Capitolo I Significato e uso -Che cosa mi vai contando? - disse
austeramente il Bruco. - Spiegati
meglio.
- Temo di non potermi spiegare, -
disse Alice, - perché non sono più
quella di prima, come vedi.
- Io non vedo nulla, - rispose il Bruco.
- Temo di non potermi spiegare più
chiaramente, - soggiunse Alice in
maniera assai gentile, - perché dopo esser stata cambiata di statura
tante volte in un giorno, non capisco
più nulla.
L. Carroll 1.1 Introduzione Per Wittgenstein si può parlare di significato di una parola
solo assumendo come riferimento un linguaggio in uso in una
forma di vita, quindi solo partendo dall'assunto del punto 199
delle Ricerche filosofiche possiamo iniziare un' indagine volta a
mostrare quale sia la posizione del filosofo austriaco sul senso
di una proposizione e sull'interpretazione di un segno:
“Comprendere una proposizione significa comprendere un
linguaggio. Comprendere un linguaggio significa essere
padroni di una tecnica” 40
. Per comprendere una proposizione,
per poter parlare si deve necessariamente conoscere il proprio
40 Ivi., p. 108.
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linguaggio naturale. Questa considerazione tanto ovvia
all'apparenza implica che per poter dare una descrizione di
qualcosa devo già avere in me determinate conoscenze, una
tecnica che mi permetta di descrivere e di essere immerso in
un contesto linguistico, cioè di far parte di una forma di vita.
Per interpretare devo già aver acquisito tutti gli strumenti atti
a descrivere, o meglio, determinare il significato dei segni che
compongono il linguaggio. Il problema filosofico che sta alla
base di queste asserzioni è di natura grammaticale 41
, tratta
unicamente della costruibilità di un linguaggio, ci si dovrà
dunque chiedere cosa significa che dobbiamo avere già
acquisito questi strumenti? Se per descrivere dobbiamo
possedere a priori gli elementi della descrizione (il
linguaggio), come si può interpretare allorquando
interpretando utilizziamo degli elementi per così dire, di per
sé, già interpretati? Dovremmo forse dire che quando
descriviamo qualcosa, quando spieghiamo il significato di una
parola, comprendiamo il segno in questione già nell'atto del
descrivere per una “singolarissima” proprietà interna del
linguaggio o del pensiero? Tutti questi interrogativi qui
menzionati portano Wittgenstein ad opporsi alle teorie del
platonismo e del mentalismo per mostrare come il significato,
il senso di un enunciato, debba essere ricondotto all'uso che se
ne fa in un determinato contesto piuttosto che a un'immagine
mentale o un'entità immateriale che popola il “terzo regno” di
cui parla Frege 42
. I problemi riguardanti il significato di un
41 “Perciò la nostra è una ricerca grammaticale. E questa ricerca getta luce sul nostro
problema, in quanto sgombra il terreno dai fraintendimenti. Fraintendimenti che riguardano
l'uso delle parole”, L.Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., p. 60.
42 Cfr. Luigi Perissinotto, Le vie dell'interpretazione nella filosofia contemporanea , Laterza,
Roma-Bari 2002, p. 101.
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segno sono di diversa natura. In primo luogo Wittgenstein
critica il dogmatismo che affligge il mondo matematico e
filosofico dei suoi contemporanei tra cui Gottlob Frege e
Bertrand Russell. Mentre Russell nella Theory of Knowledge 43
individuava la connessione che c'è tra il comprendere ed il
significato in entità logiche preliminari al linguaggio, Frege
identifica con qualcosa di organico la comprensione del segno.
Infatti un segno – ogni segno - è per Frege qualcosa di morto,
di inorganico, “perché acquisti vita, perché abbia un
significato, occorre che a esso venga aggiunto qualcosa;
bisogna che a esso venga data un'interpretazione” 44
. Se il
significato è “qualcosa” di diverso dal segno allora l'indagine
verte a spiegare cosa sia questo “qualcosa”, ossia, bisogna
chiarire propriamente cosa intendiamo quando assumiamo
l'esistenza del significato come entità indipendente dal segno
che accompagna. Dire che il significato è quindi qualcosa di
incorporeo, di atemporale, che si fonda su se stesso (sul
pensiero) è per Wittgenstein un non senso. Mentre dire che il
significato è qualcosa di aggiunto che ha bisogno d'essere
interpretato porta ad una catena senza fine di descrizioni, di
interpretazioni, in quanto “qualunque cosa accompagni un
segno non sarebbe per noi che un segno ulteriore, un altro
segno” 45
. Wittgenstein si chiede come mai un segno più
qualcos'altro dovrebbe essere vivo se, da solo, era morto?
Com'è possibile che il significato di un segno possa essere
43Bertrand Russell, Theory of Knowledge: The 1913 Manuscript , edited by Elizabeth
Ramsden Eames in collaboration with Kenneth Blackwell (London: George Allen &
Unwin, 1984)
44Luigi Perissinotto, Le vie dell'interpretazione nella filosofia contemporanea , cit., p. 96,
100-101.
