rappresentano un’area culturale, politica ed economica molto netta. Il gruppo Mondadori,
editore di Panorama, appartiene alla famiglia Berlusconi, con quello che ne è conseguito
sul piano degli interessi imprenditoriali.
Questo lavoro si propone di individuare i rapporti che legano proprio l’imprenditoria ed
il mondo dell’informazione e l’ascendente che il primo ha, attraverso la pubblicità, nel
gatekiping e nell’agenda setting del secondo e soprattutto il ruolo che gioca nella
sopravvivenza delle molte testate giornalistiche in un mercato inflazionato come quello
della stampa dove
la vendita di spazi pubblicitari determina il 58% dei ricavi delle aziende editrici di quotidiani con
punte del 63% per i quotidiani nazionali. La diversità di tipologia dei periodici rende poco
significativo un dato globale che comunque sfiora il 50%. Nel bilancio dei news magazine più
diffusi e soprattutto, dei periodici femminili, l’incidenza dei ricavi di pubblicità giunge fino
all’80%.2
“La costante crescita del peso della pubblicità commerciale nell’insieme dei ricavi
dell’editoria è un fenomeno relativamente recente ed ha determinato lo sviluppo delle
filiazioni, la nascita dei magazine, dei quotidiani e da ultimo della free press”3.
Il lettore subisce, inconsapevolmente, una metamorfosi mentale: da semplice fruitore di
informazione diviene consumatore. Il giornalismo rischia di travalicare la sua finalità
informativa per sfociare in strumenti e mezzi di intrattenimento, fatti di articoli di
“alleggerimento”, per lo più condizionati e spesso commissionati dalle concessionarie di
pubblicitarie o direttamente dagli uffici marketing delle aziende. La natura pubblicitaria di
un messaggio viene mascherata nei contenuti di un articolo, si tratta della “pubblicità
redazionale”, ormai divenuta una pratica abbastanza diffusa in tutte le testate.
La letteratura di riferimento per questo tema è ampia e articolata. Il lavoro, pertanto, si
fonda sull’affidabilità delle principali fonti di informazione e degli strumenti di ricerca.
Non di rado gli autori utilizzano toni severi che specialmente per quanto concerne il primo
capitolo dell’elaborato potrebbero risultare assolutistici. Si è scelto di riportare le loro
affermazioni pur non ritenendo che il quadro complessivo che ne risulta sia così grave ed
incontrovertibile come viene descritto. I testi di riferimento sono:
2
V. ROIDI, Il sistema dell’informazione, p. 102
3
Ibidem, p. 103
3
“La fabbrica delle notizie” di Vittorio Roidi, ex presidente della FNSI (Federazione
Nazionale Stampa Italiana), ex segretario dell’ODG (Ordine Dei Giornalisti).
Il testo di Roidi introduce il lettore ai temi rilevanti del giornalismo dei nostri anni, alla
dimensione del mercato, al ruolo della proprietà editoriale ed ai rapporti di quest’ultima
con il direttore responsabile e la redazione. Il testo non risparmia critiche alla debolezza
del giornalismo nel nostro paese.
“I padroni delle notizie” di Giuseppe Altamore, giornalista e saggista, vicecaporedattore
di “Famiglia Cristiana”. Il testo mira ad individuare il vero scopo dei mezzi di
comunicazione tramite un’analisi critica del sistema attuale dell’informazione che tende a
formare il perfetto consumatore più che ad informare il cittadino.
“La Casta dei Giornali” di Beppe Lopez, giornalista dal 63, cronista politico, ha
partecipato alla fondazione di “La Repubblica”. Il libro è articolato come un dossier ed
approfondisce il finanziamento statale dei giornali. Settecento milioni di euro in un anno
che vanno a rimpolpare le casse di grandi gruppi editoriali, organi di partito, agenzie e tv
locali.
“Media e Potere” a cura di Stefano Cristante, docente di Sociologia delle comunicazioni
di massa all’Università degli studi di Lecce, e di Paolo De Nardis, preside della Facoltà di
Sociologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Il volume parte dalla definizione di
potere per poi entrare più nello specifico analizzando il rapporto di quest’ultimo con il
mondo dei media in tutte le sue sfaccettature.
“Effimera & Bella. Storia della pubblicità italiana” di Gian Luigi Falabrino, giornalista
e autore di libri sulla storia della pubblicità e della propaganda politica. Insegna Storia
della comunicazione visiva al Politecnico di Torino (Architettura), Storia del giornalismo
all’Istituto per la formazione al giornalismo “Walter Tobagi” dell’Ordine regionale della
Lombardia ed è professore all’istituto DAMS di Genova - Imperia.
