CAPITOLO I
Il “fantasma” storiografico di Pietro Cavallini
1,1. L’atto di compravendita del 1273 e i documenti napoletani del 1308
Il primo documento collegato dagli studiosi al pittore Pietro Cavallini è un
atto di compravendita del 2 ottobre 1273, ora nell‟archivio di Santa Maria
Maggiore, in cui figura come testimone garante un “Petrus dictus Caballinus
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de Cerronibus”, insieme a “Bartholomaeus Iohannis Cerronis”,
probabilmente membro della stessa famiglia. Dal documento si deduce che
Pietro, nato non oltre la metà del XIII secolo (per testimoniare bisognava
avere l‟età legale), apparteneva alla famiglia romana dei Cerroni, che aveva
le sue case nel rione Monti, e che Cavallino era un soprannome. Si tratta di
una menzione piuttosto generica dove non compare alcun riferimento alla sua
attività di artista per l‟assenza di appellativi quali “pictor” o “magister”.
L„identificazione della persona ricordata nel documento appena citato con il
pittore non appare sicura nemmeno dinanzi ad un‟altra testimonianza, da
porre solo tra il 1330 e il 1360, tramandataci in una nota marginale alla c. 81
r del manoscritto Vat. Lat. 1927 della Biblioteca Apostolica Vaticana, dove si
legge: “Huic commemoro Petrum de Cerronibus qui centum annorum
numero vitam egit; qui nullo umquam frigore caput vestimento cooperuit, qui
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fuit et pater meus idest mei Iohannis Cavallini domini pape scriptoris”. Si
tratta di un brano certamente non rilevante ai fini della nostra ricerca, nel
quale Giovanni Cavallini “scriptor papae” ricorda come il padre visse cento
anni e fu di notevole fisico e non portava mai un copricapo qualunque fosse
1
Il documento è stato pubblicato da G. FERRI, 1907, pp. 127-128. Il passo riferito è successivo al
protocollo di rito e alla descrizione dei terreni oggetto della compravendita.
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Il documento è stato pubblicato da R. SABBADINI, 1914, p. 47; cfr. A. TOMEI, 2000, p. 12.
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la temperatura. Anche in questo caso nulla consente di identificare nel
personaggio citato la figura del pittore Pietro Cavallini.
Due atti della cancelleria reale di Napoli risalenti al 1308 hanno costituito,
fino agli ultimi decenni del Novecento, l‟unica documentazione di sicuro
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riferimento a Pietro Cavallini. Nel primo, datato 10 giugno 1308, si legge:
“Karolus, Tenore presentium notum facimus universis quod ad requisitionem
nostram Magister Petrus Cavallinus de Roma pictor ad partes istas accessit
nobis de dicto suo ministero serviturus, convento ei per nostram curiam quod
pro gagiis et expensis suis uncie auri triginta quolibet anno, […] quodque
ultra id eodem temporem conducetur pro eo per curiam ipsam in civitate
Neapolis sub pensione unciarum duarum per curiam exolvenda et
assignabitur eo domus una, in qua ipse cum sua famiglia possit abiliter
commorari. Datum Neapoli in camera nostra anno domini MCCCVIII, die X
iunii sexte indictionis”. Dal testo si deduce che il sovrano Carlo II d‟Angiò
stabilì l‟ingaggio annuo del pittore, fissato in trenta once d‟oro, in aggiunta
ad altre due once per l‟affitto (“pro pensione”) di una casa per sé e per la
famiglia, che evidentemente lo aveva seguito nella trasferta.
Sei mesi dopo, il 15 dicembre, Roberto D‟Angiò, terzogenito di re Carlo II,
in qualità di vicario del regno diede ordine ai tesorieri di provvedere a
liquidare il compenso pattuito. Il documento recita:
“Robertus, Calabriae dux, vicarius etc. […] pro magistero Petro Cavallino de
Roma pictore de solvendis sibi gagiis a die data predicti mandati regii ad
racionem di unciis auri triginta ponderis generalis per annum et de unciis auri
duabus annuatium pro pensione unius domus per eum Neapoli […]. Datum
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I due documenti angioni sono stati pubblicati da H. W. SCHULZ, 1860, p. 127. Ripresi tra gli
altri da F. ACETO, 1992, p. 62 e nota 84; A. TOMEI, 2000, p.11.
