II
Introduzione
Nel corso che Heidegger tenne a Friburgo nel semestre 1929/1930 e che egli considerava
uno dei migliori suoi corsi universitari, si affrontavano i Concetti fondamentali della
metafisica e, in particolar modo, si tentava un‟analisi filosofica delle nozioni di Mondo,
Finitezza e Solitudine alla luce dei risultati dell‟analitica esistenziale elaborata in Essere e
tempo. In quegli stessi anni un giovane allievo di Heidegger, il quale aveva assistito alle sue
lezioni su Agostino e sul problema del libero arbitrio nel confronto agostiniano con il
pelagianismo, pubblicava nella collana di studi curata dal teologo Bultmann un saggio dal
titolo Augustin und das paulinische Freiheitsproblem. Nel testo gli echi heideggeriani
sembrano più che evidenti e l‟affinità dei temi trattati in esso rispetto alla riflessione
heideggeriana lasciano emergere tutta la sintonia e l‟adesione filosofica che legava il
giovane allievo Hans Jonas al suo maestro. In primo luogo si evidenzia la centralità di una
filosofia intesa come metafisica nonché la necessità di affrontare questioni la cui risoluzione
appare del tutto inconcludente se elaborata con i soli strumenti di una ragione intesa in
senso scientista o neopositivista. Nell‟atteggiamento di Heidegger che combatte contro
l‟ontologia tradizionale si riscontra la volontà di leggere la filosofia più come una poesia
che come una scienza, più come una nostalgia che come una matematica. Non è un caso
che nel corso sopracitato Heidegger, per definire lo stato d‟animo fondamentale del
filosofare, citi il poeta Novalis che sosteneva:
“La filosofia è propriamente nostalgia, un impulso ad essere a casa propria ovunque”
1
.
Le due radici che stanno alla base della definizione della filosofia come nostalgia
impongono il dovere di scoprire il filosofare come un lamento (άλγορ) del ritorno (νόζηορ),
ovvero come il desiderio di un recupero dell‟origine e di uno svelamento dell‟essenziale.
Come sosteneva Aristotele, alla base della filosofia risiede quello stupore (τασκάδεηλ)
proprio di chi osserva il mondo sì problematizzandolo con l‟intelletto ma, al tempo stesso,
rimanendovene meravigliato. Un tale atteggiamento ha animato non solo lo sviluppo del
pensiero filosofico ma anzitutto la vita e l‟esistenza di Hans Jonas del quale la moglie Lore
scrive:
1
Martin Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica,Il Melangolo, Genova 1999, p. 10.
III
Osservava il mondo con occhi nuovi, pieni di stupore, e si entusiasmava all’ardito tentativo di
camminare fatto dal nipotino di un anno e mezzo così come allo straordinario tramonto del sole nel
giardino di casa nostra, o alla meravigliosa poesia del grande poeta, che fino a tarda età fu in
grado di citare a memoria
2
.
La meraviglia di fronte al darsi dell‟esistenza in tutte le sue più varie propaggini è ciò che
muove all‟autentico atteggiamento del filosofo che cerca di indagare sulla totalità che si
manifesta, e si pone nell‟atteggiamento socratico di una continua ricerca verso il vero.
Diventa pertanto inevitabile per Jonas aprire la propria riflessione filosofica alle questioni
metafisiche come la libertà, la necessità, il limite, il mondo e Dio, temi che assumono un
loro statuto filosofico nel senso che rientrano a pieno titolo nell‟indagine del filosofo anche
là dove l‟intelletto puro kantianamente inteso non è ontologicamente in grado di trovare una
risposta esaustiva e definitiva. Tuttavia ciò che a Jonas interessa non è tanto la soluzione del
problema quanto la capacità razionale di porlo in termini metafisici. A proposito del
problema di Dio, con queste parole Jonas inaugura una conferenza tenutasi alla “Columbia
University” il 5 marzo 1970:
Se convinco me stesso e altri che la domanda è davvero una domanda senza risposta, sarò riuscito
nell’intento che mi sono proposto di raggiungere
3
.
