3
Introduzione
L’età contemporanea presenta un contrasto radicale tra evoluzione tecnologica,
spinta verso il limite con l’impossibile e la consapevolezza di una distruttività umana,
causa delle tragedie che provoca. Infatti, tecnologia e scoperte ardite hanno condotto
l’uomo a sfiorare quella condizione suprema che è la prerogativa di un Dio, o di un
essere divino.
Ma il benessere prodotto si è dimostrato da tempo direttamente proporzionale
all’annichilimento morale di un’umanità che si è dimenticata delle tragiche esperienze
del ventesimo secolo, che hanno dispiegato tutta la distruttività dell’uomo. La grande
Guerra, i campi di Auschwitz, l’Olocausto degli ebrei, fino all’Olocausto nucleare
abbattutosi sul Giappone sono stati accadimenti indecenti causati dall’uomo; eppure
pare che l’arretratezza morale dell’uomo di oggi, narcisista, insoddisfatto e bramoso del
godimento delle rappresentazioni, sia un impedimento a ravvedersi e a risollevarsi da
uno stadio di infantilità morale che si coniuga ad uno stato di occorrenze da soddisfare
che, nella scala dei bisogni, occupano il livello inferiore di autoconservazione e di
protezione.
Così la distruzione in corso del pianeta, l’uso sconsiderato della tecnica, e l’abissale
disuguaglianza tra due poli costituiti da una classe di ricchi, famosi e potenti e un’altra
di poveri, miserabili, e sfortunati non sono problematiche che sensibilizzano
particolarmente l’umanità. Anzi, si dimostra veritiera la frase riportata in un recente
articolo, del presidente in carica della Banca Mondiale James Wolfensohn, secondo il
quale «Quando la metà del mondo guarda in tv l’altra metà che muore di fame, la civiltà
è giunta alla fine»
1
.
Pertanto la questione insoluta della teodicea e la «morte di Dio», che caratterizza
l’era contemporanea annunciata dall’uomo folle nietzschiano, aprono le porte ad un
ospite inquietante definito «Nichilismo».
Ma il nichilismo può essere solo interpretato perchØ cambia forma e colore,
sfuggendo a una precisa definizione, come un serpente si trasforma, mimetizzandosi nel
contesto circostante per non farsi vedere.
1
Gallino Luciano, Così l’Occidente produce la fame nel mondo, “La Repubblica”, n.33, 10/05/2008.
4
Così lo scenario planetario di un’apocalisse che appare all’orizzonte, proclamando la
distruzione del pianeta e l’estinzione della specie umana è un problema che va
affrontato con radicalità ed introspezione, cercando di scoprire dei varchi o delle
fenditure all’interno delle quali si possano trovare nuove contraddizioni da evidenziare.
Ma le contraddizioni, per definizione, comportano spesso trasposizioni disciplinari,
inversioni di prospettiva e «noccioli» sommersi duri da frantumare. In particolare, se
tali noccioli sono ricoperti, sia di gusci mistici religiosi che depotenziano le forze, sia di
«bucce linguistiche»
2
che scambiano tra loro sensi e termini con facilità, operando
spostamenti di valore tra realtà e rappresentazione, allora tutto si confonde in un
miscuglio di passaggi interdisciplinari che riguardano ambiti differenti e che oscurano la
visione di una possibile verità.
Perciò è stato necessario, per quanto mi è stato possibile, adottare diversi strumenti
della filosofia che mi hanno consentito di sconfinare in ambiti disciplinari che, a volte, i
filosofi schierano nella rigida partizione che separa analitici e continentali.
Ma la ricerca stessa, in questo lavoro, ha comportato la necessità di imprimere un
movimento in divenire, senza il quale non sarebbe stato possibile rintracciare luoghi
interstiziali e prospettive differenti, quali principali precursori di nuove conoscenze. E
del resto l’uomo stesso è un animale razionale che non può acquisire conoscenze piø
certe, senza essere disposto a cambiare, a farsi modificare nell’esistenza, perchØ senza
“disponibilità” non è possibile aspirare a conoscere l’essenza dell’essere in divenire e
cioè quell’essere che procede verso ciò che «non è ancora».