Questo testo permetterà un’analisi più approfondita del fenomeno pubblicitario presente
nel contesto italiano ed introdurrà alla tematica di fondo al lavoro, vale a dire al rapporto
tra pubblicità e giornali.
Il metodo che si utilizzerà è quello della lettura critico-analitica delle fonti disponibili
sull’argomento e dei casi scelti. Il lavoro è arricchito da un’inchiesta sul campo, dalla quale
4
si evince il contrasto fra la dogmaticità della letteratura in materia in confronto alle
esperienze dirette di redazione.
L’elaborato è arricchito da alcuni elementi statistici. Si tratta di dati che consentono
un’analisi dimostrativa dei livelli di pubblicità raggiunti in questi anni e delle tendenze in
atto, dei casi di violazione del codice etico e deontologico dei giornalisti e di quello di
autoregolamentazione dei pubblicitari.
5
Capitolo primo
Il RAPPORTO TRA CARTA STAMPATA E PUBBLICITÀ COMMERCIALE:
1. Giornalismo e pubblicità: genesi e sviluppo del rapporto
La pubblicità nasce dall’esigenza dell’uomo di far conoscere, di mettere in mostra
le proprie abilità. Persino il banco di un fruttivendolo, se la merce è ben esposta, diventa
una forma di “reclame”. Certo, nel tempo, si è affinata la capacità di proposta pubblicitaria,
fino a diventare materia di studio e di investimento finanziario, un vero e proprio settore,
oggi, delle economie più evolute.
La pubblicità moderna nasce, in particolare, quando il settore produttivo, anche se
non ancora propriamente industriale, comincia ad avvertire l’esigenza di rivolgersi ad un
pubblico di acquirenti più vasto, vale a dire quando le vendite di un prodotto non si
svolgono più in botteghe o fiere ma in più punti di vendita contemporaneamente.4 Colui
che un tempo era insieme produttore e venditore inizia a non avere più un contatto diretto
col compratore ed ha, ora più di prima, la necessità di far conoscere il proprio prodotto su
scala gradualmente sempre più vasta. In tale ottica la stampa, appare come mezzo di
diffusione ideale, per la capacità di raggiungere contemporaneamente più persone in luoghi
diversi..
Eppure, a partire dell’invenzione di Gutenberg nel XV secolo e per i successivi tre
secoli, il commercio non si è reso conto dei vantaggi che poteva ricavare da tale strumento,
anche perché la stampa è stata considerata per molto tempo mezzo appannaggio della
religione prima e della letteratura poi. In definitiva, uno strumento di influenza ideologica
e culturale.
In realtà benché le prime gazzette (il nome Gazzetta deriva dalla moneta coniata
dalla Repubblica Veneta, “gazeta”, che bastava per l’acquisto dell’”Avviso”5) che
informano con notizie di attualità comincino a circolare nel 1600 ed è solo molto più tardi,
precisamente nel XIX secolo, che si possono incontrare i primi esempi di pubblicità
moderna, cioè di inserzionisti, che, col chiaro intento di promuovere la vendita di propri
prodotti, acquistano spazi sui giornali affiancando le loro proposte pubblicitarie alle notizie
politiche e letterarie.
4
G.L. FALABRINO, Effimera & Bella, Gutenberg 2000, Torino, 1990
5
V. ROIDI, Il sistema dell’informazione, p. 39
6
L’800 è il secolo della industrializzazione: l’invenzione della macchina a vapore,
l’incremento dei mezzi di trasporto e delle vie di comunicazione, la crescente diffusione
della stampa sono gli elementi che caratterizzano la nuova società. In questa atmosfera di
generale cambiamento, in cui il progresso industriale compie passi da gigante, anche il
mondo del giornalismo conosce mutamenti importanti che ne modificano in profondo
aspetto e funzioni.
In particolare nel 1836 accade qualcosa che, relativamente al rapporto pubblicità-
informazione, costituisce un momento decisivo: il giornalista francese Emile de Girardin,
diventato editore de “La Presse”, dedica la quarta pagina del suo giornale ad annunci
pubblicitari a pagamento, ottenendo così la possibilità di abbassare il prezzo di vendita e di
realizzare, almeno in parte, l’autonomia economica del giornale.
