, sia verticali,
ovvero riferite ad un singolo comparto, atte a definire i requisiti essenziali di
qualità che i prodotti devono soddisfare per poter essere immessi sul mercato.
Questi requisiti essenziali di qualità, che sono definiti da regole minime
11
(chiamate regolamentazione tecnica obbligatoria), vertono su: sicurezza
igienica dei prodotti e salute pubblica; difesa dell'ambiente naturale; tutela dei
consumatori; correttezza negli scambi commerciali.
Oltre a questa fitta regolamentazione tecnica obbligatoria, sempre negli
anni ’80, a livello comunitario, si è discusso sul modo di fare agricoltura. Ciò che
ne emerge viene pubblicato in un importante documento comunitario, il Libro
verde sul futuro del mondo rurale del 1988
2
. In questo documento si sottolinea
che l’obiettivo sociale al quale il mondo agricolo è chiamato a rispondere è
quello di: garantire la qualità del nostro cibo, un cibo nutriente, saporito e sano,
preservando la qualità dei suoli, la qualità dell’acqua, la sopravvivenza di specie
animali e vegetali selvatiche in pericolo di estinzione e la bellezza dei nostri
paesaggi.
Alla luce di queste considerazioni la politica agricola comunitaria si è
orientata sempre più verso una qualità dei prodotti agroalimentari legata
all’ambiente e al territorio, orientamento che si rende esplicito nella riforma della
PAC, del 1992.
Riforma della Politica Agricola Comune
La riforma della PAC aveva due obiettivi principali: il primo di risolvere
positivamente le tensioni create in campo internazionale dalla politica agraria
comunitaria e sulla commercializzazione dei prodotti agricoli; il secondo di
ridurre gli ingenti costi della PAC che gravavano sul bilancio europeo. Per
questa ragione è stato abbassato il sostegno assicurato al settore agricolo
attraverso la protezione dei prezzi dei prodotti e contemporaneamente si sono
studiati aiuti di natura diversa, tra cui misure di accompagnamento, che
prevedono aiuti ai redditi degli agricoltori che utilizzano tecniche a basso
2
I Libri Verdi sono documenti pubblicati dalla UE come base per una discussione o un dibattito
su argomenti di carattere pubblico.
12
impatto ambientale, e aiuti per chi realizzi interventi atti al mantenimento e allo
sviluppo delle foreste.
Questi orientamenti evidenziano la volontà dell'UE di passare da una
logica strettamente produttiva ad una maggiormente rivolta alla qualità dei
prodotti agroalimentari ed alla tutela del territorio. La Comunità ha perciò deciso
di tutelare con dei Regolamenti:
™ i prodotti agroalimentari biologici;
™ i prodotti legati ad una origine geografica e/o quelli ottenuti con metodi
tradizionali: i cosiddetti "prodotti tipici".
1.3.2 I prodotti biologici e loro legislazione
L'agricoltura biologica è una tecnica di produzione agricola attuata secondo i
dettami dei regolamenti CEE n. 2092/91, 1084/99 e loro integrazioni e
modificazioni. Nelle coltivazioni e negli allevamenti vengono banditi tutti i
prodotti chimici di sintesi e l'uso di organismi geneticamente modificati. Gli
alimenti prodotti secondo tali tecniche vengono contraddistinti dalla dicitura
"Agricoltura biologica – Regime di controllo CEE".
Una tecnica simile è quella denominata agricoltura biodinamica: l'azienda
agricola viene vista come un grande organismo vivente. Viene regolamentata
dagli stessi principi legislativi e anch'essa è contraddistinta dalla dicitura
"Agricoltura biologica – Regime di controllo CEE".
Il regolamento 2092/91, pubblicato il 22 luglio 1991 sulla Gazzetta
Ufficiale della Comunità europea, oltre a definire gli àmbiti e il significato della
produzione biologica, stabilisce altri punti fondamentali:
™ I prodotti biologici devono essere certificati e gli organismi di controllo
devono essere esterni alla produzione, riconosciuti dal Ministero
dell'Agricoltura di ogni Stato.
13
™ Le norme di produzione stabilite devono essere applicate per almeno due
anni prima della semina.
™ Le modalità di etichettatura sono uniformate.
Questo regolamento, sicuramente articolato ed importante, risulta però
incompleto in quanto non contempla le produzioni zootecniche. Questa lacuna
viene colmata dal regolamento CE n.1804/99, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale della Comunità europea il 24 agosto 1999. Essa completa per le
produzioni animali il regolamento del 1991 e ne segue lo stesso schema
dettando le condizioni di allevamento, di alimentazione, di cura e di trasporto
per ogni singola specie animale.
