3
Introduzione
La modernità risulta essere un progetto incompiuto, è facile
rendersene conto se si considera lo stato attuale del pianeta e i
problemi prodotti dall’uomo all’equilibrio degli ecosistemi e
alle condizioni che garantiscono la stessa sopravvivenza delle
specie. Il modello antropocentrico che ha dominato per secoli
incontrastato, fondato sulle illimitate quanto ambiziose
possibilità di crescita dell’umanità, non considerando e
preservando l’equilibrio della biosfera ha inevitabilmente
generato e continua a generare una serie di danni tanto
all’ambiente naturale quanto a quello culturale. Questa palese
situazione, di pari passo con la diminuzione degli spazi verdi,
ha portato al nascere di una coscienza collettiva di
salvaguardia del patrimonio naturale come bisogno
fondamentale per un concreto sviluppo della specie, facendo
emergere un sentimento nostalgico e affettivo verso un passato
più naturale. Conseguentemente, anche le Scienze Sociali
4
hanno prestato attenzione a queste tematiche creando un clima
di pensiero che ha portato alla crisi del paradigma
dell’eccezionalismo umano e alla nascita della sociologia
dell’ambiente. Gli studiosi e gli scienziati si sono impegnati per
testimoniare le loro preoccupazioni sulla sorte dell’uomo e del
mondo in generale, considerato come un’insieme limitato di
risorse che si avviano verso l’esaurimento e con una capacità
sempre minore di assorbire i rifiuti dell’attuale società
consumistica.
È acceso il dibattito riguardante lo “sviluppo sostenibile”,
ovvero il dovere morale di garantire possibilità di sviluppo alle
generazioni che verranno dopo di noi, anche se il concetto
sembra abbastanza teorico. Nel concreto, è all’interno dei
singoli territori che si svolgono ogni giorno piccole battaglie tra
economia ed ecologia, tra crescita e sviluppo, tra città e
campagna. Infatti è proprio la campagna (parte di natura
assoggettata ai bisogni dell’uomo e che ha permesso lo
sviluppo della nostra specie) che ogni giorno, in tutto il mondo,
cede spazio alle speculazioni che danneggiano la risorsa più
importante e storica da tramandare ai posteri, quel mix di aria,
terra e acqua che ha permesso la vita sulla terra e che con il
passare del tempo diventa una risorsa sempre più rara e
ricercata da chi inconsapevolmente già l’ha persa.
Il “turismo sostenibile”, soprattutto nella sua forma più
moderna quale il turismo rurale, sembra essere l’arma a
disposizione per bloccare questo scempio della natura, perché,
unito alla riscoperta dei metodi colturali tradizionali e biologici,
economicamente ed eticamente parlando, dà forza alla
5
campagna e dal punto di vista ambientale salvaguarda il
territorio. I motti spesso sono sottovalutati, ma è raro che la
saggezza popolare si sbagli, “prevenire è meglio che curare”
tra i molti è il più significativo, in questa circostanza, soprattutto
quando il male può essere così grande da impedire qualsiasi
cura successiva, come nel caso di grandi localizzazioni
industriali o l’introduzione degli OGM in campo aperto.
Nella seconda parte dello scritto viene messo in luce il
problema concreto tramite lo studio di un territorio della
provincia di Napoli, l’agro acerrano, la Campagna è ancora
una volta ferita e saccheggiata quando invece potrebbe essere
ristrutturata.
Acerra paese dalla lunga e turbolenta storia che va dagli
Etruschi sino ai giorni nostri, è situato al centro di quella che fu
definita Campania felix per la straordinaria fertilità della terra,
a detta di molti i terreni più fertili del mondo, tanto da meritare
menzione nelle Georgiche di Virgilio come di altri autori latini.
Solo Acerra nella zona ha conservato fino ad oggi lo stesso sito
ed il nome (dal latino Acerrae è derivata la forma medioevale
Acerra). Situato a nord-est nella provincia di Napoli, come gli
altri comuni vicini che una volta erano a predominante agricola
e ricchi di prodotti tipici e di qualità, si appresta a divenire zona
a sviluppo edilizio ed industriale, con la costruzione di un maxi-
inceneritore di rifiuti, con industrie e depositi tutto intorno,
distruggendo un paesaggio rurale quasi inspiegabilmente
ancora conservato e andando incontro ad uno scempio nei
confronti della cultura della zona che, derivando da una
millenaria tradizione agricola, non vuole morire in modo
6
totalmente antidemocratico e senza speranza di riscatto, per i
progetti di sviluppo della “Grande Napoli”.
