1. Aristotele anticipatore del tema delle scuse
1.1. Quali sono i gesti che possono essere perdonati secondo
Aristotele?
L'importanza della cortesia in filosofia risiede nell'esigenza, a
partire dall' Etica, di cercare di capire e di mettere in chiaro i
meccanismi che regolano in maniera implicita e non scritta i rapporti
tra gli individui. Il padre dell'Etica è Aristotele, il quale cerca di
esporre e di argomentare i temi sopra citati nella sua opera più celebre
sotto questo punto di vista, vale a dire L'Etica Nicomachea. Il lavoro
che io andrò a svolgere in questo sessione sarà l'analisi del terzo libro
di quest'opera, con lo scopo di analizzare il tema delle scuse.
É questo infatti, l'argomento di discussione di questo capitolo.
Quali sono gli atti che possono essere perdonati? L'argomentazione
che viene svolta si trova nel paragrafo 1 della suddetta opera, intitolato
“Gli atti umani sono volontari o involontari?”, dalla quale emerge una
distinzione importante tra atti volontari, involontari e non volontari.
Giacché, dunque, la virtù ha a che vedere sia con passioni sia con azioni, e
giacché per le passioni e le azioni volontarie ci sono la lode e il biasimo,
mentre per le involontarie c'è il perdono, e talora anche la pietà, definire il
volontario e l'involontario è indubbiamente necessario per coloro che studiano
la virtù, e utile anche ai legislatori per stabilire le ricompense onorifiche e le
punizioni.
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In questo frammento ci viene già data la risposta alla domanda
iniziale secondo cui le azioni che possono essere perdonate sono
quelle involontarie, mentre quelle volontarie sono degne di lode o
biasimo.
Si ammette dunque, comunemente, che sono involontari gli atti compiuti
per forza o per ignoranza. Forzato è l'atto il cui principio è esterno, tale cioè
1 Aristotele, Etica Nicomachea, III, 1,1109 b 1, 30 - 35
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che chi agisce, ovvero subisce, non vi concorre per nulla […] .
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Gli atti involontari sono quelli compiuti da individui che vengono
spinti a compierli da altri, che vengono costretti coattivamente, e
magari ricattati. Tuttavia, non è così semplice determinare con
chiarezza se effettivamente, quando veniamo costretti a fare qualcosa,
il nostro concorso nell'azione che compiamo sia completamente
assente oppure no,
Qualcosa di simile accade quando si gettano fuori bordo i propri averi durante
le tempeste, giacché in generale nessuno butta via volontariamente, ma
chiunque abbia senno lo fa per salvare se stesso e tutti gli altri, simili azioni,
dunque, sono miste ma assomigliano di più a quelle volontarie, giacché
sono fatte oggetto di scelta nel momento determinato in cui sono compiute
e il fine dell'azione dipende dalle circostanze. Per conseguenza anche il
volontario e l'involontario devono essere determinati in riferimento al
momento in cui si agisce
3
Ed ecco qui introdotto il concetto di azione mista. Giustamente
devo valutare il contesto dell'azione per chiarire se si tratta di un'
azione volontaria o di una involontaria. Chiaramente, se “butto fuori
bordo i miei averi” agisco involontariamente, nel senso che non vorrei
buttarli via, ma in fin dei conti le circostanze mi impongono di farlo e
quindi mi comporto di conseguenza, in maniera volontaria, proprio
nel senso in cui intendeva Aristotele all'inizio, cioè, quando nel fare
un gesto, non sono mosso da nient'altro se non da me stesso, nel senso
che, in quel momento, il principio che fa partire l'azione si trova
dentro di me, e non è esterno.
In questo caso si agisce volontariamente, giacché il principio che muove
come strumenti le parti del corpo in simili azioni è nell'uomo stesso: e le
cose di cui ha in se stesso il principio, dipende da lui farle o non farle.
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2 Ibid.,III, 1, 1109 b, 35 – 1110 a
3 Ibid., III, 1, 1110 a, 9 - 15
4 Ibid., III, 1, 1110 a,15 - 17
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1.2 Lode, biasimo e perdono
Per azioni simili talora si è anche lodati, quando si sopporta qualcosa di
brutto o di doloroso in cambio di cose grandi e belle; in caso contrario si è
biasimati, giacché sopportare le cose più vergognose per niente di bello o
di proporzionato è da uomo miserabile. In alcuni casi poi non si da lode
ma perdono: quando uno compie un' azione che non deve, ma per evitare
mali che oltrepassano l'umana natura e che nessuno potrebbe sopportare.
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La lode e il biasimo derivano da comportamenti volontari.
