5
che stabilisce innumerevoli relazioni tra lʼuomo e lʼambiente. Comprometterle significa
ricondurre tutto alla logica industriale della produzione. Il ʻgusto relazioneʼ e dunque scelta.
Propongo cos unʼanalisi multicriteriale dei Legami, e dei diversi processi di conservazione e
produzione del cibo, cercando di tenere conto per questa via sia dei fattori fisiologici e
tecnologici che di quelli etici del gusto, nel modello di progettazione (Bisogni,Vincoli,Risposte)
del Montanari.
Le conclusioni al termine di questa lunga riflessione indicano che la progettazione nella
ristorazione un processo in continua evoluzione, oggi alla ricerca di codifiche rispondenti alle
nuove politiche energetiche ed alimentari che hanno in primo piano il rapporto tra lʼuomo, il
territorio, lʼambiente e lʼevoluzione tecnologica.
Nel capitolo I espongo gli elementi concreti da cui sono nate le mie ipotesi e la trattazione
della mia tesi. Trattandosi di un’ipotesi di metodo, passo poi a definire la cornice teorica che
mi ha fatto da riferimento e guida nella ricerca. La Teoria Critica della Societ , proposta dai
sociologi della Scuola di Francoforte negli anni ʼ30-ʼ40, polemizza il contesto culturale della
societ moderna caratterizzata da una dominante tecnologia improntata al produttivismo.
Lʼassunto che nel passaggio da una societ preindustriale a quella attuale della produzione
e del consumo, caratterizzata da una forte divisione del lavoro, lʼestrema specializzazione nei
diversi campi abbia condotto ad una modularizzazione spinta del sapere. Ci avrebbe
determinato che ogni campo sia per definizione multidisciplinare, cio pertinente a numerose
competenze molto specifiche che per loro stessa natura tendono allʼautoreferenzialit ,
problematizzando cos lʼapproccio interdisciplinare stesso, quello sforzo cio di tenere insieme
in fase di progettazione le innumerevoli relazioni tra gli elementi presenti nei sistemi
considerati. Le riflessioni degli antropologi e dei sociologi occidentali della seconda met del
XX secolo sulla modularizzazione della societ , si possono riscontrare concretamente in uno
studio molto interessante realizzato da Jan van der Ploeg nel contesto olandese. Il piano
Mansholt, finalizzato alla modernizzazione tecnologica del sistema contadino europeo negli
anni 1970-80, fa venire a galla una frattura tra le competenze stratificate dei contadini e le
prescrizioni del protocollo tecnologico, con lʼeffetto di diminuire gli utili della produzione e
fallendo in unʼimplementazione tout court della tecnologia.
Se lʼassunto che si debba contrastare il disaccoppiamento tra i saperi locali e le conoscenze
scientifiche con approcci che si definiscano sistemici, esiste nella societ o nelle istituzioni o
nei progettisti un riscontro che legittimi o che possa catalizzare questa innovazione di
metodo? Slow Food sembra essere uno di questi esempi, proponendo un modello di sviluppo
ascetico, cos come definito dallʼOsti, che di fatto sta riuscendo a stimolare esempi di
organizzazione e di vita improntati a regole di buona pratica e che non sono dettate dalla sola
logica astratta economica.
6
Nel capitolo II analizzo le definizioni trovate di design e di approccio sistemico; ne risulta una
definizione di principi circa lʼesplorare i sistemi che si stanno andando a organizzare, con lo
scopo di individuare le relazioni preesistenti, per caratterizzarne e trovarne le ad dentellature e
i rapporti con nuove logiche di progettazione. Propongo allora una possibile linea di principio,
nellʼinvertire idealmente il processo di design in un percorso inverso che vada dal sistema
circostante al prodotto finale della progettazione di un centro cottura, dal territorio, al menu, al
dimensionamento delle zone di stoccaggio e di cottura, cos da realizzare un esempio di
approccio sistemico relazionale.
Nel capitolo III affronto il problema dellʼ organizzazione concettuale e operativa del mangiare
fuori casa. Alcuni studiosi come il Kiefer teorizzano che gli elementi demografici ed economici
delle grandi citt aperte al commercio siano stati cruciali nella nascita e crescita di questo
settore delle attivit umane. Passando in rassegna diversi studi in merito, delineo lʼevoluzione
del settore della ristorazione che si configura come suggerito da Woodward
fondamentalmente in due diversi rami, quello della organizzazione di piccola e media serie e
quella di grande serie e di produzione continua. Dunque di tutte le tipologie organizzative
questʼultima, quella delle grandi catene di fast food, sembra essere quella candidata alle
ipotesi del capitolo I circa il fenomeno del disaccoppiamento di Ingold.
