5
Introduzione
In questa tesi sono stati approfonditi alcuni aspetti dell’opera piø rappresentativa di Helmuth
Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo
1
. In essa compare la categoria della posizionalità eccen-
trica come chiave per interpretare la complessità del comportamento umano, che non soprag-
giunge ma è bensì radicata nella sfera biologica. In questo modo la posizionalità eccentrica as-
sume anche la funzione programmatica di dare una definizione unitaria della natura umana, che
per un verso eviti la frammentazione derivante soprattutto dal dualismo cartesiano e, per l’altro,
l’unificazione forzosa degli orientamenti monistici, dall’idealismo a Bergson o Spencer.
L’autore espone una fenomenologia dell'essere vivente allo scopo di dedurre una “teoria dei mo-
dali organici” che fornisca gli strumenti per esaminare la scala degli esseri, dalla base inorgani-
ca sino alle varie manifestazioni del vivente, dove la nozione di forma assume via via un rilievo
sempre maggiore in quanto collegato all’organizzazione corporea e dunque alla relazione con
l’ambiente. SicchØ la fenomenologia della forma organica esamina prima il mondo vegetale, poi
quello animale e infine quell’umano. Una “scala posizionale” che si basa sulla «coesione interio-
re del vivente, sulla capacità di rapporto con il mondo esterno e sull'autonomia interiore del pro-
prio sØ».
2
La tesi mette in evidenza gli apporti del biologo e filosofo estone Jakob von Uexküll
che, grazie a un’articolata teoria dell’ambiente (Umwelt), consentì una migliore comprensione
delle relazioni di scambio ma anche di conflitto tra organismo e mondo, fornendo alcune impor-
1
H. PLESSNER, Die Stufen des Organischen und der Mensch, in Gesammelte Schriften IV, Suhrkamp, Frankfurt a.M.
2003 (trad. it. I gradi dell'organico e l'uomo. Introduzione all'antropologia filosofica, a cura di V. Rasini, Bollati Bo-
ringhieri, Torino 2006).
2
M. T. PANSERA, Antropologia filosofica, B. Mondadori, Milano 2001, p. 86.
6
tanti basi concettuali per la maturazione dell’antropologia filosofica nei primi anni del Novecen-
to. Su questo sfondo la tesi segue da vicino la ricerca di Plessner sulle “modalità di esistenza”
della vita, in cui si rinvengono i motivi strutturali della differenziazione della sfera animale da
quella dell’uomo, le ragioni per cui l’uomo è in grado di distanziarsi da se stesso, rendendo pos-
sibile la “totale riflessività del sistema di vita”, e i motivi per cui, invece, l’animale resta concen-
trato sulla propria attualità. Il presente lavoro espone dunque i concetti principali
dell’antropologia filosofica inteso come autonomo progetto teorico che dà largo spazio agli a-
spetti biologici, alla costituzione corporea, alla genesi sensibile dello spirito; accanto a Plessner
vengono pertanto richiamati gli altri esponenti storici di tale progetto teorico caratteristico degli
anni venti del Novecento, cioè Max Scheler e Arnold Gehlen. Nella seconda parte ci siamo sof-
fermati sugli aspetti politici dell’antropologia di Plessner, misuratosi perlopiø con Schmitt con
l’opera del 1931 Potere e natura umana
3
. A questo proposito, un risultato a cui I gradi è giunto è
che la forma posizionale eccentrica dell'uomo lo rende zoon politikon, un animale essenzialmen-
te politico, per cui l'uomo “combatte contro la vita e vivendo conduce la sua vita”. L'uomo in
quanto animale resta legato ai limiti del corpo (Körper), ma al contempo è costretto a “condurre
una vita” per poter raggiungere un equilibrio a differenza dell'animale che vive schiacciato nel
suo centro. Da questa necessità di condurre la sua vita, l'uomo acquisisce potere, egli dovrà, per
sua natura, costruirsi il suo mondo. In Potere e natura umana, Plessner tenterà di risolvere la de-
licata questione della politica, ossia, se la politica, fondata sulla primordiale relazione amico-
nemico formulata da Schmitt, appartenga essenzialmente alla determinazione dell'uomo o se essa
sia solo l'espressione di una casuale situazione di conflitto il cui superamento equivarrebbe alla
sua estinzione. La differenza sostanziale tra Schmitt e Plessner consiste nel fatto che il primo
considera la politica come il momento dell'intensificazione del conflitto, per cui bisognerebbe
per la “serietà” (Ernst) del caso estremo determinare nettamente i confini tra chi è “amico” e chi