Ora, l’esito tragico di un’involuzione culturale, sociale, economica e politica alla
quale stiamo assistendo, frutto di un annichilimento morale degli uomini, è in balìa di
un fenomeno complesso esteso nella realtà e organizzato da un’interconnessione di
“centri di potere” differenti che collaborano per lo stesso motivo: sottrarre autonomia
per produrre maggiore ricchezza.
Così Bloch, Jonas, e Nietzsche forniscono il tracciato di una discussione che intende
mostrare come il fenomeno del nichilismo si sia trasformato nella realtà attuale e, in
particolare, nell’ambito sociale, economico e politico, in una modalità che si è
appropriata delle speculazioni di tali pensatori, travisandone il senso del loro valore e
2
Bloch Ernst, Experimentum Mundi. Frage, Kategorien des Herausbrigens, praxis, 1975; trad. it. a cura di Cunico
Gerardo, Experimentum Mundi. La domanda centrale, la categoria del portar fuori, la prassi, Queriniana, Brescia
1980.
5
operando quella trasvalutazione dei valori che per Nietzsche costituiva il rimedio piø
efficace a contrastare l’immoralismo. Ciò che intendo dire è che tale appropriazione
subdola consiste nel reinterpretare i valori e innestarli in posizioni differenti nel
processo di un sistema capitalistico che riunisce, in un patto di scopi convergenti, sia la
tecnica, sia l’economica, sia la politica. Ma l’intento è stato quello di penetrare tale
commistione di discipline, avvolte da un «guscio mistico religioso», per rintracciare il
«nocciolo economico» di una contraddizione che, mantenuta aperta, permette di
manipolare i voleri degli uomini e di condizionare le loro scelte, mantenendoli ad uno
stadio di irresponsabilità infantile.
La riscoperta di un nuovo umanesimo è un punto in comune ai tre autori scelti, oltre
al fatto di essere stati dei pensatori dell’età contemporanea che si sono opposti con
radicalità al nichilismo, cercando di trovare un principio efficace ed universale, quale
antidoto alle incursioni del nulla nella vita degli uomini e del mondo in generale.
Il principio speranza di Bloch ha innescato un forte sentimento utopico del futuro,
all’indomani delle grandi esperienze tragiche nazifascista e sovietica che hanno
caratterizzato il panorama del secolo Novecento. La costruzione di un mondo superiore
nell’«azzurro» è sempre stata l’utopia di un essere la cui verità per il filosofo sta
all’inizio. Tale verità spinge l’uomo verso un incontro con il sØ per disvelare, attraverso
l’impulso di un Cristo messianico, il volto di un autentico uomo risollevato dalla
pressante angoscia di un esistenzialismo che lo gettava nel mondo senza speranza.
Una riformulazione del marxismo consente a Bloch di individuare nel comunismo la
morale che da tempo gli uomini cercavano per realizzarsi e possedersi nell’esistenza,
mediante un lavoro che sarà trasformato in gioco.
Jonas, dal canto suo, si propone di fondare il principio responsabilità su una tematica
ontologica dell’essere che include in sØ il bene. Pertanto affermare l’essere costituisce
un preciso istinto alla vita e alla conservazione della specie umana. Una specie
minacciata dalla possibilità, che aspira a diventare oggettiva, che le risorse sulla Terra
finiscano e che la Terra stessa si ribelli prima o poi alla violenza di un uso insensato
della tecnica. Infatti la tecnica che usa l’uomo è come un parassita che crea e distrugge
la natura, perchØ cerca di ottenere il massimo suprlus, causando danni a medio lungo
termine.
6
Pertanto l’imperativo umanistico di Jonas è diretto, in particolare, ad un uomo che si
apra al «dover essere» e si risollevi con responsabilità dall’assoggettamento della
tecnica che lo induce a dominare e a distruggere la natura.
Per Jonas, la paura è una strategia che la politica dovrebbe attuare come euristica per
sensibilizzare le masse alla fine imminente e perchØ l’uomo politico è una figura che
incarna la responsabilità universale intesa dal filosofo.
Nietzsche, pensatore variamente interpretato per la sua scrittura aforistica seducente,
sorprendentemente e apparentemente chiara, è stato colui che ha oltrepassato la
metafisica, al contrario degli altri due pensatori che hanno tentato di integrarla alla loro
riflessione. Nietzsche ha criticato radicalmente tutto ciò che si poneva illusoriamente al
di sopra del vero mondo, quello terreno, che egli ha voluto considerare la reale casa del
«superuomo», articolandone una dottrina come possibilità di esistenza di una nuova
specie di uomo superiore, dopo la «morte di Dio».