Per i prodotti biologici è stato istituito un marchio europeo, unico per tutti i
prodotti: il regolamento CE n. 331/2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
della Comunità europea del 19 febbraio 2000, ha istituito il rispettivo logo e ne
ha regolamentato l'uso.
1.3.3 I prodotti tipici: un tentativo di definizione
La tipicità è un concetto molto attuale, soprattutto nel settore agroalimentare.
Nonostante ciò esistono varie interpretazioni e diversi significati che vengono
attribuiti a questo termine. Si può cercare quindi di definire il concetto di tipicità
anche se, come giungeremo a spiegare, non esiste una definizione univoca di
questo termine.
In generale, per "tipico" si intende qualcosa di caratteristico e, almeno
nell'àmbito alimentare, di legato a un territorio specifico, ad una origine del
prodotto ben definita. Nella storia dell'alimentazione, la tipicità non era in
questione: i prodotti alimentari erano per lo più il frutto dell'elaborazione delle
materie prime disponibili in un luogo. La produzione avveniva all'interno di
contesti socioculturali sufficientemente limitati, la circolazione delle risorse era
poco diffusa. La tipicità dei prodotti viene messa in pericolo invece da due
14
processi che mettono a repentaglio la stessa vita dei prodotti tipici:
l'industrializzazione e lo sviluppo dei commerci. Essi infatti tendono a svincolare
la produzione agroalimentare dai suoi modi e dai suoi luoghi tradizionali.
Per cui, da una visione semplificata del problema, si potrebbe arrivare a
definire tipico il prodotto che si contrappone al prodotto di massa: il primo ha un
forte legame col territorio, è prodotto artigianalmente con materie prime locali e
difficilmente riproducibile altrove; il secondo è un prodotto di largo consumo,
svincolato dal territorio di origine, prodotto attraverso l'uso di tecnologie
indifferenziate, con materie prime generiche e può essere riprodotto ovunque.
In realtà i prodotti tipici oggi sono qualcosa di più dei semplici antagonisti
dei prodotti di massa. In primo luogo perché esistono molti prodotti tipici il cui
processo produttivo è altamente meccanizzato e standardizzato (ad esempio il
Gorgonzola D.O.P., Grana Padano D.O.P. ecc.). In secondo luogo perché la
tipicità non è sinonimo di prestigio mentre il prodotto industriale non deve
essere sempre di qualità media o mediocre: l'innegabile qualità di molti prodotti
industriali moderni è quanto di più lontano da un prodotto tipico inteso in senso
tradizionale.
Per cui questa definizione generale va sicuramente migliorata. Si può dire
che i prodotti tipici hanno la caratteristica di essere differenziati dagli altri
prodotti agroalimentari. In particolare, l'elemento indispensabile che li rende tali
è la presenza di un legame o di un vincolo che lega prodotto e territorio. Si può
trattare dell'origine delle materie prime, oppure della localizzazione delle attività
di trasformazione, di lavorazione, di conservazione o stagionatura. In più, nella
gran parte dei casi, il prodotto conserva tali peculiarità in maniera costante nel
tempo: riesce quindi a coinvolgere aspetti specifici della tradizione e della
cultura dei territori di origine.
Esistono quindi vari "livelli" di tipicità: vi possono essere prodotti la cui
tipicità è legata solo all'origine della materia prima, oppure alla fase di
15
trasformazione, o ancora casi in cui sussistono entrambi i requisiti. E inoltre
esistono fattori extra geografici che vanno ad influire sulle caratteristiche
intrinseche del prodotto stesso: ad esempio la qualità della materia prima, le
modalità di trasformazione, il tipo stagionatura ecc. Se ne deduce che le
diversità insite in un prodotto tipico, e quindi la sua specificità, sono la risultante
di un mix di fattori che trovano nel disciplinare di produzione lo strumento di
identificazione e la base di riferimento per i controlli e la certificazione.
Sulla base di questo approccio si può riassumere dicendo che tipicità
implica la differenziazione del prodotto e un legame con il territorio.
Non esiste però una definizione univoca di tipicità, bensì sono presenti
prodotti con livelli diversi di tipicità. Infatti la differente qualità e quantità dei
vincoli prodotto-territorio determina differenti "livelli" di tipicità. Essa assume
valori tanto più elevati quanto maggiori risultano vincoli, legami ed elementi di
differenziazione.
Anche il legislatore comunitario è giunto a considerare diversi livelli di
tipicità, regolamentandoli e assegnando loro specifici marchi (D.O.P., I.G.P. e
S.G.T.); è pero' indubbio che esistano altri livelli di tipicità al di fuori del sistema
di denominazioni comunitarie in prodotti che, a vario titolo (tradizionali, di
fattoria, nostrani, dei parchi naturali, ecc.) si presentano al consumatore come
tipici ma che non sono riconosciuti e tutelati dalla Comunità Europea.