Contro la tendenza di fare della filosofia una scienza, insieme ad Heidegger anche Jonas si
fa fautore di un “ritorno alla metafisica”, come recita il titolo di un articolo di Paolo Becchi
su Jonas
4
, e per il pensiero del Novecento si fa portavoce di un‟istanza filosofica che pone
al centro dell‟indagine quelle nozioni come vita o libertà che oggi vengono messe in
confronto dialettico con le nuove acquisizioni della scienza ma che rimangono l‟oggetto più
autentico del pensiero filosofico. Nel paragrafo dedicato alla necessità della metafisica in Il
principio responsabilità, Jonas così si esprime:
La metafisica è stata da sempre una faccenda della ragione e quest’ultima si può incomodare a
richiesta. Benché con il diktat dell’amara necessità una metafisica sostenibile si lasci evocare
altrettanto poco che la religione, la necessità può almeno indurre alla sua ricerca; e il filosofo laico
che lavora in vista di un’etica deve anzitutto ammettere, malgrado Kant, la possibilità di una
metafisica razionale a patto che il razionale non venga definito esclusivamente in base ai criteri
della scienza positiva
5
.
Rispetto a questo passo si potrebbe dire di Jonas che sia un autore totalmente metafisico ma
ciò risulterebbe riduttivo perché priverebbe il suo pensiero di quei meriti che ha saputo
2
Hans Jonas, Memorie, Il Melangolo, Genova 2008, p. 7.
3
Hans Jonas, La domanda senza risposta. Alcune riflessioni su scienza, ateismo e la nozione di Dio, Il Melangolo,
Genova 2008, p. 39.
4
Cfr. Paolo Becchi, Hans Jonas e il ritorno della metafisica, Micromega ,Roma 5/2003.
5
Hans Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990, p. 57.
IV
conquistare negli ambiti della biologia, della storia del pensiero antico e, soprattutto,
dell‟etica.
Dunque la metafisica costituisce solo un aspetto, quello che noi analizzeremo in questo
lavoro, di un pensiero molto più ampio e articolato che giunge ad affrontare temi diversi
dello scibile umano. Nella fattispecie cercheremo di privilegiare la riflessione jonasiana
sulla teodicea quale è delineata nell‟opera Il concetto di Dio dopo Auschwitz
6
, cercando di
riflettere sulle sue conclusioni circa il rapporto razionalmente elaborato fra esistenza di Dio
e presenza del male nel mondo. Nel tentativo di dimostrare come il pensiero jonasiano
costituisca un ritorno della metafisica nella riflessione filosofica del Novecento, si terrà
presente come la metafisica jonasiana nasca da un confronto diretto con le nuove scoperte
della scienza e i nuovi scenari di un‟epoca tecnologica. Quindi si tratteggeranno brevemente
i riscontri pratici che dalla metafisica scaturiscono.
Il percorso che questo lavoro intende costruire si articola in modo triadico e attraversa i tre
momenti dell‟esperienza del filosofo Hans: la sua esistenza con riferimento agli episodi
biografici e ai luoghi formativi che hanno in qualche modo orientato la riflessione filosofica
e che, a mio parere, hanno costituito il sostrato esperienziale della sua speculazione
teoretica; la metafisica quale si ricava dalla riflessione sulla teodicea, in particolare nel
confronto con Kant e Leibniz; il legame fra metafisica ed etica che comporta una precisa
interazione fra pensiero e azione e che implica un‟assunzione di responsabilità da parte di
ognuno per la salvaguardia del mondo e per la prosecuzione della vita della stessa umanità.