Lo stesso De Girardin scriveva infatti, proprio sul primo numero de “La Presse”: “
Ormai, l’abbonato al giornale deve pagare soltanto per coprire le spese di carta, stampa e
posta. Sono gli annunci pubblicitari che ci forniscono il denaro occorrente per le spese di
redazione, composizione e amministrazione, che sono invariabilmente uguali sia per un
abbonato che per mille.”6 “Da allora il destino dei giornali […] si è legato
indissolubilmente a quello della pubblicità.”7
Quella che per noi è oggi una realtà del tutto naturale e scontata fu, in quel
momento, una trovata geniale che però urtò le convinzioni dei puristi e degli intellettuali al
punto da costituire un vero e proprio scandalo.
Il contrasto tra “innovatori” e “conservatori” non si limitò agli insulti ma sfociò
anche in un duello: il giornalista Armand Carrel sfidò il collega De Girardin e perse la vita.
Per meglio capire la situazione di allora è necessario fare qualche passo indietro. I secoli
precedenti avevano già conosciuto esempi di pubblicità a mezzo stampa, anzi si può
affermare tranquillamente che “la pubblicità nasce con la stampa”.8
Per citare qualche esempio, nel ‘400 a Parigi i librai dovevano pubblicare le liste
dei volumi con i prezzi indicati, nel ‘500 in Italia esisteva un settimanale , le “Listre de
6
C. BARBIERI, Il giornalismo. Dalle origini giorni nostri. Centro di documentazione
giornalistica, 1982, p. 431
7
A. ZANACCHI, Pubblicità, in F. LEVER – P.C. RIVOLTELLA – A. ZANACCHI, La Comunicazione, il
dizionario di scienze e tecniche, Leumann, To - Roma, ELLEDICI-ERI-LAS, 2002, p. 920
8
G.L. FALABRINO, Effimera e bella, p. 16
7
cambi et mercantie”, che era una specie di giornale economico, e per tutto il ‘600 e il ‘700
si pubblicarono giornali di informazione economica.9 Tutte queste pubblicazioni, però,
erano considerate alla stregua di un servizio pubblico ed erano tenute nettamente separate
dall’informazione vera e propria, quella politica e letteraria.
La “pubblicità di servizio” aveva spazi autonomi, quali i numerosi giornali
specializzati, oppure si poteva trovare sotto forma di annunci sporadici e gratuiti. Il
giornalismo del tempo era figlio delle numerose battaglie culturali portate avanti nel ‘700
in nome della ragione, della diffusione delle idee, di principi insieme politici e letterari.
L’ambiente culturale vedeva nel giornalismo uno strumento il cui valore era molto alto
perché alti erano i principi che con esso si diffondevano.
Era chiaro perciò che vendere pagine, tradizionalmente dedicate a temi di rilevanza
politica e culturale, per annunci pubblicitari equivaleva, per i colleghi di De Girardin, a
tradire la natura stessa del giornalismo.
“Un’attività alta e culturalmente di prestigio inquinata dal vile danaro.”10 Solo così
si possono comprendere lo sdegno e il disprezzo che l’iniziativa di De Girardin suscitò tra
gli addetti ai lavori del tempo.
Ad ogni modo, nonostante insulti e duelli, la “quarta pagina” dell’innovatore
giornalista francese era destinata a segnare l’inizio di un fenomeno che da allora in avanti e
fino ad oggi ha assunto proporzioni inimmaginabili. Giornalismo e pubblicità sono
divenuti inscindibili con reciproco vantaggio: il primo , con i guadagni degli annunci
pubblicitari, può stampare molte più copie e quindi raggiungere un pubblico di lettori
sempre più vasto, la seconda, utilizzando un mezzo di diffusione a larga scala, ottiene il
risultato di far conoscere le aziende produttrici ad un numero crescente di potenziali
acquirenti e quindi ad aumentarne gli introiti economici. Chiaro è che insieme ai vantaggi
questo binomio manterrà sempre, negli anni, l’equivoco iniziale: l’influenza degli
inserzionisti sull’informazione con il rischio costante della prevaricazione del potere
economico sulla libertà di espressione dei giornalisti.
L’Italia conobbe il progresso industriale più tardi rispetto ad altri paesi.