Ma l’uomo è un inguaribile «malato d’infinito» che aspira all’eternità per vincere la
morte e anche Dio e soprattutto aspira a dominare il destino del mondo, determinandone
il futuro per i suoi scopi principalmente economici.
Infatti la ricerca di questo lavoro è stata quella di mostrare come i principi di Bloch,
Jonas e la filosofia di Nietzsche abbiano subìto una rotazione prospettica del loro senso
originario per servire gli scopi capitalistici. Tale rotazione ha causato intrecci
disciplinari che producono situazioni condizionanti di salvezza e di pericolo, per
giustificare misure di protezione e di sicurezza continue, in forza di stati di emergenza
perenni che hanno il solo scopo di creare dipendenza e di raccogliere nuovi mezzi da
impiegare. Tali situazioni non promuovono nØ trasformazione, nØ autonomia, ma la
mancanza di questi fattori è compensata dalla trasposizione di un apparato di falsi ideali
di rappresentazione, rintracciabili nei fenomeni mediatici e in altri fenomeni di gioco e
di rischio che ho voluto approfondire.
Il consumismo, il consumismo etico, l’unione impropria tra fenomeni casuali e
fenomeni causati dall’uomo sotto il segno del rischio, e i fenomeni dell’azzardo
rappresentano gli strumenti piø popolari e individuali per governare un “centro” che ho
identificato come una massa cospicua di uomini nell’Occidente, livellati ad un medio
benessere reale. Ma l’aspirazione di tale massa è quella di realizzare un benessere
idealmente elevato sul modello di una fascia di uomini possidenti e famosi che
7
ostentano una ricchezza abissalmente distante da un ceto perennemente miserabile e
povero, posizionato alla periferia del centro.
Così, una mancanza strutturale dell’essere, rintracciata in particolare nel “centro”
delineato, comporta una sconcertante dipendenza, un bisogno sempre inappagato di beni
di consumo; una sensibilità debole che subisce gli stimoli di una produzione organizzata
di rischi collettivi per giustificare politiche economiche che hanno lo scopo di produrre
ricchezza e potere; un desiderio di realizzare una fortuna economica, attraverso varie
forme di gioco d’azzardo che assoggettano alla dipendenza, alla mancanza di autonomia
e a una delusione frustrante continua.
Ma esiste un nocciolo piø complesso individuato nella massa periferica dei paesi
sottosviluppati che rappresenta il nucleo di un ulteriore fonte di ricchezza duratura. Si
tratta di un non-luogo verso il quale sono state delocalizzate la povertà, la sofferenza, le
malattie, la morte come condizioni di vita perenni e appositamente irrimediabili che
permettono al cosiddetto “centro” di compiacersi del fatto di non trovarsi in quelle
condizioni.
La mia tesi di laurea triennale sulla filosofia della speranza di Ernst Bloch si
concludeva con una frase letta nel testo di Nietzsche Così parlò Zarathustra e che
recitava: «Non gettar via l’eroe che è dentro di te! Tieni sempre per sacra la tua piø alta
speranza!».
Eppure l’avvento di un «superuomo» che piantasse il nocciolo della sua piø alta
speranza si è tradotto nell’esistenza di un “superuomo” che azzarda con le vite degli
uomini, e non si cura del mondo ma, al contrario, aspira all’infinito. Così la speranza è
rivolta al desiderio di un benessere materiale piø elevato; il dovere morale è diventato
un piacere, attraverso il consumo etico; la responsabilità costituisce un alibi in piø alla
politica e all’economia per giustificare l’apparato di salvezza e di protezione che
garantisce da rischi prodotti appositamente dal sistema.
Ma per affrontare il nichilismo occorre che le potenze mondiali si accordino su un
tenore di vita piø basso che permetta all’uomo di gestire il suo volere a un livello di
scelta tra ciò che si può volere e ciò che si può anche non volere, decidendo con
autonomia e responsabilità. Tuttavia la possibilità di non volere è un’arma pratica e
spirituale immediata che contrasta l’annichilimento morale, perchØ consente di sottrarsi
a condizionamenti forzati di consumi appariscenti, trasmettendo un segnale di azione
8
che non solo afferma l’essere ma che può diventare la competizione piø accanita di
tutte, e anche la piø divertente.