3
H. PLESSNER, Macht und Menschliche Natur. Ein Versuch zur Anthropologie der geschichtlichen Weltansicht (trad.
it. Potere e natura umana. Per un'antropologia della visione storica del mondo, a cura di B. Accarino, Manifestolibri,
Roma 2006).
7
è “nemico”, mentre Plessner rende meno rigida la distinzione della “relazione” in seguito all'in-
troduzione del concetto freudiano di “perturbante” (Unheimilich). Inoltre, se per Schmitt il poli-
tico non “gioca”, perchØ la possibilità del conflitto estremo è sempre presente, per Plessner, in-
vece, nel momento in cui il potere sovrano viene a indebolirsi, subentra l'azione diplomatica con
lo scopo di trovare accordi e trattative. ¨ stato notato come lo spirito illuministico e “l'ethos del
gioco” ispirano in fondo anche la teoria plessneriana della civilizzazione. Il gioco costituisce un
“mezzo di riposo” ed “educazione al comportamento disciplinato” che allontana il pericolo di
“ferirsi” dei giocatori
4
. Nel gioco della civiltà non si tende a eliminare l'alterità dell'altro, ma si
entra in contatto, si attua una forma di scambio reciproco. Per dare maggiore rilievo a tale aspet-
to si è tentato un confronto con le tesi del sociologo Pierre LØvy
5
, in quanto sembrano esserci pa-
recchi punti di contatto con i temi dell'antropologia degli inizi del Novecento: “medium”, “ho-
mo sapiens”, “ambiente”, “mondo”. Interprete dell’epoca post-industriale, fortemente caratteriz-
zata dall’imporsi delle tecnologie informatiche, LØvy introduce altre parole di riferimento, come
“cyberspazio”, “intelligenza collettiva”, “nanopolitica”, “cyberdemocrazia”, con il dichiarato
scopo di tracciare un'antropologia della tecnica. Questo autore di origini tunisine ha articolato
una riflessione sui nuovi mezzi di comunicazione in grado di produrre inediti spazi antropologi-
ci (Cyberspazio) che, a suo parere, potrebbero modificare in positivo le condizioni politiche e
sociali dell’uomo. Una vera e propria “mutazione antropologica” che svilupperà un nuovo “am-
biente” (Umwelt) di comunicazione-lavoro-pensiero
6
. Nel suo testo, L'intelligenza collettiva,
LØvy si chiede: «chi è l'altro? ¨ qualcuno che sa. E sa cose che io non conosco. L'altro non è piø
un'entità spaventosa e minacciosa: come me, ignora molte cose e padroneggia alcune conoscen-
ze»
7
. Da questo punto di vista LØvy ripropone la questione dell'alterità affrontata da Plessner in
Potere e natura umana, ma da un punto di vista del tutto originale, l'altro è “qualcuno che sa”, e
4
H. PLESSNER, Grenzen der Gemeinschaft. Eine Kritik des sozialen Radikalismus (1924), in Id., Gesammelte
Schriften, Bd. V, hg. v. G. Dux u.a., Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1981 (trad. it. I limiti della comunità. Per una critica del
radicalismo sociale, a cura di B. Accarino, Laterza, Roma-Bari 2001 (ed. or.).