La comunicazione svolge una parte importante in questa
battaglia moderna ma dal carattere antico. Purtroppo gli
interessi economici, che non sono quelli dei contadini, dirigono
l’opinione pubblica nella direzione voluta, dipingendo gli
Acerrani come un popolo violento ed egoista, che va contro gli
interessi della collettività, il cattivo del racconto di cronaca che
si può leggere tra le pagine dei quotidiani e gli spazi dei
telegiornali di un anno difficile ormai trascorso, 29/8/2004 –
29/8/2005.
Si parla da tempo di rilancio del Meridione d’Italia che però si
risolve in un continuo spreco economico, seguendo un modello
di sviluppo esogeno e non endogeno come dovrebbe essere,
dimenticando la vocazione millenaria rurale e puntando all’
industrializzazione, danneggiando ulteriormente la storia che è
scritta nelle campagne, l’unica cosa che in questo clima di
globalizzazione non può essere copiata e che invece può
rappresentare, grazie alla bontà dei prodotti tipici, l’arma di un
rilancio globale in modo sostenibile e proficuo, sfruttando il
trend positivo del turismo enogastronomico e salutare, nonché
rurale.
7
PRIMA PARTE
8
1. Voglia di campagna
Sommario: 1.1.Dal “pianeta dei balocchi” alla fine
dell’antropocentrismo – 1.2. Sana vita di campagna – 1.3. Sensazioni
da imprimere nella memoria
1.1. Dal “pianeta dei balocchi” alla fine
dell’antropocentrismo
Prima e durante la rivoluzione industriale, l’idea di opporsi al
disboscamento, con conseguente conversione del paesaggio
rurale ad uso abitativo o industriale, sarebbe stata
incomprensibile, mentre oggi è ideologia condivisa tra le
persone comuni e razionali, non ancora per gli speculatori
economici.
Il Re e i grandi proprietari terrieri potevano tenere foreste e
parchi come riserve di caccia e di legname, ma nell’Inghilterra
dei Tudor la creazione di aree protette come i moderni parchi
naturali sarebbe parsa assurda, come anche la creazione di
strutture quali i moderni zoo e acquari, con animali che non si
possono cacciare ne tanto meno mangiare.
Allora vigeva la concezione letterale del vecchio testamento ed
il compito dell’uomo, nelle parole della Genesi era quello di
“popolare la terra e sottometterla a se”: di abbattere i boschi,
dissodare il terreno, cacciare i predatori, uccidere gli animali
nocivi e prosciugare le paludi. L’Eden è descritto come un
paradiso predisposto per l’uomo, nel quale Adamo aveva il
9
predominio concessogli da Dio su tutte le cose, convivendo in
pace con gli animali perché probabilmente l’uomo non era
carnivoro e gli animali erano mansueti, con il peccato
originale, però, i rapporti mutarono. Ribellandosi a Dio,
l’uomo fu privato del suo facile predominio sulle altre specie e
la terra degenerò. Dove prima c’erano soltanto fiori e frutti
crebbero spine e cardi, il suolo si riempì di sassi e divenne
meno fertile, comparvero le pulci, le zanzare ed altri insetti
molesti. Molti animali si ribellarono al giogo dell’uomo e
divennero feroci, cominciando a combattere tra loro e ad
attaccare il loro vecchio padrone. Solo dopo il diluvio
universale, Dio instaurò nuovamente l’autorità dell’uomo sul
mondo animale: “Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie
selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo.
Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono in vostro
potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo”(Genesi
9,2-3).
Questa teoria del mondo creato per il bene dell’uomo, trova
facile giustificazione anche negli scritti dei filosofi classici come
Aristotele, il quale scriveva che la natura non ha fatto nulla di
inutile e che le piante erano state create per il bene degli
animali e gli animali per il bene dell’uomo, i domestici per
lavorare e i selvatici per essere cacciati
1
. È proprio dagli scritti
come questi che si sviluppa l’antropocentrismo dell’uomo, il
fine di tutte le opere di Dio, libero di agire indisturbato sulla
1
Aristotele, Politica 125 6a-b
10
terra, un vero e proprio pianeta dei balocchi
2
con risorse
illimitate a sua disposizione.
