Divismo cinematografico e musicale:
analisi sociologica del fenomeno
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Introduzione
Il presente lavoro ha come obbiettivo quello di analizzare il
fenomeno del divismo. Nel voler trattare tale tematica mi sono accorta che
avrei potuto affrontarla da differenti punti di vista; seguendo un approccio
prettamente storico, od uno antropologico, piuttosto che psicologico, oppure
scegliere di approfondirla in ambito sociologico.
Definire una linea guida per descrivere in maniera esaustiva lo studio
di un fenomeno come quello del divismo è tutt’altro che semplice, essendo
questo un argomento ancora poco studiato scientificamente, data la sua
scarsa bibliografia. Ho scelto di trattare tale tematica in ambito sociologico
anche se per alcuni studiosi l’accostamento tra divismo e sociologia è da
considerarsi ancora oggi azzardato, in quanto avvolto da un pregiudizio che
lo considera irrilevante e futile. Conforta comunque sapere che tale pensiero
non è condiviso da tutti i sociologi, infatti lo studioso francese Edgar
Morin, uno dei primi ad affrontare il mondo dei divi in maniera più rigorosa
e non giornalistica, si discosta da tale giudizio precisando all’interno del
suo libro sulle star:
“Questo libro si interessa a ciò che per gran parte della sociologia
ufficiale era (e resta) confinato tra gli argomenti insignificanti e stupidi […]
Sono sempre più persuaso che non bisogna mai essere irriguardosi nei
confronti di un fenomeno e che il critico deve prima di tutto esercitare il
mestiere su se stesso per conservare qualche valore fuori di sé.” (Morin,
1995, p. 23)
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La mia scelta è stata in tal senso quella di analizzare quali siano, sul
piano sociologico, i meccanismi, le dinamiche e i motivi per cui da un
semplice attore cinematografico possa scaturire la figura del divo.
Attraverso le teorie espresse da diversi autori ho poi approfondito come la
star possa esistere ugualmente sia nel mondo del grande schermo sia nel
mondo della musica. Le caratteristiche proprie del cinema giustificano la
nascita del divismo, il mio punto di partenza per tale esposizione, ma ce ne
sono state altre, nettamente più sociali, culturali e psicologiche che ne
hanno permesso lo sviluppo in altri ambiti, tra cui quello musicale.
Come sopra affermato, non tutta la sociologia ufficiale ha ritenuto
opportuno occuparsi del fenomeno divistico, motivo per cui, ai fini di
questa dissertazione, non è stato facile rintracciare materiale che si
occupasse seriamente di tale argomento.
Morin, come precedentemente detto, fu uno dei primi con la
pubblicazione dell’opera “Le star” nel 1957 a parlare di celebrità,
influenzando e stimolando successivamente altri studiosi come Francesco
Alberoni. Nel 1963 quest’ultimo pubblica infatti una ricerca sociologica
dal titolo “L’Élite senza potere”, all’interno della quale troviamo un
confronto tra la categoria dei politici e quella dei divi. Entrambi questi
studi, seppur datati, mantengono tutt’ora una certa validità teorica, utile
all’analisi sul fenomeno divistico. Forniscono una visione più elaborata di
quegli aspetti psicologici e sociologici che portano i fan ad amare ed
ammirare i propri divi; inoltre si focalizzano su tutte quelle ragioni
economiche nascoste dietro lo star system. A tale proposito, il più recente
saggio di Sartori, “La fabbrica delle stelle” del 1983, è stato utile per
comprendere come sia cambiato il mercato dei divi dagli anni Ottanta in
poi, quali siano quelle strategie di marketing dietro il successo di queste
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celebrità e quali siano i soggetti che rientrano in questa categoria. Di non
minore importanza il recentissimo saggio di Vanni Codeluppi “Tutti divi.
Vivere in vetrina” del 2009, servito principalmente a contestualizzare ed
illustrare il divismo in ambito musicale. Da qui è nata appunto l’idea di
inserire all’interno di questa tesi un caso concreto di divismo moderno,
Michael Jackson, a cui è dedicata la breve parte monografica di questo
lavoro.