L’Inghilterra, la Francia, la Germania, gli Stati Uniti avevano compiuto, nel corso
9
G.L. FALABRINO, Effimera e bella, p. 16
10
Ibidem, p. 17
8
dell’Ottocento, passi importanti nello sviluppo industriale, ai quali l’Italia giungerà più
lentamente. E proprio in questi paesi più evoluti erano nate, già da tempo, società che si
occupavano della vendita degli spazi pubblicitari sui giornali per concessione di vari
editori. Addirittura in Francia il primo esempio di “régie” pubblicitaria appare nel 1835 e
cioè un anno prima del caso De Girardin. Questo esempio ebbe molto seguito: in tanti in
tutta Europa diedero vita ad agenzie di pubblicità. Per trovare un riscontro anche in Italia si
deve aspettare il 1863, anno in cui il farmacista bresciano Attilio Manzoni fonda a Milano
la A. Manzoni &C., concessionaria che lavorò col “Corriere della Sera” e con altri
importanti giornali. Ben presto all’originale ruolo di intermediazione le agenzie dovettero
aggiungere anche quello di creazione del messaggio pubblicitario e a questo scopo vennero
assunti giornalisti disoccupati e giovani scrittori: nascevano vere e proprie “aziende
produttrici di servizi per conto dell’inserzionista”11 che assunsero denominazione e compiti
diversi a seconda del paese in cui sorgevano. In particolare furono tre i modelli di agenzie
pubblicitarie che si formarono nel corso del tempo: le “agencies” anglo-americane che
gradualmente approfondirono il settore della creatività a discapito del ruolo di mediatori; le
“régie” francesi che continuarono ad avere sempre le due funzioni; le concessionarie
italiane, che mantennero la funzione originaria.
Questo sviluppo nel campo dell’organizzazione pubblicitaria va di pari passo con
un generale miglioramento della stampa grazie, soprattutto, all’aumento del grado di
alfabetizzazione conseguente alla diffusione delle scuole pubbliche. In Italia aumentano le
testate e nascono, nell’ultimo decennio del secolo, le prime riviste illustrate che subito
mostrano di essere il genere giornalistico idoneo a diventare un veicolo pubblicitario
privilegiato. Oramai la pubblicità ha i suoi spazi, una sua struttura ed è perfettamente
organizzata: si può parlare di pubblicità moderna a pieno titolo. Giornalismo e pubblicità
appaiono legati in modo inscindibile, ma ciò non impedisce il sorgere di polemiche da
parte di chi, ancora legato all’ideale di un giornalismo puro, sopporta mal volentieri questo
connubio che non solo non accenna ad indebolirsi ma che anzi, col passare del tempo, si
rafforza e si “istituzionalizza”. Ne deriva che tra il 1865 ed il 1890 nascono quasi tutte le
testate che sono tuttora capozona nelle rispettive aree: “Il Secolo” nel 1866; “La Stampa”,
11
G.L. FALABRINO, Effimera e Bella, p. 40
9
1867, (anche se la testata vera e propria appare nel 1895); “Il Corriere della Sera”, 1876 ;
“Il Messaggero”, 1878; “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 1887.12
Nel 1896 si afferma anche la stampa sportiva con “La Gazzetta dello Sport”, che
nel 1908 adotterà la carta rosa (che la distingue ancora oggi), ma che diventerà quotidiano
solo nel 1919.
“Le innovazioni editoriali sono soprattutto milanesi, soprattutto con il “Secolo” che
traccia il profilo del giornale moderno, e con l’affermazione nazionale del “Corriere della
Sera, fondato da Eugenio Torelli Viollier, che appare il pomeriggio, da cui il nome della
testata.””13
Il “Secolo”, in particolare, traccia il confine tra un tipo di giornalismo artigianale,
raramente pianificato ad una visione ed ad un’impostazione del giornalismo più
imprenditoriale, con un organizzazione commerciale ed un’amministrazione aziendale. Da
subito la casa editrice “Sonzogno” mise in atto diverse strategie per ottenere consenso:
“Pubblicò due romanzi al giorno, mise in palio premi per gli abbonati, potenziò la cronaca
cittadina, introdusse l’illustrazione in prima pagina, la titolazione su cinque colonne ed
inserì la pubblicità.”14
A far tornare i conti contribuisce la pubblicità. Gli avvisi commerciali, in genere su
specialità farmaceutiche, pubblicati nell’ultima pagina, crescono e gli inserzionisti scelgono,
logicamente, il giornale più diffuso. Il pionere della pubblicità è Attilio Manzoni, nome tutt’ora
sul mercato, che inventa le necrologie che riempiono in breve tempo la terza pagina.15
Per comprendere la portata strategica di quegli anni basta ricordare che ancora oggi
la “A.Manzoni & co.” è la concessionaria pubblicitaria di giornali come “La Repubblica”.