L’agricoltura stava alla terra, come il cibo cotto alla carne
cruda, essa trasformava la natura in civiltà, terre incolte voleva
dire uomini rozzi da civilizzare, tanto che nel 1600 quando gli
Inglesi arrivarono nel Massachusetts una delle giustificazioni da
essi adottate per l’occupazione del suolo indiano fu la
seguente: “coloro che non assoggettano ne coltivano la terra
non hanno il diritto di impedire ad altri di farlo”
3
; stessa
giustificazione anche con gli Irlandesi che, nel 1610, secondo
Sir Jhon Davies, non erano riusciti a sfruttare le loro terre,
“quindi ne la politica ne la coscienza cristiane possono tollerare
che un paese tanto bello e fertile resti sprecato come un
deserto”
4
. Non risulta difficile capire lo stupore e il disprezzo
provato dai viaggiatori occidentali quando riferivano che le
religioni orientali avevano un atteggiamento totalmente diverso
e che buddisti e induisti rispettavano la vita degli animali e
persino quella degli insetti.
La tradizione religiosa dominante in occidente non tollerava
quelle venerazioni della natura ancora vive in molte religioni
orientali, diversi scienziati le definivano uno scoraggiante
ostacolo al dominio dell’uomo sulle creature inferiori. Nel
periodo anglosassone la chiesa cristiana in Inghilterra si era
opposta al culto delle fonti e dei fiumi, le divinità pagane dei
boschi, dei corsi d’acqua e delle montagne erano state
2
Il corsivo è mio
3
J. Locke, 1982
4
J. Davies, 1786
11
scacciate e avevano lasciato dietro di se un mondo privo di
incanto, tutto da formare, modellare e dominare. Nel 1967 lo
storico americano Lynn White jr ha descritto il cristianesimo
come la religione più antropocentrica che il mondo abbia mai
conosciuto e il breve articolo in cui incolpava la chiesa
medioevale degli orrori dell’inquinamento moderno è divenuto
quasi il testo sacro degli ecologisti moderni
5
.
La tesi del prof. White, però, è facilmente criticabile in quanto i
Romani dell’epoca pre-cristiana hanno sfruttato le risorse
naturali molto più dei loro successori cristiani e l’adorazione
della natura da parte dei Giapponesi non ha impedito
l’inquinamento industriale del Giappone, ne quantomeno la
sfrenata caccia alle balene. I problemi ecologici non sono
specifici dell’occidente, poiché l’erosione del suolo, la
deforestazione e l’estinzione di intere specie animali sono
avvenute in parti del mondo in cui la tradizione giudaico-
cristiana non è influente, come in Cina. Addirittura in uno
scritto del 1632 si sostiene che gli indiani d’America avessero
dei miti che sancivano l’autorità divina dell’uomo sulla natura,
in quanto Dio aveva fatto un uomo e una donna e aveva
ordinato loro di vivere assieme, di avere dei figli, di uccidere
cervi, animali, uccelli, pesci, volatili e quel che volevano a loro
piacere
6
. L’antropocentrismo quindi non era una caratteristica
peculiare dell’Europa Occidentale. Come osservò Marx, non fu
la religione, ma l’avvento della proprietà privata e
dell’economia monetaria che spinse i cristiani a sfruttare il
5
L. White jr, 1967
6
Ian G.Barbour,1973
12
mondo naturale come mai prima; fu quello che egli chiamava
“il grande influsso civilizzatore del capitale” a segnare
definitivamente la fine della “deificazione della natura”.
All’inizio del ventesimo secolo la devozione per una forma di
vita rurale era una caratteristica esclusiva delle classi superiori
inglesi, che per secoli avevano avuto la casa in campagna
poiché la loro ricchezza si fondava su un’agricoltura fortemente
capitalizzata. La pratica dell’agricoltura e l’amministrazione
delle tenute erano gli interessi principali della Gentry e i suoi
membri praticavano gli sport di campagna, come il polo, e
avevano un interesse addirittura maniacale per i cani e i
cavalli, erano spesso dilettanti di Storia Naturale e
progettarono consapevolmente un paesaggio rurale destinato
contemporaneamente al profitto e allo svago. Questo
sentimento, comunque, non era confinato alle classi superiori,
ma comune tra molti membri della prima nazione industriale.
Man mano che si moltiplicavano le fabbriche la nostalgia dei
cittadini per la campagna si rifletteva nei giardinetti delle loro
case, negli animali da compagnia, nelle vacanze in Scozia o
nel Lake District, nel gusto per i fiori di campo e in fine nel
sogno di una casetta in campagna nella quale trascorrere il
fine settimana. Oggi si può constatare questa ammirazione per
la natura nelle opere di quegli scrittori rurali quali Izaac Walton
nel 1600 e James Herriot nel secolo scorso, che hanno dato
forza al mito dell’arcadia rurale
7
. Che il pensiero della natura e
della vita rurale sia o no tipicamente inglese, certamente
7
P. Fossel, 1984