5
P. LÉVY, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996.
6
U. FADINI, Sviluppo tecnologico e identità personale. Linee di antropologia della tecnica, Dedalo, Bari 2000, p. 49.
7
P. LÉVY, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli, Milano 1996, pp. 32-3.
8
non necessariamente un possibile nemico. In conclusione, ciò che si è voluto dimostrare nelle ul-
time pagine della presente tesi di laurea è che LØvy sembrerebbe essere consapevole dei risultati
a cui i fondatori dell’antropologia filosofica sono giunti. In altre parole, le concezioni sull’uomo
come “questione aperta” o come “essere non ancora definito” appaiono indirettamente al centro
delle argomentazioni di LØvy. Il “cyberspazio” non rappresenta certamente la soluzione definiti-
va ai problemi di ordine sociale e politico tipici dell’uomo, ma il luogo virtuale in cui si eviden-
zia maggiormente la complessità di un essere alla ricerca permanente di soluzioni e conoscenze:
il progetto dell'intelligenza collettiva abbandona la prospettiva del potere e avvia il gioco con
l'alterità, la concezione di utopie sociali intrinseche alla complessità labirintica, polimorfa, della
tarda era tecnologica.
9
I
HELMUTH PLESSNER TRA FILOSOFIA E ANTROPOLOGIA
I . I
Tema e scopo dei Gradi dell’organico
¨ importante rilevare come l'interesse in questi anni in Italia per l'opera filosofica di Plessner, re-
sisi concreto soprattutto a partire dal 2000
8
,
stia sempre di piø crescendo. Interessarsi all’opera
filosofica di Plessner vuol dire confrontarsi con un autore davvero originale, la sua variegata
formazione culturale lo spinse a misurarsi non solo con la filosofia del suo tempo, ma anche a
sviluppare un confronto con le principali teorie delle scienze naturali. La fondazione della rivista
interdisciplinare a partire dal 1925 fu un segno della volontà di Plessner di confrontarsi stabil-
mente con i risultati delle scienze empiriche e sintomo dell'intenzione di stare coi “piedi a terra”.
L'approfondimento del pensiero kantiano, l'assimilazione della concezione fenomenologica, gli
studi di biologia, zoologia, sociologia e altro ancora, rappresentano gli indicatori dell'eclettismo
di Plessner. Un atteggiamento singolare, sempre aperto a nuovi orizzonti culturali, mai dogmati-
8
A partire da questa data sono numerosi gli studi italiani e articoli sulle riviste su Helmuth Plessner (elencherò solo
quelli piø importanti): M. RUSSO, La provincia dell'uomo. Studio su Helmuth Plessner e l'antropologia filosofica, La
città del sole, Napoli 2000; O. TOLONE, Homo absconditus. L'antropologia filosofica di Helmuth Plessner, Edizioni
Scientifiche, Napoli 2000; M. T. PANSERA, Helmuth Plessner, L'eccentricità dell'uomo, in Id., Antropologia filosofi-
ca, Bruno Mondadori, Milano 2001; B. ACCARINO, Le ragioni del mondo. L'anticomunitarismo di Helmuth Plessner,
in Helmuth Plessner, I limti della comunità; V. RASINI, Teoria della realtà organica. Helmuth Plessner e Viktor von
Weizsär, Edizioni Grafiche Sigem, Modena 2002; A. BORSARI, M. RUSSO (a cura di), Helmuth Plessner. Corporeità,
natura e storia nell'antropologia filosofica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005; M. RUSSO, Critica dei sensi e critica
dello schematismo trascendentale in Herder e Plessner, in «Rivista di estetica», 2 (2003); I. CRESPINI, «Tra corpo e
anima». Riflessioni sulla natura umana da Kant a Plessner, Marsilio, Venezia 2004; V. RASINI, Il pensiero fenomeno-
logico secondo Plessner, in «Annali del Dipartimento di filosofia di Firenze», 2005; S. GIAMMUSSO, Potere e com-
prendere. La questione dell'esperienza storica e l'opera di Helmuth Plessner, Guerini, Milano 1995; S. GIAMMUSSO,
La comprensione dell'umano. L'idea di un ermeneutica filosofica dopo Dilthey, Rubbettino, Catanzaro 2000.