Facciamo un esempio. Poniamo il caso in cui dovessimo sopportare
una persona che ci torturasse per estorcerci informazioni di
importanza vitale. Nel caso in cui riuscissimo a sopportare le suddette
torture verremmo lodati, e diverremmo, agli occhi delle persone, degli
eroi, dei personaggi molto stimati per il nostro comportamento che
abbiamo mantenuto, granitico, inamovibile, per tenere fede alla virtù.
Viceversa, nel caso in cui, ad esempio, fossimo disposti a farci
pagare per divulgare informazioni di vitale importanza, o che
riguardassero una persona a noi vicina che si fida di noi, di certo non
si potrebbe dire che in quel caso terremmo un comportamento
virtuoso; staremmo invece adottando un comportamento egoista, per
soddisfare fini personali, e tradendo la fiducia di un amico.
La lode e il biasimo pervengono dunque in relazione alle
motivazioni che ci spingono a compiere un determinato gesto.
Bisogna infatti valutare con molta attenzione se si è veramente
costretti a compiere un gesto, oppure se il fatto di venire costretti sia
solo una scusa per compiere quel gesto che in realtà ci farebbe piacere
compiere. Mi spiego meglio: se compissimo gesti che ci farebbe
piacere compiere, in maniera coercitiva, cioè venendo costretti da
qualcuno a compierli, in quel caso non si potrebbe parlare di
costrizione, perché sarebbe assurdo parlare di costrizione nel compiere
un' azione che ci procurasse piacere. Perché in quel caso
compieremmo l'azione in questione volentieri, cioè integrando a quel
5 Ibid., III, 1, 1110 a, 20 - 24
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gesto costrittivo la nostra volontà, rendendolo pertanto un atto
volontario. E come abbiamo visto nella citazione a pagina 3, perché
un atto non sia volontario non deve esserci nessun concorso
nell'azione da parte del soggetto.
Mettiamo il caso in cui fossimo costretti ad esempio, a fare un
dispetto ad una persona contro la quale proviamo rancore e
risentimento. Se, secondo Aristotele, cedessimo alla coercizione che ci
venisse imposta, saremmo delle persone incivili e non virtuose, perché
il motivo che ci costringe a compiere il gesto suddetto è risibile. Cioè,
in quel caso sarebbe possibile opporre resistenza alla coercizione
imposta, rendendo l'azione che venisse compiuta volontaria, in quanto
è il soggetto stesso che vuole compiere l'azione a cui viene obbligato,
pertanto non si potrebbe parlare di costrizione.
[…] Non è possibile lasciarsi costringere, ma piuttosto bisogna morire, pur
tra terribili sofferenze: infatti, i motivi. che hanno costretto l' Alcmeone di
Euripide ad uccidere la propria madre sono manifestamente risibili.
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E' difficile, talvolta, discernere che cosa ed a quale costo si deve scegliere
e che cosa e per quale vantaggio si deve sopportare, ma ancor più difficile
perseverare nelle decisioni prese: come, infatti, perlopiù, ciò che ci aspetta
è doloroso, ciò cui si è costretti è vergognoso, ragion per cui si meriterà
lode o biasimo a seconda che ci si sia lasciati costringere oppure no.
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L'atto è da considerare forzato, come già detto poco sopra, quando
nell' azione non c'è nessun concorso da parte del soggetto, e come
viene evidenziato bene da Aristotele nella citazione seguente:
[…] sembra che l'atto forzato – dice Aristotele – sia quello il cui principio
è esterno, senza alcun concorso di colui che viene forzato.
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6 Ibid., III, 1,1110 a, 25 - 27
7 Ibid., III, 1, 1110 a 29 – 1110 b
8 Ibid., III, 1, 1110 b, 15 - 16
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1.3. Differenza tra atti involontari e non volontari
Un atto involontario si differenzia dall'atto non volontario perché
il primo provoca dispiacere e rincrescimento. Quando si compie un
atto involontario infatti si è ben consapevoli di quello che si sta
facendo, ma si compiono errori di valutazione delle circostanze, cioè
scateniamo delle conseguenze che non ci aspettavamo di scatenare, o
come dice Aristotele, “agiamo ignorando”. Quando ad esempio siamo
adirati o ubriachi, sappiamo perfettamente quello che stiamo facendo,
ma agiamo sotto uno stato d'animo non lucido, che non ci permette di
valutare bene e di capire con chiarezza la situazione che abbiamo di
fronte, pertanto compiamo talvolta, atti per i quali possiamo pentirci,
provando quindi rincrescimento e dispiacere.