Il secolo decisivo, per la pubblicità è il Novecento. Il fenomeno più importante è la
nascita della televisione, nel 1954, che diventa subito lo strumento preferito dei pubblicitari
per la sua capacità di entrare nelle case della gente. La diffusione di questo nuovo mezzo di
comunicazione gradualmente provoca, o comunque in buona parte favorisce la crisi della
stampa che, per poter sopravvivere, è costretta ad aumentare sempre di più gli spazi
12
V. ROIDI, Il sistema dell’informazione, p. 52
13
Ibidem, p. 53
14
G. COSTA, Dietro il Giornale, Roma, Las, 2004, p. 43
15
V. ROIDI, Il sistema dell’informazione, p. 54
10
pubblicitari.
Così la pubblicità tramite i giornali ottiene sempre maggiore flessibilità geografica
che, come già descritto, con l’avvento della televisione non avrà più confini, e potrà
associare il proprio nome al prestigio di cui gode la maggior parte dei giornali sia locali
che nazionali.
“Nel 1950 il “ Corriere della Sera” tira 300.000 copie; “La Stampa” 200.000; “Il
Messaggero” 150.000. I settimanali conoscono un boom, grazie anche alla potenza
comunicativa dell’immagine.”16
Nel 1976 si affaccia nel mondo dell’editoria italiano una novità di rilievo: ““La
Repubblica” di Eugenio Scalfari che innova il panorama dell’informazione stampata sia
nel formato e nella grafica, sia nelle tecniche informative con titoli spesso gridati, una forte
dose di settimanalizzazione, il raccordo tra cultura e spettacoli.”17
Nel rileggere rapidamente le vicende dell’informazione negli ultimi decenni non si
deve dimenticare che: “La popolazione resta intorno ai 57 milioni di abitanti, mentre
aumentano gli iscritti alle università. Nel 1980 si vendevano in Italia 5.432.000 copie di
giornali salite a 6.808.000 nel 1990 e scese a 5.699.682 nel 2000.”18
“Le regioni dove si vendono più quotidiani sono: Trentino Alto Adige con (182)
copie ogni mille abitanti, davanti a Liguria, (172) e Friuli Venezia Giulia, (165). Gli
investimenti pubblicitari, in diminuzione attorno al 2000 sono rivolti per il 52% alle
televisioni e solo per il 21% ai quotidiani e per il 16% circa ai periodici, percentuali
anomale nel mercato europeo.”19
Gli anni novanta del secolo scorso ed i primi del 2000 sono così vicini da non
rendere necessaria una ricostruzione cronologica dettagliata, ma è ad ogni modo
indispensabile focalizzare alcuni elementi di ulteriore riflessione.
“Nel 1992 ha inizio un ricambio generazionale di quasi tutti i maggiori organi di
stampa tra cui quello di Paolo Mieli al “Corriere” ed a lui si deve il “mielismo”, genere che
mescola informazione alta ed indiscrezioni. Ma soprattutto continua nelle aziende il
rinnovamento tecnologico, con l’introduzione del colore, ad esempio, negli avvisi
16
V. ROIDI, Il sistema dell’informazione, p. 67
17
Ibidem, p. 71
18
Ibidem, p. 72
19
Ibidem, p. 73
11
pubblicitari ed il computer entra in redazione.”20
Si affermano l’informazione sportiva, l’espansione delle rubriche, e la stessa “la
Repubblica” che nel gennaio 1994 comincia a pubblicare anche l’edizione del lunedì: un
dato, quello dei giornali che escono sette giorni su sette, anomalo rispetto al resto
d’Europa.
Agli inizi del 2000 si affacciano poi alla ribalta organi cultural-politici sullo schema
del “Foglio” di Giuliano Ferrara.
Una novità è la cosiddetta free press, distribuita gratuitamente, che nel 2001 ha
raggiunto la tiratura di 1,7 milioni di copie, con “Leggo”, “City”, “Metro” e che nel 2007
ha traguardato i 400 milioni di copie diffuse (+25% rispetto al 2006) con una crescita della
raccolta pubblicitaria di oltre il 30%.