I tre momenti, delineati ciascuno in ogni capitolo del nostro lavoro, possono essere
paragonati alle tre tappe del percorso intellettuale che lo stesso Jonas delinea nella
conferenza tenuta a Heidelberg nel 1986 e intitolata Wissenschaft als persönliches Erlebnis:
La prima è caratterizzata dallo studio della gnosi tardo antica sotto il segno dell’analitica
esistenziale, la seconda dall’incontro con le scienze naturali nella prospettiva di una filosofia
dell’organismo, la terza da una svolta che mi ha portato dalla filosofia teoretica alla filosofia
pratica, ossia all’etica
7
.
Passato, presente e futuro si intrecciano in una riflessione che dalla meditazione sulle
filosofie antiche si apre all‟orizzonte dei problemi contemporanei di un‟etica compatibile
con le nuove tecnologie. Studio della gnosi, filosofia dell‟organismo ed etica hanno forse in
comune un unico modo di accostarsi all‟esistenza e che noi chiamiamo metafisica del
6
Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Il Melangolo, Genova 2008.
7
Cfr. Paolo Becchi, Hans Jonas e il ritorno della metafisica, Micromega, Roma 5/2003.
V
limite, ovvero filosofia della finitezza quale elemento ontologicamente appartenente
all‟essere in quanto tale, e, in particolare, all‟essere proprio dell‟essere umano. A partire da
una metafisica del limite si chiariranno concetti quali l‟autolimitazione di Dio, la presenza
della sofferenza o la necessità di una responsabilità per le azioni dell‟essere umano nei
confronti di se stesso e del cosmo. La lettura dell‟opera jonasiana alla luce di una metafisica
del limite quale categoria filosofica di interpretazione, può costituire non solo il modo per
un nuovo approccio ermeneutico ma in primo luogo il senso per una adeguata comprensione
di un pensiero che si fonda sulla contraddittoria relazione fra limitatezza dell‟essere e
pensiero dell‟infinito, fra sofferenza costitutiva dell‟esistere e desiderio di eterna
beatitudine: un paradosso che forse sta alla base dell‟antropologia di Hans Jonas e che si
fonda sulla dialettica di estrema rilevanza filosofica fra necessità e libertà, fra ἀλάγθε ed
ἐιεστερία.
La risposta alla domanda di Giobbe sulla sofferenza dell‟innocente che ritorna davanti al
dramma di Auschwitz trova una sua soluzione soltanto se si ammette un limite alla potenza
di Dio e una restrizione delle sue capacità rispetto al corso degli eventi della storia che
vengono dunque consegnati al libero arbitrio dell‟essere umano che può condizionarne gli
esiti ora positivamente ora negativamente a seconda dell‟esercizio delle sue libere azioni. È
un pensiero, quello jonasiano, che oltre a intersecare filosofia e teologia, è in grado di
presentarsi, a mio parere, come una sintesi eminente di matrici culturali diverse, quali
cristianesimo, ebraismo e filosofia classica le quali, anche se poste in reciproca interazione,
rimangono comunque sostrati di riflessione ben distinti nel panorama di una filosofia che è
in se stessa autonoma ed originale.
1
Capitolo I
L’uomo e la nudità dell’essere se stesso: l’esperienza del soffrire
Dagli studi gnostici all’occupazione naturale del filosofo
Come ogni concetto astratto, privato del suo supporto materiale quale la mente è per il
pensiero, non trova alcuna possibilità di concretarsi nell‟atto di uno speculare teoretico, così
una filosofia non avrebbe motivo d‟essere né ragione di sussistenza se non incuneata in una
precisa dialettica storica, se non espressa da una esistenza che, in quanto tale, dirama il suo
essere in una serie di vincoli e di legami che la trattengono al mondo. Ed è proprio il
connubio fra esistenza e filosofia, fra vita e pensiero, una delle matrici filosofiche di cui
Jonas si farà portavoce non solo attraverso l‟elaborazione del suo medesimo sistema di
pensiero, ma in primo luogo per il fatto di aver vissuto la propria umanità nella
consapevolezza di questa intima unione. La nozione di responsabilità in Jonas non è solo
l‟esito di un‟euristica del pensiero astratto, ma nella sua esistenza storica ovvero nella sua
esperienza biografica si fa modo di agire, stile di vita nonché attuazione di un
comportamento concretamente esperito nello sforzo di un miglioramento del genere umano.