Diciamo invece che una persona compie un gesto in maniera non
volontaria quando ignora completamente quello che sta facendo,
quando non si rende nemmeno conto della situazione che gli si
presenta di fronte, quindi, in quel caso, si dice che chi agisce lo fa in
maniera non volontaria, perché “agisce nell'ignoranza” e dunque, si
differenzia dal primo, perché non prova rincrescimento, dal momento
che non sa quello che fa (sarebbe assurdo il contrario). Facciamo un
esempio dei giorni nostri, dell'attualità. Se una persona di cui ci
fidiamo, ci dicesse, per fargli un favore, di consegnare un pacchetto ad
un' altra persona, se il pacchetto contenesse un pistola, e la pistola
venisse usata dal destinatario del pacchetto per uccidere un' altra
persona, e noi rimanessimo all'oscuro di tutto quello che succedesse
dopo aver consegnato il pacchetto al destinatario, in quel caso,
secondo Aristotele, verremo indicati come “agenti non volontari”
perché avremmo agito a fin di bene, noi avevamo fiducia della
persona che ci ha chiesto di consegnare il pacco, senza essere a
conoscenza delle conseguenze che abbiamo scatenato; in questo caso
non proviamo rincrescimento dato che non sappiamo niente di quello
che è avvenuto dopo la consegna del pacco, e pertanto, diciamo che
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avremmo agito in maniera non volontaria.
In ogni caso, sebbene gli atti involontari siano determinati
dall'ignoranza di alcuni particolari, proprio perché i particolari che si
possono ignorare sono appunto alcuni, è cosa buona e giusta
analizzarli attentamente e capire con chiarezza il limite di questi
particolari che ci possono sfuggire, facendoci fare errori di valutazione
e quindi compiere atti involontari,
Dunque non sarà certo male definire la natura ed il numero di questi
particolari: chi è che agisce, che cosa fa, qual è l'oggetto o l'ambito
dell'azione, e talora anche con quale mezzo (per esempio con quale
strumento) agisce, in vista di qual risultato (per esempio, per salvare
qualcuno), e in che modo (per esempio, pacatamente oppure violentemente).
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Quello che Aristotele dunque, vuole dirci, è che ci sono una serie
di particolari che non possono essere ignorati perché in quanto esseri
umani, abbiamo interiormente il concetto di giusto e sbagliato,
pertanto, la virtù non può essere ignorata. Poniamo il caso in cui ad
esempio, dovessimo salvare un nostro amico da morte certa. Se per
salvare lui, uccidessimo un nostro nemico, quello non sarebbe da
considerare come un comportamento virtuoso, perché il diritto alla
vita è inalienabile a prescindere dai rapporti che sussistono tra gli
individui. Quindi, il fine non giustifica i mezzi: bisogna sempre
mantenere un comportamento virtuoso, valutando con attenzione i
dettagli relativi alle situazioni che ci si presentano di fronte.
Un conto è infatti farsi scappare un segreto di bocca, e un altro è
invece, uccidere una persona per salvarne un'altra. Il primo infatti può
considerarsi un errore perdonabile, o appunto un atto involontario, il
secondo invece, è un atto nettamente volontario, dato che chi agisce, è
ben consapevole delle conseguenze che seguiranno, perché non è
possibile ignorare se stessi.
Uno potrebbe ignorare ciò che sta facendo: per esempio, quando dicono
9 Ibid., III, 1, 1111 a, 3 - 5
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che qualcosa è loro scappato di bocca parlando, oppure che non
sapevano che erano dei segreti, come disse Eschilo dei Misteri […].
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Quindi, in conclusione, possiamo riassumere che, l'atto volontario
è un tipo di atto il cui principio si trova internamente nel soggetto che
lo compie, in maniera del tutto libera e non coercitiva, dove il soggetto
che compie l'atto, conosce bene tutte le circostanze nelle quali agisce.
Si parla invece di atto involontario quando si compie un atto in
maniera coercitiva senza nessun concorso da parte del soggetto e si
ignorano le circostanze, quando si compiono errori di valutazione nel
compiere un determinato gesto; oltre alla componente dell'ignoranza,
il soggetto che lo compie, proverebbe un senso di rincrescimento, di
dispiacere per averlo compiuto, una volta che venisse a conoscenza
degli errori che ha commesso e delle conseguenze che ha provocato.
Altrimenti nel caso in cui non conoscesse bene le circostanze o la
situazione nella quale agisce e non venisse a conoscenza degli errori e
delle conseguenze che ha scatenato, parleremmo allora di atto non
volontario.
Tale è dunque, l'ignoranza per cui un atto si chiama involontario; ma bisogna,
inoltre, che l'atto sia spiacevole ed increscioso. Poiché è involontario ciò
che si fa per forza e per ignoranza, dove si dovrà ritenere che il volontario
è quello il cui principio sta in colui stesso che agisce,conoscendo le circostanze
particolari in cui si attua l'azione.
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10 Ibid., III, 1, 1111 a, 8 – 10
11 Ibid., III, 1, 1111 a, 19 – 24
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