Nel capitolo IV rielaboro tutti i concetti sviluppati sin qui. In particolare, come fatto con il
modello di Woodward, altrettanto applico il modello di Ploeg ricavato dallʼanalisi della
produzione agricola, al settore della ristorazione. Ricavo cos una nuova categorizzazione
basata non solo sui parametri dellʼanalisi economica, bens anche sui folk concepts, i saperi
locali cio presi dallʼesperienza diretta degli agricoltori. Riadatter anche la formula del grado
di mercificazione di Ploeg al ristorante, per ricavare una stima della dipendenza da prodotti
semilavorati e cos la potenziale privazione delle competenze allʼinterno e la possibile
dipendenza dai mercati. Ho confermato la fondatezza di questi assunti con il metodo
dellʼintervista approfondita ad operatori del settore e con quello dellʼosservazione
sperimentale, lavorando in un cucina di un ristorante artigianale.
Questo mi servito a costruire alcuni parametri della dimensione etica del gusto, da inserire in
un modello di comparazione multicriteriale che ho sviluppato al computer. Il progettista pu
cos inserire i dati relativi alla struttura ristorativa (centro cottura) che vuole dimensionare,
numero pasti, criticit dellʼigiene, qualit organolettiche, rispetto dei criteri di stagionalit e cos
via ed ottenere idealmente il dimensionamento delle tecniche e tecnologie pi adatte e quindi
una logica progettuale sistemica e controllata.
7
Capitolo 1
Nella societ della produzione e del consumo
Una
partecipazione
occorsami
un
anno
fa
ad
un
lavoro
di
progettazione
di
un
nuovo
ristorante,
mi
diede
l’occasione
di
assistere
alle
riunioni
preliminari
per
la
realizzazione
dell’idea.
In
particolare
ebbi
modo
di
rilevare
le
resistenze
dell’imprenditore,
socio
di
maggioranza
e
ideatore
dell’attività,
a
un
approccio
che
io
proponevo
di
tipo
complessivo
alle
problematiche,
in
quanto
il
suo
metodo
era
di
convocare
separatamente
i
diversi
tecnici,
architetto,
designer,
cuoco
e
gastronomo.
In
particolare
mi
colpì
la
volontà
di
progettare
le
zone
cucina
prima
ancora
di
stabilire
in
modo
chiaro
l’offerta
gastronomica,
escludendo
addirittura
una
valutazione
delle
risorse
presenti
sul
territorio
di
riferimento
in
termini
di
approvvigionamento
di
materie
prime,
e
altresì
la
riluttanza
all’adozione
di
qualunque
tipo
di
tecnica
di
conservazione
e
cottura
innovativa
che
non
fossero
già
quelle
ampiamente
rodate
e
standardizzate.
Eppure
l’imprenditore
in
questione
era
la
terza
generazione
di
una
famiglia
alla
guida
di
una
rinomata
catena
di
pasticcerie.
Il
caso
di
specie
ovviamente
non
generalizzabile,
poiché
legato
alla
cultura
e
alle
esperienze
puntuali
dell’imprenditore,
mi
ha
però
fatto
porre
una
serie
di
domande
che
si
sono
in
seguito
concretate
in
questa
tesi.
Quali
logiche
e
metodi
si
devono
attuare
per
una
corretta
progettazione
nell'ambito
della
ristorazione
?
Quali
sono
gli
elementi
base
che
devono
essere
presi
in
considerazione
per
risolvere
le
problematiche
della
ristorazione?
Esistono
delle
logiche
progettuali
e
organizzative
ben
definite?
Tra
le
varie
ipotesi
che
ho
formulato
in
via
iniziale,
è
che
le
resistenze
rilevate
fossero
da
attribuire
da
un
lato
alla
natura
stessa
dell’attività
dell’imprenditore,
legata
alla
veloce
ed
efficace
risoluzione
dei
problemi,
e
dall’altro
a
un
diffuso
e
consolidato
approccio
di
tipo
modulare
a
compartimenti
stagni
retaggio
di
una
cultura
positivista
dove
è
difficile
mettere
in
interconnessione
le
competenze
di
diversi
ambiti.
Nella
società
della
produzione
e
del
consumo
-‐
8
«
Il
gusto
è
relazione
»
N.Perullo
Il gusto e la scelta
Parlare
di
alimentazione
e
cibo
in
qualunque
settore,
compreso
la
progettazione
delle
zone
cottura
e
stoccaggio
di
un
grande
mensa
aziendale
o
di
qualsiasi
altro
tipo
di
ristorazione,
vuol
dire
riferirsi
immancabilmente
a
due
fattori
fondamentali,
la
scelta
ed
il
gusto
1
,
cruciali
già
per
l’uomo
raccoglitore-‐cacciatore.