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Neapoli in camera ducali anno domini MCCCVIII, die XV Decembris VII
indictionis”.
La consistenza delle somme erogate, la solennità del testo e la riconferma
ottenuta attraverso il secondo documento sopra citato sono indici di grande
stima da parte dei regnanti angioini, che potrebbero leggersi come un riflesso
della fama e del prestigio di cui il Cavallini probabilmente già godeva a
Roma.
Nel 1992 Francesco Aceto ha reso noto un terzo documento napoletano: esso
concerne un pagamento di 15 once a diverse persone, tra le quali sono
elencati anche alcuni artisti come “Gottifredo e Miletto Aurifabris regiis,
Magistro Petro Cavellino [sic] de Roma pittori [sic]”, pagamento effettuato
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tra il mese di giugno 1308 e il 31 agosto 1309. Si ripropone però per questa
attestazione, come avverte lo stesso studioso, il problema della lacunosità del
documento. L‟unica indicazione attendibile che se ne potrebbe trarre,
chiarisce Francesco Aceto, è che Pietro Cavallini, per continuare a riscuotere
somme di denaro dalla corte, qualcosa doveva pure fare per conto di essa.
Il confronto tra i documenti angioni e il testo del 1273 è stato ed è al centro di
un rovente dibattito che ha spaccato in due fazioni la schiera degli studiosi e
che ha inevitabilmente condizionato una parte cospicua degli interventi critici
sulle opere. Il punto nodale deriva dalla presenza nei documenti napoletani
della qualifica di pittore e dall‟assenza, in quello del 1273, di un‟indicazione
di analogo tenore, spingendo diversi critici a ipotizzare un caso di omonimia
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tra i vari personaggi citati negli atti in questione. Chi tende oggi a prendere
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Il documento è reso noto da F. ACETO, 1992, p. 62-63 e nota 85. Come annota lo studioso,
“Gottifredus” e “Milettus” “aurifabri” sono i due orafi francesi Etienne Godefroy e Milet
d‟Auxerre, autori con Guillaume de Verdelay, del celebre busto argenteo di San Gennaro, ora nel
tesoro del Duomo di Napoli.
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Fra i principali sostenitori dell‟omonimia tra il “Petrus dictus Cavallinus de Cerronibus” citato nell‟
atto datato 1273 e il pittore Pietro Cavallini: M. BOSKOVITS, 1983, p. 297 e segg.; L. BELLOSI,
1983, p 114-115; 1985, p. 113; F. GANDOLFO, 1988, p. 329.
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le mosse da quest‟ultima considerazione ha potuto dedurre giudizi al ribasso
su quello che poté essere l‟arco della sua attività, di un artista il cui lavoro
sarebbe iniziato solo negli ultimi anni del secolo XIII, per poi svilupparsi
prevalentemente in quello successivo quando oramai le novità giottesche
erano affermate. Percorrendo questa linea, contro l‟ipotesi di un inizio attività
di Cavallini da porre negli anni settanta del XIII, lo storico Luciano Bellosi
ha sostenuto che il documento del 1273 sarebbe “solo uno dei punti deboli su
cui è fondato il mito del Cavallini, nato dopo la scoperta dei suoi affreschi di
Santa Cecilia in Trastevere e nutrito dalla disinvoltura filologica più allegra e
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spensierata”. Di contro, sull‟altro versante si posizionano coloro che vedono
il riscontro tra la testimonianza del 2 ottobre 1273 con i registri angioni come
abbastanza probabile: Guglielmo Matthiae, a tal proposito, ha chiamato in
causa la commissione dei perduti affreschi di San Paolo fuori le mura, in
quanto si tratterebbe del più antico lavoro affidato all‟artista (una prima
tranche di lavori dovette concludersi entro il 1279), e, vista la rinomanza e la
formazione che tale opera richiedeva, presupporrebbe un Cavallini non più
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giovanissimo proprio negli anni settanta del XIII secolo. Tale linea critica è
riconfermata e nello stesso tempo supporta quella raggiunta in tempi più
recenti da Alessandro Tomei, il quale, ragionando sulle circostanze che
potessero giustificare l‟assenza di qualifiche relative al “Petrus” presente
nell‟atto datato 1273, arriva a dedurre che “a Roma il nome del Cavallini
doveva probabilmente essere così noto, sia come componente della famiglia
Cerroni, sia come pittore, da rendere superfluo qualsiasi specificazione sulla
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sua attività”.