45L.Wittgenstein, The Blue and the Brown Books , cit., p.11
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spiegato da un altro segno, il quale, a sua volta, abbisognerà di
un'ulteriore interpretazione? Dato che un' interpretazione è
certo qualcosa che viene data in segni non potrà mai dare ad
un qualunque segno quella vita che esso, in quanto tale, non
ha 46
. A questo punto risulta utile considerare il paragrafo 198
delle Ricerche filosofiche in cui, nell'affrontare il tema delle
regole e del seguire una regola, Wittgenstein chiarisce la
dicotomia che intercorre tra interpretazione e significato:
«Ma come può una regola insegnarmi che cosa devo fare a questo
punto? Qualunque cosa io faccia, può sempre essere resa
compatibile con la regola mediante una qualche interpretazione». -
No, non si dovrebbe dire così. Si dovrebbe invece dire: Ogni
interpretazione è sospesa nell'aria insieme con l'interpretato; quella
non può servire da sostegno a questo. Le interpretazioni, da sole,
non determinano il significato.»
47
Come si vede un'interpretazione non è in grado di
determinare, da sola, il significato di un segno; se può essere in
accordo con una regola allora potrà essere anche in
contraddizione con essa cioè l'interpretazione sarà o inutile o
arbitraria. Possiamo infatti interpretare ciò che ci voleva
essere comunicato, quindi l'interpretazione è o univoca o
casualmente corretta, come possiamo interpretare
qualcos'altro, qualcosa a cui attribuiamo un significato
arbitrario, ovvero, in questo caso fraintendiamo ciò che il
nostro interlocutore intende dire; non si è compreso il
messaggio ma solo quello che noi ne facciamo. Il paradosso è
46 Cfr Luigi Perissinotto, Le vie dell'interpretazione nella filosofia contemporanea , cit., p. 99
47 L.Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen , Blackwell, Oxford 1958, [trad. it.
Einaudi, Torino 1999], p. 107.
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evidente, in un contesto del genere l'interpretazione come la
regola perde di significato, infatti “Sarebbe quasi come se,
quando si getta un dado, si dovesse stabilire con un altro dado
quanto valga un lancio” 48
, il senso di una proposizione non può
fondarsi né sull'interpretato né sull'interpretazione. Dire che
la regola può essere interpretata diversamente ogni volta,
ovvero in accordo o in contraddizione con il suo uso abituale,
non fa altro che dissolvere l'utilità della regola stessa, si potrà
allora parlare in modo sensato d'interpretazione solo in quelle
circostanze in cui ci si trovi a poter scegliere tra due o più
alternative. E' per questo evidente che si può interpretare solo
quando possiamo scegliere tra più usi, più significati di un
termine, quindi solo nel caso in cui abbiamo campo per
l'interpretazione. Infatti se una proposizione ci risulta chiara,
ad esempio un comando, la comprendiamo senza dover
ricorrere ad un'interpretazione, obbediamo al comando
oppure trasgrediamo ad esso 49
.
1.2 Esiste un modo di concepire una regola che
non è un'interpretazione.
Abbiamo detto che s e la regola deve essere sempre
interpretata, quindi descritta con segni, sarà allora impossibile
porre fine alla catena delle definizioni, perché una definizione
sarà comunque un altro segno. Uno degli errori è che si tende a
concepire ogni parola come un nome scambiando il significato
48 L.Wittgenstein, Zettel [1930-1944], tr. it. di M.Trinchero, Einaudi, Torino 1986, § 230.
49 Cfr Luigi Perissinotto, Le vie dell'interpretazione nella filosofia contemporanea , cit., pp.
109-115.
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del nome con il suo portatore 50
. Ma se per definire il significato
si indica l'oggetto per cui il nome sta non si è ancora mostrato
con questo le regole che determinano le relazioni che la parola
ha all'interno di un enunciato, si deve allora indicare
qualcos'altro che spieghi il senso della parola. Wittgenstein
chiama “definizione ostensiva” la spiegazione con segni del
significato di una parola, ovvero l'indicare un oggetto per
spiegarne il suo significato 51
. Una definizione ostensiva però di
per sé non dice nulla sull'uso di una parola e non può quindi
essere impiegata per insegnare o spiegare il significato della
parola che accompagna l'ostensione ad un soggetto che non è
in grado di parlare il nostro stesso linguaggio. infatti essa
presuppone la conoscenza degli strumenti necessari a far
riconoscere 52
il significato che una parola ha in un determinato
contesto, in definitiva per essere efficace una definizione
ostensiva richiede la conoscenza del linguaggio con cui viene
espressa l'ostensione e la comune partecipazione dei parlanti
al gioco linguistico dell'indicare:
“La definizione ostensiva spiega l'uso - il significato - della parola,
quando sia già chiaro quale funzione la parola debba svolgere, in
generale, nel linguaggio.”
53
Dunque di per sé una definizione ostensiva non può fissare il
significato di nessun oggetto indicato. Solo m ostrando il
50 «noi cerchiamo una sostanza in corrispondenza ad un sostantivo; un sostantivo ci induce a
cercare una cosa che corrisponda ad esso.» L.Wittgenstein, The Blue and the Brown Books,
cit., p. 5.
51Ivi. , p. 6.
52 « In conclusione il sapere si fonda sopra il riconoscimento ». Wittgenstein, Della Certezza ,
cit., p. 60.
53L.Wittgenstein, Ricerche filosofiche , cit., p. 25.
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