La possibilità di non volere imprime la traccia di un movimento tra l’essere, che si
rivela nell’azione comunicando silenziosamente che è possibile non volere con un po’
di ragione e un po’ di speranza, e l’eternità perchØ la consapevolezza della possibilità di
non volere rende l’uomo autonomo e responsabile, gradualmente, permettendogli di
estrinsecare una dignità intrinseca, che lo eleva verso l’«azzurro» di un cielo stellato.
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1 ERNST BLOCH
1.1 Materia come utopia concreta
Il 1900, il secolo dell’energia atomica, della conquista del cosmo, delle scoperte piø
ardite, è un secolo tormentato, inquieto, schiavo di un dinamismo senza freno dovuto
all’evoluzione della tecnologia in tutti i campi, ma soprattutto è un secolo senza pace.
Esso porta l’impronta insanguinata di due grandi guerre (1915-18/1940-45) che
hanno stroncato la vita di milioni di persone e travolto quella di coloro che sono
sopravvissuti, marchiando l’esistenza dell’umanità quale erede di un campo di macerie
prodotte dalle dittature nazifascista prima e sovietica poi.
Nel secolo ventesimo l’uomo ha conosciuto la devastazione, l’ansia delle notti
vissute nei rifugi, la paura della morte imminente, la tragica sofferenza per la perdita dei
propri cari e ha subìto e sperimentato la forza della natura distruttiva dell’essere umano.
Ernst Bloch propone una riflessione singolare, determinato a scongiurare la deriva
del nichilismo filosofico e a riportare nei cuori delusi e straziati degli uomini una nuova
alba di speranza che inneschi la forza di ritrovare dignitosamente la strada che conduce
verso un nuovo futuro e un nuovo essere non ancora espresso.
Egli enfatizza la dimensione categoriale del futuro perchØ il suo primato consentirà
all’umanità di ritrovare un orizzonte di senso e dall’altro propone un’ontologia del non
essere ancora e del non ancora divenuto che possa scuotere l’essere ad esprimere le
proprie potenzialità di essere per la vita e, al contempo, favorire l’avvento di una nuova
era sociale, economica, politica ma soprattutto morale.
Il progetto blochiano inizia verso la fine della grande Guerra con la sua prima opera
Spirito dell’utopia che nasce dalla grande speranza politica, sociale e spirituale suscitata
dalla Rivoluzione d’Ottobre e contemporanea al grande movimento artistico
dell’Espressionismo, corrente che pervade tutto il testo manifestando il suo ruolo
rivoluzionario e sovversivo che fa scorgere il carattere dell’anticipazione.
Ma il pensiero della speranza in Bloch matura in realtà piø avanti, negli anni trenta,
con l’incombere dello spettro del nazismo, concretizzandosi poi nella sua opera
monumentale Il principio speranza.
In tale opera egli mostra un pensiero enigmatico, articolando un particolare
linguaggio in forma di metafore, fiabe, aforismi e altre tipologie di comunicazione a
volte tanto affascinanti quanto poco chiare, eccetto per l’impronta incisiva e coraggiosa
10
di speranza che pervade tutta l’opera e che pulsa di un’effervescenza utopica presente
nell’intera sua riflessione.
Bloch sogna ad occhi aperti una nuova patria in un’età dell’oro, in cui scorrono latte
e miele e in cui non ci saranno piø guerre, nØ una vita ed un lavoro alienanti, ma ogni
uomo potrà realizzare il proprio essere estrinsecando le proprie attitudini e capacità
personali.
L’autore pare richiamare, a mio avviso, la possibilità di vivere in un’era affine all’età
di Pericle che regnò per cinquant’anni, segnando un periodo di pace ma soprattutto
guidato da ideali di giustizia sociale e capacità di penetrare le anime dei concittadini per
trarne le piø alte realizzazioni.
Ma Bloch, sulla scia di Karl Marx, confida soprattutto in una riformulazione del
marxismo per giungere alla creazione di una società morale con il comunismo, che
rappresenta per lui la risposta alle problematiche economiche, politiche e sociali che
travagliano il secolo in corso, e soprattutto rappresenta l’incarnazione culturale
dell’anticipazione: quella stessa anticipazione che l’autore aveva colto nella corrente
dell’Espressionismo citata nel suo primo testo.