Si
deve
immaginare
come
il
gusto
fosse,
quando
l’uomo
era
sfornito
di
strumenti
di
analisi
e
di
bagaglio
scientifico,
l’unico
riferimento
per
evitare
ciò
che
di
offensivo
poteva
presentarsi
in
natura
sotto
forma
di
cibo.
Mai
come
oggi
il
concetto
del
gusto
è
stato
ripreso
e
posto
al
centro
della
discussione
colta,
dell’attenzione
del
pubblico,
declinato
e
articolato
come
centro
di
un
sistema
sia
cognitivo
che
di
sviluppo:
se
attraverso
esso
l’essere
umano
selezionava
i
propri
cibi,
oggi
è
diventato
il
nodo
cruciale
attraverso
il
quale
passa
grande
parte
dell’industria
dell’alimentazione
e
con
essa
la
relativa
economia
generata.
Oggetto
d’importanti
studi
socio
antropologico,
scientifici
volti
ad
anticipare
e
guidare
le
preferenze
dei
consumatori,
esso
è
diventato
nello
stesso
tempo
bersaglio
di
svariati
e
multiformi
tentativi
di
soggiogamento
e
contemporaneamente
cruciale
articolazione
con
le
moderne
pratiche
della
produzione
industriale;
se
è
vero
che
il
prezzo
e
la
comunicazione
sono
le
maggiori
leve
del
marketing
mix
dei
prodotti
di
massa,
è
pur
vero
però
che
sarà
sempre
il
gusto
alla
fine
a
decretare
il
successo
o
l’insuccesso
di
un
prodotto.
Storia
e
memoria
Ma
sarebbe
un
errore
dimenticare
che
esso
non
prescinde
mai
da
storia
e
memoria,
ed
è
proprio
in
ciò
il
motivo
delle
recenti
resistenze
sociali
volte
al
salvaguardare
e
ripristinare
gli
ultimi
legami,
gli
ultimi
lacci
che
legano
il
nostro
gusto
alle
radici
dei
territori,
delle
tradizioni,
della
storia
di
uno
specifico
contesto,
contro
l’industria
agricola
e
alimentare
che
mira
all’azzeramento
di
questi
legami.
Con
tale
logica
ovviamente
è
più
semplice
pontificare
sul
nulla
i
gusti
dei
consumatori,
dunque
le
preferenze
e
le
abitudini
alimentari
per
orientarne
le
scelte,
ed
adattare
così
l’uomo
alla
logica
industriale
che
domina
la
produzione
e
non
viceversa.
Ma
può
mai
il
gusto
in
quanto
sensazione
chimica
ingenerare
quel
legame
con
la
storia
e
la
memoria
di
cui
parlo
?
Gibson
conclude
che
il
gusto
non
dovrebbe
essere
più
considerato
un
senso
chimico,
bensì
come
un
sistema
percettivo,
indicando
nella
sua
analisi
i
limiti
1
Comunemente
si
indica
con
la
parola
gusto
o
taste
l’insieme
delle
sensazioni
percepibili
in
bocca,
che
in
congiunzione
con
il
senso
dell’olfatto
smell
generano
una
percezione
complessiva
che
denominiamo
flavour.
Io
userò
il
termine
gusto
con
l’accezione
di
Gibson,
che
lo
intende
come
un
sistema
percettivo
implicante
operazioni
complessive
e
mai
riconducibili
ad
un’unica
matrice
e
successivamente
nel
senso
più
ampio
di
Perullo
(cfr.
N.Perullo,
“L’altro
gusto”,
pg.
35)
Nella
società
della
produzione
e
del
consumo
-‐
9
imposti
dal
cosiddetto
riduzionismo
chimico
che
«…non
può
predire
quale
sarà
l’odore
o
il
sapore
di
un
composto
chimico
fino
a
che
non
lo
prova,
perché
non
vi
è
alcuna
teoria
per
questo
…
».
È
stato
scientificamente
dimostrato
che
già
nel
feto
siano
presenti
strutture
olfattive
dalla
12°
settimana
di
gestazione,
che
gli
odori
degli
alimenti
consumati
possono
attraversare
il
liquido
amniotico
(Bartoshuk,
1994)
e
che
i
neonati
prematuri
hanno
dimostrato
sensibilità
evidente
al
saccarosio
ed
al
glucosio,
esattamente
come
i
neonati
reazioni
avverse
alle
concentrazioni
di
sostanze
amare
(Rosenstein
&
Oster,
1988).