6
Per un quadro della questione cfr. L. BELLOSI, 1985, p. 114-115.
7
G. MATTHIAE, 1966, p. 185.
8
A. TOMEI, 2000, passo relativo alla p. 10.
7
Il contributo offerto da Vasari sui dati biografici di Cavallini presenta invece
forti oscillazioni: nella prima edizione de Le Vite, lo storico aretino pone al
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1344 la data di morte del pittore, assegnandogli 75 anni di vita, mentre nella
seconda lo fa morire ottantacinquenne nel 1364 per poterne più facilmente
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dimostrare la dipendenza da Giotto.
1,2. Il testamento di Matteo Orso Orsini
Si è visto, anche se in forma sintetica, come le scarsissime indicazioni
documentarie su cui si basa la cronologia di Pietro Cavallini sono state
oggetto di una rinnovata discussione da parte della critica più recente. Il
risultato raggiunto da questi studi non può essere annoverato tra i più felici
se, a maggior ragione, facciamo riferimento al primo periodo romano di
Cavallini: poiché le datazioni tradizionalmente proposte per gli affreschi
perduti di San Paolo fuori le Mura, per i mosaici di Santa Maria in Trastevere
e per gli affreschi di Santa Cecilia in Trastevere appaiono puramente
congetturali, l‟attività di Cavallini nella suddetta fase non ha ancora trovato
sicuri punti di riferimento cronologico su cui sostenersi.
Ma la pubblicazione di Alessandro Barbero nel 1989 di un importante
documento ha fornito un contributo di assai più sicura lettura e
interpretazione in quanto, nella menzione di Pietro Cavallini, è specificata la
sua attività pur, come ha osservato lo stesso studioso, in un ambito
decisamente minore quale quello dell‟oreficeria. Un dato questo, che ci
riporta in un epoca in cui gli artisti erano senza alcun dubbio in grado di
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operare ed esprimersi attraverso mezzi diversificati.
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G. VASARI, 1550, pp. 151-153.
10
G. VASARI, 1568, pp. 185-189.
11
A. BARBERO, 1989, p. 84-87.
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In un panorama documentario così esile non appare dunque superfluo
segnalare una testimonianza del genere, tanto è vero che molti studiosi, tra
cui lo stesso Barbero, sarebbero riusciti ad estrarre e fissare un termine
cronologico nel lacerato percorso biografico del maestro romano.
Il documento in questione è conservato presso l‟Archivio Capitolino di
Roma, Fondo Orsini, con la segnatura II. A. II. N. 12. Si tratta del testamento
di Matteo Orso Orsini figlio di Napoleone, rogato a Vicovaro il 12 gennaio
1279 dal notaio Rainerio di Matteo da Foligno, e pervenutoci attraverso una
copia del 1311, per mano di Francesco di maestro Giovanni da Vicovaro, su
pergamena in mediocre stato di conservazione. Verso la conclusione del
documento, dopo aver nominato eredi universali i propri figli maschi, preso
disposizioni a tutela della moglie e della figlia ed elencato una lunga serie di
beneficenze, il testatore dispone affinché siano saldati i suoi debiti nei
confronti di diverse persone, per crediti non restituiti e merci non pagate;
l‟ultima di tali disposizioni suona così: “Item volo quod ipsi heredes mei
maculi dent et solvant Petro Cavallino .XIII. libras provisinorum quas michi
mutuavit in una manu et .XIII. alias libras provisinorum qua ei dare teneor
pro una fibula quam recepi ab eo”. Come anticipato ad inizio paragrafo,
l‟identificazione del “Petro Cavallino” qui documentato con il pittore appare
più certa dinanzi a quella proposta con il “Petrus Cavallinus” documentato
nel 1273. Il brano citato suggerisce assai più l‟attività variegata di una
bottega che non gli interessi di un‟influente famiglia romana come i Cerroni,
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più facilmente committente, in quegli anni, che esecutore di opere d‟arte.
Pietro Cavallini risulta legato a Matteo Orso Orsini sia come creditore, anche
se per una somma relativamente modesta, sia in veste professionale per la
fornitura di una fibula. Sulla specificità di questa fibula purtroppo non ci
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Al riguardo può essere indicativa la commissione della tavola di Santa Lucia riportata da L.
BELLOSI, 1985, pp. 114-115.
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