Infatti per Bloch l’anticipazione costituisce la struttura della coscienza utopica e cioè
quella coscienza di ciò che ancora non si è concretizzato, ma che tende “verso” con
speranza indomita e la cui intenzionalità si protende verso la realizzazione pratica dei
sogni ad occhi aperti dell’uomo.
Il suo dialogo critico è rivolto in particolare contro il nichilismo e l’angoscia
dell’essere per la morte che, da un lato attraverso l’analitica esistenziale di Heidegger, e
dall’altro con la concezione psicoanalitica freudiana tra coscienza ed inconscio, hanno
caratterizzato il panorama del secolo ventesimo.
L’impeto da cui è pervaso Bloch è quello di imparare a sperare e già all’inizio della
premessa della sua opera enciclopedica egli scrive
3
: «Lo sperare, superiore all’aver
paura, non è nØ passivo come questo sentimento nØ, anzi meno che mai, bloccato nel
nulla. L’affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si
sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa
all’esterno può essere loro alleato».
3
Bloch Ernst, Das Prinzip Hoffnung, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1959; trad.it. a cura di De Angelis Enrico
e Cavallo Tommaso, Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994, p. 5.
11
Il tema della tendenza e della latenza riguarda il fermento della materia gravida di
possibilità e aperta al futuro: tendenza verso la meta, ma latenza di un obiettivo non
ancora raggiunto e minacciato dal fallimento. Bloch elabora cioè un’ontologia della
materia, a fondamento della speranza, prendendo spunto dalla nota definizione
aristotelica, sia nel rispetto della tradizione, sia perchØ tale impostazione gli consente di
connettere la materia alla possibilità reale: katà tò dynatòn, essere secondo la
possibilità, e tò dynàmei òn, essere nella possibilità.
Ma in Aristotele la materia originaria è ancora indeterminata, informe e cioè tò
dynàmei òn e si presenta come una possibilità puramente passiva che lascia il potere
attuante alla forma. Invece Bloch si rifà alla concezione di quella tradizione di pensiero,
che egli denomina “sinistra aristotelica”, che va da Stratone di Lampsaco e Alessandro
di Afrodisia fino ad Avicenna, Averroè e Giordano Bruno, che mette a fuoco il carattere
di potenza attiva, grazie alla quale la materia è pensata come grembo della fecondità, da
cui scaturiscono tutte le figure del mondo.
La prima figura che appare per Bloch è certamente il marxismo, quale utopia
concreta in quanto concentra in sØ, secondo il linguaggio figurato blochiano, la corrente
fredda della critica e della strategia e la corrente calda dell’attesa anticipatoria: una
mescolanza di correnti le quali, rispettivamente, denotano una visione quantitativa della
materia da un lato e qualitativa dall’altra.
In base a questa dialettica, il marxismo si può definire come la scienza storico
dialettica di una tendenza che per Bloch si presenta come qualcosa di storicamente
attuabile che condurrà a quella sperata trasformazione del mondo in patria, come
umanizzazione della natura e naturalizzazione dell’uomo. Una trasformazione, tuttavia,
non data una volta per tutte, ma in continua lavorazione e sperimentazione. Infatti, per
l’autore ogni società, per essere nuova, deve sperimentare e andare avanti in un clima di
libertà, e non essere una società in cui la paura o il terrore indirizzano forzatamente
verso determinate scelte. Per Bloch la storia dell’essere si svolge in un laboratorio di
possibilità, ma non finisce mai di essere costruita, in quanto resta sempre mancante di
qualcosa verso cui tendere.
La mancanza, in realtà, è la condizione necessaria della speranza, senza la quale
sperare non avrebbe alcun senso e in Bloch pare che tale mancanza non debba mai
esaurirsi, ma essere un carattere peculiare dell’organismo umano. Quando ad esempio
12
afferma che la fame è il primo impulso fondamentale in ogni uomo, egli intende
sostenere in generale che sia proprio l’insoddisfazione dei bisogni primari a generare
una mancanza fertile che potenzialmente fa tendere al riscatto l’uomo che soffre, il
lavoratore alienato o qualsivoglia altro individuo assoggettato ad ogni genere di dolore e
determinato a risollevarsi dalla condizione di un’esistenza non piø conducibile in quel
modo.