10
co. Plessner è stato definito dalla critica come un “geniale outsider”, formatosi in un contesto
storico in cui la tradizione del protestantesimo liberale era abbastanza consolidato, era propenso
a difendere e a favorire un certo modernismo. Questo suo atteggiamento lo portò a criticare for-
temente quei tentavi ancora perduranti di far emergere una certa metafisica in filosofia. L'antro-
pologia filosofica, intesa come indirizzo di pensiero e riflessione sull'uomo nella sua forma spe-
cificamente moderna
9
, nasce in Germania a partire dagli anni Venti del Novecento e i suoi mag-
giori rappresentanti sono Max Scheler, Helmuth Plessner e Arnold Gehlen. Dal punto di vista di
Coreth, l'uomo non è mai stato, in maniera esplicita, tema centrale della filosofia, e precisamen-
te, non è mai esistita almeno fino a epoca recente un'antropologia come oggi è intesa. Il pensiero
filosofico antico si è concentrato piuttosto sul pensiero umano (logica), l'agire morale (etica), sul
posto dell'uomo nella natura (fisica) e sui fondamenti della realtà (metafisica). L'uomo era collo-
cato in un sistema predeterminato, mai messo in discussione, solo da profonde trasformazioni
culturali dovute soprattutto alle nuove acquisizioni scientifiche, come fu ad esempio la teoria e-
liocentrica di Copernico, che il sapere si rivolge specificamente all'uomo, alle sue possibilità e ai
suoi limiti. La teoria eliocentrica, posta in contrapposizione alla teoria classica geocentrica, e la
scoperta di nuovi territori, furono le premesse per una nuova coscienza di sØ e del mondo da par-
te dell'uomo. Venuti a mancare le certezze del racconto biblico, l'uomo dovette prendere atto del-
la propria marginalità nell'universo e ciò si ripercosse sul piano spirituale con una profonda in-
quietudine, infatti, crollate le certezze rassicuranti di un ordine cosmico perfetto ed eterno, l'uo-
mo dovette ritrovare da sØ dei nuovi valori e a ricostruirsi l'ordine della natura e dell'universo
mediante procedimenti e strumenti validi e obiettivi
10
. Questa "configurazione antropologica del
sapere" che si ebbe a partire dal XVI secolo in poi, determinò uno sviluppo costante e sempre
piø accentuato delle scienze umane ed empiriche fino ai giorni nostri. I progressi scientifici e la
9
La "moderna antropologia filosofica" nasce dal bisogno di fondare una riflessione filosofica sull'uomo a partire dai
principali risultati acquisiti dalle scienze empiriche. Cfr. A. BORSARI, M. RUSSO (a cura di), Helmuth Plessner. Cor-
poreità, natura e storia nell'antropologia filosofica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 21-2; R. MARTINELLI,
Uomo, Natura, mondo. Il problema antropologico in filosofia, il Mulino, Bologna 2004 pp. 201-2.
10
Cfr. M. RUSSO, La Provincia dell'uomo. Studio su Helmuth Plessner e sul problema di un'antropologia filosofica,
La città del sole, Napoli 2000, pp. 55-80.
11
moltiplicazione degli ambiti di studio sui vari aspetti biologici, psicologici e sociologici dell'uo-
mo, indubbiamente validi, avevano favorito un atteggiamento empirico che aveva però smarrito
il senso complessivo e l'unità dell'uomo. In un contesto culturale problematico, l'antropologia fi-
losofica s’incaricò di fondare una riflessione profonda sul senso dei risultati scientifici acquisi-
ti
11
. Gli esponenti dell'antropologia filosofica, per quanto accomunati dalla stessa volontà di
prendere in considerazione gli sviluppi e i progressi scientifici
12
, offrirono diversi punti di vista.