La presente esposizione intende trattare il divismo in quanto
“fenomeno popolare”, poiché è proprio attraverso l’identificazione con forti
modelli di riferimento che la società mitizza, rincorre, adotta e consuma i
propri idoli. Il pubblico da sempre si appassiona alle vicende dei suoi
beniamini, perché da sempre influenzato dal potere dei media, forti veicoli
di diffusione dell’immagine divistica. La ricerca da me effettuata è quindi
volta a descrivere il fenomeno divistico, le esigenze psico-sociologiche da
cui ha origine ed il suo radicale cambiamento nell’ambito della società
contemporanea.
Le pagine iniziali saranno dedicate all’esposizione di nozioni
generali attorno al termine “divo”, per lasciar spazio successivamente alle
teorie che serviranno da base per lo studio del fenomeno. Partendo da
Alberoni e dalla sua teoria sociologica, volta ad analizzare componenti
all’interno del divismo quali, carisma, notorietà e separazione di ruoli tra
divo e potere, arriverò a trattare il fenomeno secondo la visione di Edgar
Morin. Per quest’ultimo le star possono essere paragonate agli eroi
mitologici o agli dei dell’Olimpo; l’autore parla addirittura di una sorta di
religione delle star che vede nei fan dei fedeli devoti a questa forma profana
di culto. Di seguito, oltre alla sostanza divina, indagherò le celebrità in un
ottica decisamente più materiale, delineando e costruendo il profilo della
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star-merce attraverso tre componenti: il fisico, il carattere e lo stile.
Un’ulteriore capitolo sarà dedicato invece ai processi di identificazione,
imitazione e proiezione derivanti dagli atteggiamenti di ammirazione ed
emulazione verso le star. Approfondirò dettagliatamente tali meccanismi,
dimostrando l’influenza esercitata dai divi in campo pubblicitario, nella
sfera giovanile e nella moda. Successivamente verrà presa in esame l’intera
evoluzione del fenomeno divistico, dalle origini cinematografiche sino ai
giorni nostri, allo scopo di mostrare le ulteriori forme del fenomeno, tra cui
quella musicale. Proprio a questa tipologia di divismo saranno dedicati i
due capitoli finali di questo lavoro. Nel penultimo ho deciso di
concentrarmi in particolar modo sulla musica pop, genere musicale che più
di ogni altro esalta il divismo, e sugli aspetti che enfatizzano maggiormente
l’idolatria verso i cantanti, i concerti ed i videoclip; due forme distinte di
performance che trasformano la musica in immagine. Verrà aperta inoltre
una piccola parentesi sulla figura del fan e sul mondo dei fan club musicali,
dando particolare attenzione ai possibili risvolti che quest’ultimi posso
avere sul World Wide Web.
Come già accennato, concluderò analizzando un caso specifico di
divismo concentrandomi sulla personalità di Michael Jackson, l’esempio di
divo pop per eccellenza. Questa star mondiale è un personaggio controverso
e, per le sue contraddizioni, che così bene racchiudono elementi del vecchio
e del nuovo divismo, merita di essere preso in considerazione, dato che
questo lavoro tenta di far luce proprio sul divismo passato, presente e
futuro. Verranno trattari i diversi aspetti del suo essere divo, le peculiarità
dell’uomo, ma anche le forme di fanatismo che ruotano attorno alla sua
figura, con l’obbiettivo di comprovare la validità della base teorica esposta
in precedenza.
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1 Concetti generali - Premessa
Affrontare la materia del divismo ed in particolare il divo come
figura sempre più attuale nella nostra società può apparentemente sembrare
un argomento frivolo, leggero e destinato ad essere trattato solo tra le
pagine dei giornali scandalistici e di cronaca mondana. Osservandolo però
con attenzione è un fenomeno strettamente correlato alle dinamiche sociali
e culturali, infatti all’evolversi di queste muta a sua volta.
Alcuni autori nel secolo scorso hanno tentato di inquadrare
l’argomento sotto il profilo sociologico cercando di darne una definizione;
stabilendo quindi i concetti alla base della costruzione della figura del divo.
In molti dizionari della lingua italiana il termine “divo” in prima
istanza fa riferimento spesso ad un tipo di individuo con qualità
ultraterrene, eccezionali, un vero e proprio dio; in seconda istanza invece
questo termine viene riportato al concetto con cui più comunemente lo
intendiamo: il divo è un personaggio molto popolare, famoso, conosciuto
dalla gente comune.