SicchØ quando Bloch ribadisce un monito che Marx cita con frequenza, e cioè che il
mondo possiede da lungo tempo il sogno di una cosa, di cui deve avere soltanto
coscienza per possederla realmente, egli verosimilmente intende che il sogno di una
cosa debba restare una costante nell’uomo, necessaria non solo a spingerlo in avanti nel
futuro, ma anche ad illuminare simbolicamente il presente, affinchØ l’uomo possa
addentrarsi piø facilmente nell’attimo oscuro: un attimo di cui ogni uomo non fa mai
esperienza nell’immediato, ma che nasconde in sØ l’enigma del mondo.
1.2 Fenomenologia dell’attimo oscuro
L’attimo oscuro, per Bloch, è la condizione dell’uomo mancante che è ma non si
possiede e che permette l’attivazione di quel circolo di mancanza-speranza-mancanza
che illumina la sua esperienza vitale, facendogli intravedere l’attimo precedente appena
vissuto attraverso il ricordo, o esperendo vitalmente l’attimo che dovrà darsi sperando,
ma lasciandolo sempre nell’eterna mancanza di percepire e vivere la presenzialità
dell’attimo presente.
Questo è un punto fondamentale che fa emergere certamente un’ambivalenza in
Bloch, determinata dal fatto che la possibilità, obiettivo reale, può per ogni uomo
volgersi al meglio e cioè concretizzarsi al culmine delle sue aspettative, oppure
declinare al peggio, durante il corso della sua realizzazione, e cioè fargli incontrare la
sciagura, la sfortuna, causandogli dolore, struggimento ma soprattutto delusione. A
questo punto, però, la speranza diventa necessaria per il superamento della delusione
perchØ è la sua stessa struttura ad esigere la presenza di difficoltà e sofferenze
imprevedibili che possano istituire l’assenza, il «non», la mancanza, e dare luogo così al
movimento circolare peculiare della speranza. Dunque, non si può non ammettere che la
speranza abbia in sØ uno sfondo tragico, dovuto anche alla centralità dell’attimo vissuto
13
presente quale categoria mistico-esistentiva e romantico-rivoluzionaria che istituisce di
per sØ quello specifico scenario.
Così il proponimento blochiano di raggiungere, con l’aiuto della speranza, la patria
dell’identità da parte dell’umanità in generale, ovvero un mondo di uomini emancipati e
determinati a creare un novum ricco di un poter essere, fare e divenire altrimenti, non
può realizzarsi senza l’accettazione del possibile rischio di grandi delusioni causate
anche dal destino, dal fato, dal caso in maniera imprevedibilmente asimmetrica e
casuale e non solo determinate dalla volontà dell’uomo.
Ora la volontà che si manifesta in ogni uomo significa di per sØ desiderare, provare
una brama che induce uno stato di tensione nel quale assenza e dolore si rincorrono a
vicenda e realizzano uno sguardo pessimistico e quasi apocalittico sulle brutture della
vita, e che certamente incarna l’ispirazione piø originaria e genuina della concezione
utopica blochiana. Infatti Bloch dichiara che esiste un genere di pessimismo militante,
diretto verso la possibilità e la speranza e riconducibile anche al caso, al fato, come a
qualcosa di non ancora determinato ma aperto all’accadimento di ciò che sarà e cioè di
ciò che potrebbe anche non essere necessariamente negativo
4
. In questo senso dunque il
filosofo si distanzia da un pessimismo cavernoso, intenso passivamente, secondo una
filosofia di tipo espressamente schopenhaueriano dalla quale si dichiara
5
lontano,
inquadrandola come un atteggiamento abietto e puramente contemplativo.
Resta il fatto, però, che affermare un pessimismo, pur militante, appare, di primo
acchito, paradossale se pensiamo che, in diversi testi critici, Bloch è definito come un
ottimista nei confronti della vita che attribuisce al «sogno ad occhi aperti» un carattere
fideistico che ne garantisce la realizzazione. La sua forza si basa sulla potenzialità della
categoria della possibilità che può ambire a spingersi al limite dell’impossibile e
pertanto in netto contrasto con facili pessimisti contemplativi che in tutta tranquillità si
pregiano di ritenere che nel mondo esistano solo miserie e ne sono piacevolmente
sorpresi.