Plessner sembrerebbe che, rispetto a Max Scheler e Arnnold Gehlen, si sia sempre posto l'inter-
rogativo della specifica relazionalità tra filosofia, scienza e antropologia. Ė importante capire i
punti distintivi tra una riflessione filosofica sull'uomo in generale, da una risposta che invece può
ricavare l'antropologia filosofica
13
. Innanzitutto, l'uomo ha una storia, crea la sua storia e ciò ci
informa e ci fa comprendere la sua natura
14
. L'antropologia per Plessner è in grado di riformulare
11
A proposito dell'antropologia filosofica è stato osservato: «Irretita tra mito e retorica umanistica e loro decostruzione,
tra estrema generalizzazione ed estrema dispersione fattuale, tra sottrazione e sovraccarico di connotati e determinazio-
ni, la cosa umana era diventata l'idolo polemico della tarda modernità. L'età degli uomini faceva i conti con se stessa. La
comparsa dell'antropologia filosofica agli inizi del Novecento è parte rilevante di questa resa dei conti, di questa viru-
lenta auto-problematizzazione. Le sue definizioni dell'uomo sono negative (l'essere eccentrico, non stabilizzato, carente,
che "può dire no"), atte piø a sottolinearne l'indefinibilità, l'incompiutezza, il carattere di deinotatos, che a conferirgli
una qualche identità salda e riconoscibile. Perfino l'ancoraggio vitale vacilla, si complica; nella natura, anche in essa,
che ha del resto smarrito confini ed identità, l'uomo si aggira come uno straniero. Da questo punto di vista, dunque, la
comparsa dell'antropologia è solo uno dei sintomi piø netti della Kulturkrise di quegli anni. Mentre dal centro dell'evo
moderno Kant poteva ricondurre le domande fondamentali della filosofia - che cosa posso sapere, che cosa devo fare,
che cosa posso sperare - alla domanda "che cosa è l'uomo?", dove erano le prime a indicare senso e direzione di
quest'ultima, il "negativismo", le “in definizioni” dell'antropologia novecentesca segnalavano non semplicemente l'ac-
cresciuta difficoltà a rispondere, ma l'irreperibilità di un criterio per cercare risposta, cioè per dare senso e direzione alla
stessa domanda» (A. BORSARI, M. RUSSO (a cura di), Helmuth Plessner. Corporeità, natura e storia nell'antropolo-
gia filosofica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 7-8).
12
Per un approfondimento delle caratteristiche comuni dei vari rappresentanti dell'antropologia filosofica tedesca del
Novecento rimando a: V. RASINI, L'essere umano. Percorsi dell'antropologia filosofica contemporanea, Carocci, Ro-
ma 2008.
13
A proposito è stato notato come: «L'elemento filosofico non viene visto solo nella capacità di unificazione e raccordo
delle varie conoscenze e dei vari aspetti dell'uomo, ma nel cercare di capire e nel mantenere desto il perchØ di una simi-
le ricerca di unità, senza ricorrere a cardini metafisici, nØ tanto meno al mito di un'originaria purezza e pienezza che poi
sarebbe decaduta e che potrebbe o dovrebbe ritornare alla fine della storia. I principi plessneriani della "domanda aper-
ta", del "congiuntivo categorico", di "insondabilità" e di "eccentricità", oltre a rappresentare chiavi di lettura dei feno-
meni umani, sono un pó lo specchio dell'interrogazione filosofica [...]. Quei principi, in altri termini, non vanno presi
tanto alla stregua di teoremi (l'animale carente, simbolico, tecnico, creatore ecc.) che spiegano perchØ l'uomo si compor-
ta in certi modi, quanto come indicatori ermeneutici che mostrano il senso del nostro spiegare, cercare, creare, agire, ciò
che in essi ne va» (A. BORSARI, M. RUSSO (a cura di), Helmuth Plessner. Corporeità, natura e storia nell'antropolo-
gia filosofica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, p. 11).