Appare
scientificamente
evidente
che
il
gusto
del
dolce
sia
innato
e
ben
sviluppato
dalla
nascita,
in
funzione
probabilmente
della
necessità
fisiologica
dei
cibi
ricchi
di
energie,
e
come
la
percezione
del
flavour
sia
determinante
alla
scelta
degli
alimenti
da
consumare
(Yeomans,
1998).
Inoltre
gli
studi
intorno
la
sazietà
e
la
sazietà
specifica
(cfr.
Fig.1)
hanno
dimostrato
come
il
meccanismo
della
fame,
delle
motivazioni
che
spingono
ad
iniziare,
diversificare
il
pasto
con
differenti
alimenti
e
terminare,
sia
prevalentemente
fisiologico,
legato
fortemente
alle
sensazioni
di
dolce
e
salato
(Rolls
et
al.,
1982).
L’inizio
del
consumo
è
correlabile
ai
livelli
di
glucosio
e
insulina
nel
sangue
(Carlson,
1991),
ed
altrettanto
la
palatabilità
di
ciascun
alimento
diminuisce
progressivamente
durante
il
suo
consumo.
Figura
1.
La
cascata
della
sazietà
di
J.
E.
Blundell.
Da.
Green
et
al.,1997
I
risultati
di
gran
parte
delle
ricerche
scientifiche
alle
quali
abbiamo
accennato
altrettanto
indicano
come
le
preferenze
per
il
piccante,
l’acido
e
l’amaro,
siano
da
ricercare
invece
nella
dimensione
culturale
dell’uomo.
Il
fenomeno
dell’esperienza
gustativa
è
stato
ampiamente
esplorato
da
un
punto
di
vista
psicofisiologico,
antropologico,
sociale,
da
quello
dell’analisi
sensoriale,
del
marketing
del
food
choice,
e
sembra
che
prevalga
la
tentazione
di
riportare
sempre
tutto
alla
fisiologia
Nella
società
della
produzione
e
del
consumo
-‐
10
della
mente-‐corpo
dell’uomo,
ma
questa
sarebbe
una
visione
riduttiva
se
non
integrassimo
nel
meccanismo
della
scelta
alimentare
il
cuscinetto
degli
usi,
abitudini,
costumi
e
tradizioni
tipiche
di
luoghi
e
tempi
circoscritti.
È
in
questa
dimensione
‘abitata
dall’uomo’
che
troviamo
le
altre
dimensioni
del
gusto
e
del
senso
della
scelta
alimentare.
Il
senso
del
dwelling
di
Tim
Ingold,
l’attitudine
cioè
dell’essere
umano
a
dimorare
in
ambiti
fisici
o
mentali
dove
esperire
il
senso
della
familiarità
2
,
tiene
conto
della
nostra
aspirazione
a
ricercare
in
ogni
dove
quella
dimensione
materna,
familiare,
amicale,
territoriale,
quelle
dimensioni
cioè
nelle
quali
siamo
imbrigliati
(embedded)
da
una
fitta
rete
di
relazioni,
nello
spazio
e
nel
tempo.
Non
è
solo
la
fisiologica
sensazione
della
fame
o
la
prescrizione
dietetica
che
modula
la
scelta
alimentare,
bensì
anche
una
complessa
dimensione
relazionale
che
localizza
fortemente
la
scelta
tramite
una
teoria
di
fibre
allacciate
localmente
nello
spazio
e
nel
tempo.
Volendo
utilizzare
una
rappresentazione
cara
alla
logica
cartesiana
possiamo
rappresentare,
su
di
un
piano
la
multidimensionalità
della
nozione
di
gusto
così
come
suggerisce
tutto
il
ragionamento
del
Perullo
3
circa
la
multidimensionalità
del
gusto,
dove
sull’
asse
della
fisiologia
vi
saranno
tutte
le
motivazioni
legate
agli
aspetti
puramente
determinabili
razionalmente,
sull’altro
quelle
di
tipo
antropologico,
sociale,
personale,
insomma
relazionali
nel
senso
di
Ingold,
e
per
dirla
con
le
parole
di
Basso,
quel
resto
non
riducibile,
sfondo
antisistematico,
e
si
badi
sistematico
e
non
sistemico,
che
chiamiamo
ambiente.
4
2
Cfr.
T.Ingold
“The
Perception
of
Environment”,
pg.330
3
Cfr.
N.Perullo,
“L’Altro
Gusto”,
cap.
I
4
Cfr.
Basso,
“La
Promozione
dei
Valori”,
pg.
198