Così, secondo alcuni, egli non può affatto essere considerato un pessimista, perchØ,
se lo fosse, negherebbe a priori il sentimento della speranza, definendola come una falsa
illusione che attrae uomini falliti animati solo da una fervida rassegnazione. Ma occorre
4
Bloch Ernst, Tagtraume vom aufrechten Gang. Sechs Interviews mit Ernst Bloch, Suhrkamp Verlag, 1977; trad.it a
cura di Marzocchi Virginio, Marxismo e utopia, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 117-120.
5
Ivi, pp. 117-120.
14
considerare che il vero ottimista è ispirato e sorretto dalla fede e dalla certezza di
conseguire con la ragione il suo risultato, mentre per Bloch non c’è nulla di certo che
possa essere ricondotto alla speranza, altrimenti cesserebbe di per sØ la spinta in avanti,
quale stimolo nascente nell’uomo stesso che spera e che, se si trovasse nella sicurezza di
sØ, si adagerebbe a pregustare la sua vittoria imminente. Invece l’intento blochiano è
quello di mantenere aperta la dialettica tra ragione e speranza, e i fatti storici, perchØ «la
ragione non può fiorire senza speranza, la speranza non può parlare senza la ragione»
6
.
In tal senso, Bloch si differenzia da Marx che, hegelianamente, stabilisce un processo
finalistico nella storia che era già da sempre progettato, e cioè la società comunista.
Inoltre al filosofo manca anche l’ottimismo illuministico kantiano che vede nella
ragione, comune a tutti, il fine supremo della storia: ciò perchØ Bloch non si dimentica
mai della possibilità che la speranza possa essere delusa.
Pertanto il pessimismo militante blochiano non solo non garantisce nulla di certo, ma
comporta altresì dei rischi concreti e per nulla illusori che richiedono una luce di
speranza che innervi un minimo di coraggio per affrontarli.
Tale pessimismo, affine alla malinconia di chi non si sente mai compiuto in quanto
sempre in bilico sul bordo della possibilità, implica un rischio da correre assolutamente
non garantito, che tuttavia accende una scintilla in ogni uomo, facendolo propendere
verso l’avanti.
Si tratta di un rischio e non di un pericolo, in quanto quest’ultimo si subisce come
qualcosa che accade involontariamente; al contrario, il rischio è qualcosa che si
fronteggia con la volontà, consci anche delle probabili conseguenze negative che
necessariamente saranno da accettare, malgrado tutto.
Ma l’incertezza e il rischio, per Bloch, sono categorie fondamentali nella vita
dell’uomo che costruisce il proprio sØ o meglio che tenta di renderlo visibile svelando la
sua invisibilità per sanare quella differenza ontica tra essenza ed esistenza, o meglio tra
ciò che è e ciò che non è ancora, o tra realtà attuale e realtà futura, presupposta in modo
specifico dal movimento della speranza.
La rappresentazione piø chiara di tale differenza, che aspira alla sintesi, si ha secondo
Marx nel lavoro, mediante il quale l’uomo produce l’autentico soggetto che costruisce
la storia. Per Marx, lavoro ed essere sono la medesima cosa perchØ soltanto l’essere che
6
Bloch Ernst, Il principio speranza, cit. p. 1578.
15
lavora, attraverso il lavoro, può essere ciò che è. In altri termini, la supposta unità che
intende Marx, in un ipotetico mondo possibile, è data dal fatto che l’essere non
consideri il lavoro come un mezzo per vivere, ma lo consideri un fine in sØ stesso e
dunque non svolga una certa attività per raggiungere lo scopo di avere un corrispettivo
ben retribuito, una buona posizione e reputazione sociale, per potersi nutrire, per vestire
abiti decenti e diventare quindi un consumatore che può possedere una gran quantità di
beni materiali.
D’altro canto, egli intende che anche l’essere non sia considerato nel suo lavoro un
semplice mezzo per raggiungere lo scopo del profitto dell’imprenditore o per far
funzionare il sistema di una macchina tecnologica che necessita di un essere vivente per
dirigerla, ma sia reputato un fine necessario in sØ stesso per la produzione e non
necessario per altro: insomma, sia valorizzato come un bene non quantificabile.