14
«La nostra attenzione non va rivolta esclusivamente a quello che egli prevalentemente è, ma piuttosto a quello che
può e deve essere, cioè va considerata non solo l'immutabilità della sua costituzione biologica, ma ancora la situazione
storica nella quale è inserito, e dunque le risposte che fornisce e che, in un certo modo, delineano ulteriormente la sua
natura. Dire che l'uomo è un essere storico significa disancorarlo dalla certezza della propria fondatezza per immetterlo
nel flusso del divenire. La storia non è semplicemente lo spazio in cui mi conosco, ma anche lo spazio in cui divento
quello che divento, in cui realizzo un modo di essere. L'antropologia filosofica non può esimersi, quindi, dal considerare
12
la domanda sull'uomo, una domanda che resta “aperta” e non si preclude nessuna risposta; essa
può liberarci dalle ideologie e dalla loro volontà di definire in maniera conclusiva l'uomo. Non
bisogna pretendere di fornire una soluzione teoretica finale al problema dell'uomo, ma bisogna
essere coscienti prima di tutto di questa sua enigmaticità. L'uomo appare come homo abscondi-
tus, intangibile, inoggettivabile
15
, per la sua stessa essenza rimane fuori dall'oggettivazione
scientifica, per cui ogni tentativo di conoscenza deve riconoscere le possibilità stesse della natura
umana per non cancellare “il respiro del suo oggetto”, ovvero, la dignità umana. La filosofia, se-
condo Plessner, non va considerata come un sistema chiuso che pretende e avanza di dare rispo-
ste conclusive sulla realtà. L'orizzonte della filosofia è sempre aperto ed è per questo che Ples-
sner rileva l'importanza del primato del filosofare come ideale
16
, per cui
le sue espressioni hanno,
non un valore “teoretico – concludente”, ma un valore “espositivo – dischiudente”
17
. Fonte prin-
cipale di malintesi è stato sotto questo punto di vista il dualismo cartesiano che ha amplificato la
rottura tra res cogitans e res extensa, ovvero, tra realtà psichica e realtà fisica
18
. L'opera del 1928
anche il lato pratico dell'uomo, occupandosi del suo essere e ugualmente del suo dover essere, essendo egli sempre allo
stesso tempo destino e libertà, natura e storia» (O. TOLONE, Homo absconditus. L'antropologia filosofica di Helmuth
Plessner, ESI, Napoli 2000 p. 28).
15
Ivi p. 32.
16
Cfr. S. GIAMMUSSO, Potere e comprendere. La questione dell'esperienza storica e l'opera di Helmuth Plessner,
Guerini e Associati, Milano 1995 pp. 57-58.
17
A proposito del concetto di posizionalità eccentrica Marco Russo si trova in contrapposizione con la tesi J. Fischer
esposta nel saggio Exzentrische Positionalität. Plessners Grundkategorie der philosophischen Anthropologie, in
«Deutsche Zeitsschrift für Philosophie», 2, 2000, pp.265-288. Afferma Russo: «la figura della posizionalità eccentrica
dell'uomo cui essa approda rischia di trasformarsi in una formula magica, in un modello interpretativo onnivalente,
buono a ogni uso esplicativo grazie alla sua efficacia intuitiva. Direi che, al di là dell'interna coerenza dei Gradi, la po-
sizionalità eccentrica è o dovrebbe essere una metacategoria: non spiega l'uomo direttamente e in ogni suo aspetto, ma
spiega come spiegare, come approcciare secondo strategie differenziate i vari aspetti dell'umano. Giocando su posizio-
namento e spiazzamento, collocazione, dislocazione e illocalizzabilità, essa è un'immagine contro la fissazione di im-
magini risolutive e riassuntive dell'uomo». In nota specifica: «...Trovo dunque a maggior ragione necessario ribadire
che senza l'elemento contrastivo e connotante della Verkörperung, l'eccentricità diventa un passepartout, una formula
universale del tipo "siccome l'uomo è eccentrico ne consegue che...". Ma allora sapremo tutto su tutto in anticipo. Perciò
preferisco intendere l'eccentricità come un'idea regolativa, un'indicazione di metodo per analizzare i fenomeni umani,
che, del resto, come dice Plessner, sono una parte e non il tutto e proprio per questo risulta eccentrica! L'eccentricità,
insomma, va giocata e fatta valere interrogativamente, non applicata come modello esplicativo»
(A. BORSARI, M.
RUSSO (a cura di), Helmuth Plessner. Corporeità, natura e storia nell'antropologia filosofica, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2005 p. 34).