Uno dei motivi, infatti, che lo spinsero alla sequela di Heidegger nel corso degli anni della
formazione accademica, fu appunto quell‟analitica esistenziale che interpretava l‟essere
dell‟Esserci come Sorge, ovvero come un essere presso il mondo, che si occupa del mondo
e che si esprime nell‟atto esistenziale di una decisione nel mondo. Il senso di una effettività
dell‟esistenza umana veniva così mirabilmente espresso dal maestro nel suo capolavoro
filosofico e, con precisione, nella parte dedicata all‟essere dell‟Esserci come Cura:
“L’esistere effettivo dell’Esserci non è soltanto, in generale e indifferentemente, un gettato poter-
essere-nel-mondo, ma è anche già sempre immedesimato con un mondo di cui si prende cura”
8
.
Il prendersi cura del mondo sarà un aspetto che permarrà nell‟opera jonasiana assumendo la
caratteristica di un compito etico dell‟umanità nei confronti di se stessa così come emerge
nella riflessione dello Jonas maturo, e, già negli anni universitari, si tradurrà in determinati
8
Martin Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano 2001, p. 234.
2
impegni politici che lo porteranno all‟adesione al sionismo prima, all‟emigrazione in
Palestina poi e, infine, alla partecipazione nelle file degli Alleati durante la guerra contro il
Nazismo. In realtà dopo l‟avvenuto distacco con il maestro, Jonas rimprovererà a Heidegger
proprio la dissociazione fra essere e pensiero e la sua incapacità di aver vissuto
esistentivamente il senso della Cura. Certamente Jonas si riferisce non solo al discorso di
appoggio al regime tenuto da Heidegger in qualità di rettore dell‟università di Friburgo nel
1933 o alla sua adesione al programma antisemita del partito Nazionalsocialista, ma
principalmente all‟atteggiamento tenuto dal maestro nei confronti dei colleghi ebrei e, in
particolar modo, nei confronti di Husserl da cui pure aveva ricevuto insegnamenti preziosi
nonché gli strumenti del nuovo metodo fenomenologico. Nelle sue Memorie
9
Jonas parla di
un incontro internazionale tenuto alla Drew University del New Jersey nel 1964, quindi
dopo la guerra e dopo la rottura con il maestro. Per l‟occasione Jonas tenne una conferenza
dal titolo Heidegger and Theology in cui polemizzava contro il maestro e riteneva
inopportuno l‟uso delle categorie filosofiche heideggeriane nella teologia. Raccontando la
conferenza Jonas così espone le sue critiche:
Venendo a parlare di La chiamata dell‟essere di Heidegger, accennai anche a quanto tale chiamata
possa essere conflittuale: - La risposta personale di Heidegger è documentata e, spero, non
dimenticata, come un’onta della filosofia -. E fra le altre cose confrontai la concezione
heideggeriana dell’essere umano come pastore dell‟essere con la semplice sfida della Bibbia ed il
fallimento dell’umanità nella nostra epoca: “L’essere umano sia pastore dell’essere – non delle
creature essenti ma dell’essere! A prescindere dal suono sacrilego che l’uso di questo sacro titolo
non può non avere per orecchie cristiane ed ebraiche, è difficile accettare di sentire celebrare
l’essere umano come pastore dell’essere , avendo lui così miseramente fallito nell’essere il custode
di suo fratello
10
.