Edgar Morin, uno fra gli studiosi che più si è occupato di questo
fenomeno, inquadra le caratteristiche del divo appena espresse all’interno
del termine “star”. L’autore, con tale vocabolo, intende un individuo molto
noto, una celebrità che riscuote l’interresse e la curiosità della società
portando la stessa a provare sentimenti di ammirazione e quasi adorazione
verso questo soggetto, che per tale motivo viene elevato ad una sorta di
condizione divina. Proprio all’interno del suo libro “Le Star” (1995) un
intero capitolo porta il titolo “dei e dee” a sottolineare proprio la natura
divinatoria di questi soggetti. Morin non pone limiti o restrizioni per
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l’ingresso a questa sorta di “casta privilegiata”, affermando che tutti
possono essere divi; sicuramente gli attori sono le persone che già
dall’avvento del cinema hanno meglio incarnato la tipologia di divo
standard. Il sociologo però allarga la cerchia definendo divo qualsiasi
persona che abbia un potere “magnetizzante” sulla folla.
Il secondo autore di cui avremmo modo di conoscere e approfondire
le teorie, riguardanti il concetto di divismo, nel corso delle pagine seguenti
è Francesco Alberoni. Nel primo libro italiano dedicato al divismo,
intitolato “L’élite senza potere” ed uscito nel 1963, esprime una differente
concezione di divo. Per questo autore, il divo, appartiene ad una classe a sé
stante, privata della possibilità di accedere alla gestione del potere politico o
economico e della possibilità di raggiungere un ruolo istituzionale nella vita
pubblica. Da questo concetto appunto deriva il titolo della sua opera.
Per Morin quindi, sarebbero divi sia attori e attrici come Charlie
Chaplin o Totò, sia uomini politici come Mussolini o Berlusconi; perché
identico sarebbe il transfert, in termini di ammirazione e identificazione,
che il pubblico ha verso di loro. Secondo Alberoni, invece, sussiste una
differenza tra leader politici carismatici e una diva come Greta Garbo, priva
di qualsiasi potere politico.
Queste due visioni verranno approfondite di seguito, tuttavia occorre
spiegare meglio le radici, le basi, il contenuto e le caratteristiche del
fenomeno in studio: il divismo.
Il divismo è un fenomeno di costume e consiste essenzialmente in un
processo di “divinizzazione” di un individuo, la sua immagine diventa una
icona altamente simbolica e onnipresente nella vita della gente comune, al
pari di quello che era stato per le icone religiose del passato.
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La figura del divo invade prepotentemente la realtà. Nelle società
moderne i divi vengono associati a personaggi dello spettacolo, attori
cinematografici, campioni sportivi e cantanti. Oggi il divo è oggetto di
curiosità, interesse, ammirazione e critiche non tanto legate alla sua attività
nel campo spettacolare quanto al suo agire nel settore privato. Questo
denota il fatto che non vengono valutate soltanto le sue “abilità” o
performance, anche se indispensabili, ma viene data anche particolare
enfasi al suo ruolo sociale e ad altre caratteristiche quali ricchezza, unicità
del modo di essere e carisma.
Grazie a queste sue specificità il divo viene dipinto come un “mito”,
ovvero un essere superiore, che si distingue dagli altri e porta verso
l’ammirazione, inducendo sentimenti di dipendenza e gratitudine nel
pubblico. Tra gli aspetti più rilevanti individuati all’interno del binomio
divo-pubblico si può notare, in maniera preponderante, la componente
amorosa. Questa viene avvertita dall’individuo come forma di possesso
mancato verso un oggetto di ammirazione che è appunto il divo; la sua
irraggiungibilità porta alla creazione di un amore idilliaco e perciò non
reale. Questo ci riporta pertanto ad una affermazione di Edgar Morin, di
come l’irraggiungibilità della persona idolatrata possa trasformarsi in una
sorta di religiosità blasfema, deduciamo quindi che il pubblico vede il divo
come una icona “divina” dotata di forze superiori (Morin, 1995). Per quanto
riguarda invece la seconda componente, il carisma, ho ritenuto opportuno
lasciare maggiore spazio a tale concetto per affrontarlo successivamente in
maniera più completa.