18
A proposito Vallori Rasini ci aiuta a comprendere la tesi di Plessner e suoi concetti chiave: «il corpo umano non è un
involucro; non è il contenitore di un'anima che per suo tramite si esprime. Anima e corpo sono tutt'uno, aspetti di un en-
te in cui anzi l'essere del corpo dà forma all'anima. In qualche modo, il corpo fa l'essenza dell'uomo; e lo stesso vale per
gli altri organismi. Corpo, in relazione al vivente, non è sinonimo di fisico[...] La relazione del vivente con il proprio
corpo - secondo quanto si legge nelle Stufen - è indice del grado di sviluppo dell'organismo, cioè del livello di organiz-
zazione essenziale da esso raggiunto. L'essere del corpo - la sua modalità di realizzazione - è pertanto il segnale piø e-
splicito dell'appartenenza ontica del vivente a un determinato regno della natura. Definita modalità posizionale, la for-
13
aveva l'obiettivo di avviare e percorrere fino in fondo la direzione “verticale”, ossia la «direzione
risultante dalla posizione nel mondo come organismo nella categoria degli organismi, che l'uomo
ha sviluppato naturalmente»
19
. Ma prima di individuare la differenza posizionale tra i diversi re-
gni della natura, Plessner rintraccerà la differenza ontologica tra realtà inorganica e organica. La
differenza consisterà nel tipo di relazione del corpo con il suo limite (Grenze); un limite non
spaziale, non percepibile sensibilmente, ma inteso piuttosto nel suo valore onto-
fenomenologico
20
. Il compito era chiarire la posizione dell'uomo, considerato ora, come un or-
ganismo all'interno di un insieme di organismi viventi. Impresa certo non facile, ma la spinta de-
terminante venne a Plessner dai suoi:
anni di studio della zoologia a Heidelberg, come allievo di Bütshli e Herbst, Windelband e Tro-
eltsch, Driesch e Lask, e dalle profonde tensioni allora esistenti fra scienze della natura e filosofia.
Chi non voleva sacrificare una cosa all'altra veniva stimolato a meditare sulle nuove possibilità di
concepire filosoficamente la natura
21
.
Dopo aver intrapreso la direzione orizzontale, compiuta con l'opera precedente del 1923 Die
Einheit der Sinne, si tentava di sintetizzare e di unificare i diversi aspetti fornendo una visione
"totale" dell’'uomo in quanto “soggetto-oggetto della natura” e “soggetto-oggetto della cultura”.
ma di organizzazione del vivente ha una valenza ontologica che - come si diceva - non consente piø la distinzione di
una realtà fisica e di una realtà psichica. Il fisico e lo psichico continuano perciò a conservare un loro significato solo
come aspetti di una realtà unitaria» (A. BORSARI, M. RUSSO (a cura di), Helmuth Plessner. Corporeità, natura e sto-
ria nell'antropologia filosofica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 52-3).
19
H. PLESSNER, I gradi dell'organico e l'uomo. Introduzione all'antropologia filosofica,
a cura di V. RASINI, Bolla-
ti Boringhieri, Torino 2006 (ed. or. Die Stufen des Organischen und der Mensch. Einleitung in die philosophische An-
thropologie, De Gruyter, Berlin 1928; ora in Id., Gesammelte Schriften (GS) I-X, a cura di G. Dux, O. Marquard 85),
p. 56.
20
A riguardo è stato osservato come: «Plessner è giunto a determinare questo limite attraverso alcune considerazioni sul
modo in cui i corpi appaiono nel fenomeno. Ogni corpo si presenta all'intuizione come dotato di un centro e di una peri-
feria, di un nucleo intorno a cui si raccoglie la cosa e di una serie di lati o di aspetti che la costituiscono rappresentan-
done le proprietà e facendo capo a quel nucleo. Anche qui non abbiamo a che fare con la realtà spaziale del corpo, ma
con le caratteristiche intuitive che oltrepassando la dimensione fisco-geometrica rimandano alla costituzione essenziale
del corpo. L'esperienza sensibile di una cosa fisica si articola dunque secondo due direttrici percettive, l'una orientata
verso l'interno del corpo, il suo centro portante, l'altra verso la parte piø esterno di esso [...] Questo doppio orientamento
percettivo, denominato duplicità d'aspetto (Doppelaspektivität), è caratteristica comune degli enti fisici in quanto con-
dizione preliminare del loro apparire unitario. Ma per l'organismo questo non è tutto. Vi sono corpi - sostiene Plessner -
che non solamente presentano una siffatta duplicità d'aspetto, ma si danno nella duplicità d'aspetto, come se questa co-
stituisse una loro specifica proprietà» (Ivi, pp.53-4).
21
Ivi, p. 3.