Jonas critica il fatto che l‟attenzione heideggeriana sia rivolta alla pura datità dell‟essere e
non alla realtà essente dell‟essere stesso. Ciò che per Heidegger è l‟essere dell‟Esserci in
Jonas assumerà il carattere ontico di un essente che è nell‟atto stesso in cui esiste e la cui
realtà è un σύλοιολ aristotelicamente inteso come ilomorfismo ovvero come unione
indissolubile di materia e forma. Si può quindi sostenere che la filosofia di Heidegger abbia
costituito il punto di partenza della riflessione jonasiana, ma un momento di certo superato
da un pensiero che si è arricchito di matrici culturali sempre nuove e di esperienze
biografiche tali da indurre Hans Jonas alla “svolta filosofica” che sarà rappresentata dalla
sua filosofia dell’organismo e che maturerà proprio negli anni della guerra a contatto con la
caducità della vita e con l‟autenticità delle relazioni umane. A sostegno dell‟interpretazione
9
Hans Jonas, Memorie, Il Melangolo, Genova 2008.
10
Ibidem, p. 249.
3
dell‟esistenzialismo quale fase semplicemente propedeutica nel percorso teoretico jonasiano
si può citare un altro passo delle Memorie in cui Jonas giudica il suo primo lavoro
scientifico, Gnosis und spӓtantiker Geist, al quale lavorò fra il 1925 ed il 1933, come un
residuo delle influenze fenomenologiche e analitico - esistenziali senza attribuire all‟opera
un‟autonomia filosofica propria:
Volendo parlare della mia filosofia, essa inizia senz’altro non con la Gnosi, ma con i miei studi sulla
biologia filosofica. In confronto l’opera sulla gnosi non era altro che il mio saggio di apprendista -
un’applicazione della filosofia di Heidegger, in particolare dell’analitica esistenziale con i suoi
metodi di interpretazione e la sua comprensione dell’essere umano a un determinato argomento
storico, in questo caso la Gnosi della tarda antichità. (…)Ma non direi che lì operasse una originale
filosofia jonasiana
11
.
In verità già a partire dagli studi gnostici, intrapresi negli anni della giovinezza grazie agli
stimoli e ai contributi del teologo Bultmann del quale Jonas diventerà anche grande amico,
si intravedranno quelle tematiche che accompagneranno Jonas in tutto il suo itinerario di
pensiero ed emergeranno, per analogia o opposizione, le principali tesi della filosofia
jonasiana. Nel saggio Gnosi, esistenzialismo e nichilismo
12
(1963), Jonas ripercorre i nuclei
speculativi dell‟antica dottrina gnostica, dal deus patiens all‟avversità verso il cosmo, dal
mito di Sophia decaduta alla nozione di “spirituale”, e tenta l‟individuazione di una
analogia filosofica con il pensiero esistenziale di Heidegger; l‟affinità è rintracciata proprio
in quella scissione tra materia e forma, tra Dio e uomo di cui detto sopra e che apre
l‟orizzonte alla moderna concezione del dualismo metafisico di origine platonico -
cartesiana. Se lo gnosticismo, insieme all‟esistenzialismo, propone una frattura radicale e
incolmabile fra il tempo e l‟eterno, lo sforzo filosofico jonasiano sarà quello di tentarne una
conciliazione attraverso una metafisica dell‟organismo in grado di concepire l‟essere
vivente come un essente nel mondo, vincolato da esso, ma al tempo capace di trascenderlo.
Forse un paradosso che non trova spazio nel dramma del mito gnostico nel quale l‟uomo è
svelato nella solitudine e nelle carceri di una materia da cui cerca di fuggire. Una differenza
si può scorgere fra un nichilismo di tipo gnostico e uno di tipo esistenzialista:
Ancora una volta la nostra indagine ci conduce al dualismo tra uomo e υύσης come fondamento
metafisico della situazione nichilista. Non bisogna trascurare una differenza molto importante tra
dualismo gnostico e quello esistenzialista: l’uomo gnostico è gettato in una natura antagonista, anti
divina e perciò antiumana. L’uomo moderno in una natura indifferente
13
.
11
Ibidem, p.98. Traduzione lievemente modificata.
12
Pubblicato come capitolo conclusivo del volume: Hans Jonas, Lo gnosticismo, SEI, Torino 1991.
13
Ivi, p. 353