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1.1 Riflessioni sul problema etico-sociale
Non basta tuttavia descrivere questo fenomeno basandosi soltanto
sulle componenti sopra descritte. Ci troviamo, secondo Alberoni, di fronte
ad un paradosso che dimostra non solo caratteristiche positive spesso
associate agli idoli, bensì anche connotazioni negative date dal loro
comportamento. Nei personaggi dello spettacolo è spesso evidente un
disvalore sociale, e indifferenza per le regole morali a cui invece la società
è sottoposta. Le connotazioni negative più frequenti associate alla figura del
divo sono: disinteresse per la vita pubblica, scarsi messaggi da trasmettere,
spesso ignoranza o disinformazione. Allo stesso modo anche se appaiono
belli e famosi i divi si dimostrano arrivisti e avidi, capricciosi e con una vita
apparentemente perfetta ma ricca di scandali, pettegolezzi, mondanità e
disquilibri.
Come mai il grande pubblico, vincolato ad un codice deontologico
vigente nella società, adotta un atteggiamento di ammirazione verso
personaggi, quali i divi, che appunto per le valenze negative a loro associate
non dimostrano di rispettare le regole a cui è sottoposta l’intera collettività?
Come mai coloro che dovrebbero essere oggetto di disinteresse, disprezzo
ed oggetto di critica, sono invece adorati, ammirati e catturano la nostra
attenzione?
Secondo Alberoni, in primis potremmo rispondere a questa domanda
affermando che in caso di valori dispari (cioè opposizione tra valori positivi
espressi dalla società e valori negativi palesati dai divi) non è presente in
realtà l’interesse. Se questo si manifesta, vuol dire che i valori o disvalori
sono in realtà concordanti. Questi personaggi però non sono oggetto di
interesse per tutti indistintamente, alcune volte l’interesse può infatti venir
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meno proprio per l’agire amorale dei divi stessi. D’altra parte in caso di
valori discordanti può veicolarsi una forma di interesse verso questi
personaggi ma non per forza ci deve essere ammirazione. Resta comunque
il fatto che i sentimenti di ammirazione e adorazione verso il divo sono nel
complesso maggiormente legati ad una connotazione positiva.
Tra il divo e il suo fan, come verrà più volte sottolineato all’interno
di questa riflessione, si istaura quindi un rapporto di ammirazione ed
adulazione. A tal proposito Alberoni spiega il motivo di una maggiore
indulgenza per quei comportamenti morali, non sempre corretti, che le
stelle adottano all’interno della comunità o nella loro vita privata. Alla star
viene lasciato ampio margine di libertà e permissività anche se protagonista
di comportamenti negativi o non idonei alla morale sociale.
In sintesi, si evince appunto una discordanza fra i valori etici a cui la
società fa riferimento e i valori negativi incarnati dai divi, questo è definito
da Alberoni (1963) come un problema etico-sociale.
Pertanto ci siamo quindi chiesti come mai una società basata su
valori morali dia supporto a valori amorali spesso manifestati dalle star. Di
seguito cercheremo di dare risposta a questo fenomeno basandoci
essenzialmente su alcune teorie descritte all’interno dell’opera del
medesimo autore.
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2 Punti di partenza per uno studio sul
divismo
Molti sono stati gli studi fatti sul divismo, tuttavia analizzando la
storia e l’evoluzione del processo divistico si può notare il tentativo di
spiegazione di questa tematica a diversi livelli. Alcuni studi compiuti in
questo ambito hanno cercato di analizzare il fenomeno basandosi su due
approcci differenti: da un lato avvalendosi di supporti provenienti da teorie
psicologiche, dall’altro appoggiandosi a teorie sociologico-politiche.
Tuttavia questi modelli non risultano esaurienti, bisognerà perciò aspettare
Alberoni, supportato dall’opera di Morin, per avere una teoria sociologica
vera e propria.
2.1 Teoria psicologica
La prima teoria a cui facciamo riferimento, viene definita
“psicologica”, e la spiegazione più condivisa fra gli psicologi si basa sulla
seguente premessa: i divi non sono dei personaggi reali; anche se in realtà
esistono fisicamente come persone, ma sono dei personaggi immaginari.