Così per Marx il lavoro in questa modalità permette il generarsi di quell’unità che
riconcilia essenza ed esistenza, facendo aspirare al vero «regno della libertà»; ciò perchØ
la vita psicofisica di ogni uomo diventa una pienezza in sØ del vivere in cui non v’è
alienazione, secondo la quale l’essere è considerato un mezzo per lo scopo, nØ sussiste
un lavoro che sia solo un mezzo per vivere, ma gli uomini vivono continuamente
l’attimo che li fa sperare di possedersi nell’attimo successivo.
Ecco perchØ la supposta coincidenza di essere ed esistenza è l’essere come utopia che
viene attirato da un telos, come un magnete che dirige la sua inquietudine verso
l’oggetto piø alto che lo può appagare compiutamente, senza appagarlo mai.
In tutto questo processo, che l’autore definisce una scienza attiva della tendenza
7
,
nasce lo stupore assoluto e si fa esperienza dell’attimo mistico esistentivo mediante una
dialettica di ascesa e caduta originata dalla sincronia dei due elementi, lo stupore e
l’attimo appunto, che stabilisce un contatto con il senso dell’eterno.
Da un lato, l’attimo fa trapelare un’oscurità angosciante, che emerge per via
dell’esperienza di uno stupore negativo stimolato dall’incursione dell’annientamento
conclusivo; dall’altro, invece, irrompe l’esperienza dello stupore positivo che illumina
l’oscurità dell’attimo facendo balenare un’immagine di felicità, quale quiete anticipata
dell’uomo che vede realizzarsi quell’unità appagante di essere e possedersi in forza del
nascere di una flebile speranza anticipante che si declina nella forma logica di “S non è
7
Ivi, p. 350.
16
ancora P”. In tale formula si esprime il concetto aristotelico di potenza, in quanto il
soggetto include potenzialmente il suo predicato, ma quello stesso soggetto non è
ancora sØ stesso perchØ non ha ancora dispiegato il predicato nella sua forma futura.
Tale formula può anche essere spiegata rifacendosi a Kant: per Kant i giudizi analitici a
priori, e cioè i giudizi che dicono l’identità, sono quelli in cui il concetto del predicato è
contenuto in tutto o in parte nel soggetto.
Da ciò consegue che l’uomo autentico, per Bloch, deve ancora venire e realizzare la
promessa di quell’ideale futuro, quale può essere l’ideale baconiano che aspira al
dominio della natura, o la trasformazione sociale marxista in una società senza classi, o
ancora l’avvento di una nuova specie umana. Tutti questi predicati ideali si presentano
in lontananza, orientando l’agire reale dell’uomo verso la loro attuazione futura.
Così l’estensione e la profondità dell’oscurità radicale dell’attimo vissuto di tali
ideali è allo stesso tempo il futuro che, come asserisce Bloch, è contenuto nel «grembo
dei tempi»
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, chiamato a dischiudere a sua volta ciò che è contenuto nell’attimo presente.
Un attimo, dunque, nel quale si coglie l’eternità e che l’autore esorta ad afferrare come
attimo fuggente nel senso faustiano romantico-esistenziale: «Fermati, sei così bello!».
In realtà si tratta di intendere bene che l’eterno, nella riflessione blochiana, si coglie
alla fine e non al principio, se non addirittura come telos; e cioè l’eterno è bensì primum
ma viene colto come ultimum, ovvero come orizzonte teleologico.
Ciò vuol dire che il futuro ha un primato, ma non nel senso superficiale che vorrebbe
eliminare tutto ciò che è stato e che è proiettandosi con slancio vitale verso un’unica
dimensione temporale esistenziale. Il passato come essere stato esiste ancora, non certo
come “fatto compiuto”, ma in quanto non ancora del tutto divenuto ed esaurito, sicchØ il
futuro compare nel passato stesso. D’altro canto il futuro, come ciò che non-è-ancora,
non può darsi senza aver mediato l’eredità del passato e aver compreso che il suo
primato può realizzarsi solo nel prezioso presente, fondativo dell’esistenza in sØ.
Ma il prezioso presente, come spiega in modo eloquente Cunico
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, «non è solo
attualità bensì la spaccatura dell’esistere in cui si rivela la povertà del già ed il primato
del non-ancora, poichØ il vero presente deve ancora venire a compiere e illuminare
l’oscuro originario».
8
Ivi, p. 351.
9
Cunico Gerardo, Essere come utopia, Le Monnier, Firenze 1976, p. 155.