Società e divi sono diversi ma allo stesso tempo imprescindibili uno
dall’altro, ovvero i divi sono una fantasia della società. Il soggetto divistico
viene spesso idealizzato perché rappresenta l’espressione dei desideri degli
esseri umani. È oggetto di proiezione ed identificazione in quanto molti
individui della società aspirano consapevolmente o inconsciamente ad una
modalità di vita similare a quella manifestata dal soggetto divistico. L’uomo
ricerca questa identificazione in quanto vede nel divo una maggiore libertà
morale ed etica e allo stesso tempo uno status sociale più elevato che denota
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ricchezza e successo. Nell’immaginario l’uomo aspira a tale ricchezza
materiale che in realtà non possiede o possiede in maniera inferiore. Il
motivo di tale aspirazione non va sottovalutato.
Questo fenomeno ha una duplice valenza; né esclusivamente
positiva, né esclusivamente negativa. Vi sono diversi approcci psicologici
che sostengono appunto che se insoddisfazioni e tensioni della vita reale
non trovassero sfogo in questa proiezione, tale fenomeno potrebbe portare
alla ricerca di altre vie d’uscita più dannose per la società e per l’individuo
stesso. Verosimilmente, se non esistessero delle cause che portassero i
soggetti a voler immedesimarsi in questi personaggi, il fenomeno divistico
scomparirebbe in un certo senso (Alberoni, 1963).
Questa teoria è concepita come psicologica, perché basata su dei
concetti soggettivi. Non avendo delle basi sociologiche solide questa
medesima spiegazione presenta dei punti critici. Una di queste debolezze è
il non poter chiarire limpidamente il motivo reale per cui alcuni personaggi
diventano divi e quindi fantasia della società.
Per quanto credibili possano risultare queste riflessioni, la fragilità
della teoria psicologica sta nel fatto che essa non chiarisce perché solo
alcuni personaggi sono oggetto di fantasia della società, mentre altri
ugualmente pubblici, non lo sono, diventando addirittura oggetto di critiche
e valutazioni spietate e razionali.
2.2 Teoria sociopolitica
Esistono diversi approcci di tipo sociopolitico che cercano di dare
risposta alla contraddizione manifestata dalla società e presente nel
fenomeno stesso. Questa contraddizione come precedentemente detto nasce
dalla discordanza fra i valori etici a cui la società fa riferimento e i valori
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negativi incarnati dai divi. Una fra le tante spiegazioni riporta all’attenuarsi
delle virtù domestico-contadine successivamente rimpiazzate dal
macchinismo industriale. In un continuum teorico che va da
un’interpretazione più semplicistica ad una spiegazione scientificamente
elaborata, questa interpretazione si colloca più verso un livello basilare.
All’altro estremo si pone una teoria scientificamente più elaborata, di
origine marxista, a cui lo stesso Alberoni fa riferimento. Quest’ultima
espone come il sistema socioeconomico capitalista, pur assicurando
l’uguaglianza giuridica dei cittadini, in realtà abbia al suo interno una
contraddizione, data dalla divisione tra chi sfrutta e chi viene sfruttato; di
fatto questo sistema cerca di impedire agli sfruttati di rendersi conto della
loro reale situazione sociale.
In questo contesto, allontanando gli uomini dalla coscienza della loro
natura sociale e sottraendo le sorgenti dei loro naturali interessi e desideri si
vanno a generare negli individui stessi aspirazioni, affetti e speranze irreali.
I divi come prodotti del sistema culturale hanno per l’appunto il compito di
mistificare la realtà, estraniando l’uomo da se stesso. L’obiettivo primario è
quello di distogliere l’uomo dal riconoscimento della sua reale condizione
di inferiorità dirottandolo su disvalori. Anche se il ruolo giocato dagli
sfruttatori, consapevolmente o inconsapevolmente, non incide e non
modifica la realtà sociale.
Tuttavia di quanto esposto non c’è modo di dimostrarne la veridicità
o falsità. In sintesi questa teoria fa comprendere che l’azione di una classe
sfruttatrice porta inevitabilmente all’indebolimento della classe sociale
sfruttata, in questo caso tutta quella grande fetta di popolazione che tende a
idolatrare il divo come modello da seguire. In altre parole, l’interesse e la
partecipazione immaginaria alla vita dei divi possono indebolire