In questo ambito, si è assistito, di recente, all’introduzione delle “anteprime”
informative distribuite nelle prime ore del pomeriggio che, per sintesi e per immediatezza,
possono essere equiparate all’informazione su web. Le testate gratuite, che appartengono
prevalentemente ai grandi gruppi editoriali, sono sorte per attrarre soprattutto la pubblicità
locale. Tuttavia, dato che tali testate si stanno evolvendo in network di livello nazionale, la
conseguenza è stata quella di veder crescere la pubblicità commerciale nazionale in misura
maggiore di quella locale.21
“Lo sviluppo della free press non risulta, se non in misura marginale, sostitutiva
dell’editoria quotidiana tradizionale, ma rappresenta un mezzo informativo che tende
piuttosto ad espandere il pubblico dei lettori, con incrementi significativi soprattutto nelle
fasce di età dai 14 ai 34 anni.”22
L’idea della free press ha radici lontane. Dopo il 1830 i quotidiani inglesi e poi
quelli americani vengono venduti ad un solo penny e moltiplicano di due-tremila copie la
loro vendita. Nasce la penny-press. Tra i suoi fautori si deve ricordare James Gordon
Bennet, editore del “New York Herald”. “Bennet propose un’informazione per tutti, che si
svincolasse dal pubblico dei politicanti e dagli uomini d’affari, cambiando linguaggio ed
accettando ogni tipo di pubblicità, senza storcere il naso.”23
20
V. ROIDI, Il sistema dell’informazione, p. 75
21
Corrado Calabrò, Relazione annuale, p. 86 in < http://www.agcom.it/rel_08/index.htm > (19/07/2008)
22
Ibidem, p. 86
23
Cf. V. ROIDI, La fabbrica delle notizie, Roma, Laterza, 2001, p. 45
12
2. Il potere del mercato ed i suoi influssi sul mondo dell’editoria
La storia del sistema dei media italiano è sintetizzabile in tre termini: Formazione –
Partecipazione – Mercato. Nell’ordine cronologico sono questi obbiettivi a caratterizzare le
logiche produttive e culturali dei media italiani, con conseguenti ricadute sia sui contenuti
espressi sia sulle conseguenze politiche ed economiche che sempre si accompagneranno allo
sviluppo dei media.24
Naturalmente l’Italia ha i suoi “problemi”. Difetti strutturali di ordine culturale. Il
mondo dell’editoria non poteva esserne immune.
Il legame del giornalismo con la politica è una diretta conseguenza della poca
disponibilità degli editori della penisola ad avventurarsi nel settore dei quotidiani,
considerato particolarmente rischioso dal punto di vista economico. Si devono valutare, a
questo proposito, i forti interessi del mondo industriale e commerciale ed il loro rapporto
con il denaro pubblico. Una diretta conseguenza è l’aumento degli spazi pubblicitari che il
giornalismo italiano ha percorso, e percorre tuttora, per risolvere il problema delle risorse
finanziarie, vera e propria costante di ogni attività editoriale.
Per tutto l’Ottocento gli aiuti elargiti dai governi alle testate filo-ministeriali contro
quelle di opposizione sono una conseguenza di questo dato. In questo panorama non
stupisce che il “Corriere” diventi competitivo solo nel 1885, con l’arrivo dell’industriale
tessile Benigno Crespi che propose di far uscire il giornale in tre edizioni (mattina,
pomeriggio, sera). Tra il 1884 ed il 1887 il “Corsera” passa da 20.000 a 50.000 copie, per
toccare alla fine del secolo le 90.000. A portare il “Corriere” alla definitiva consacrazione
sarà in età giolittiana Luigi Albertini.25
Albertini avviò una serie di riforme strutturali che permisero di ottenere un
“prodotto standardizzato” in cui “ogni parola, prima di essere stampata era meditata,
soppesata, controllata ed ogni tesi nuova subiva un pesante collaudo” (Luigi Albertini).
Altro personaggio chiave nella storia del giornalismo italiano è il direttore della
“Stampa” di Torino, Alfredo Frassati, che riesce a raggiungere la soglia delle 100.000
copie.
24
C. SORRENTINO, giornalismo, in F. LEVER – P.C. RIVOLTELLA – A. ZANACCHI, La
Comunicazione. Il dizionario di scienze e tecniche, Leumann, To - Roma, Elledici, Rai Eri, Las, 2002, p. 543
25
Cf. D.M. BRUNI, Appunti di storia del giornalismo italiano, Roma, Centro di Documentazione
Giornalistico, Fiuggi, 2007, p. 12
13
Ciò che conta sottolineare sono le difficoltà finanziarie dei giornali, a causa della
ristrettezza del mercato. Ciò comporta alcune rilevanti conseguenze. In Italia si afferma la
formula del giornale omnibus, dal nome del settimanale della casa editrice Rizzoli, fondato
da Leo Longanesi, alla fine degli anni 30, che fondeva attualità, politica ed interessi
letterari.26 Una formula, mutuata dal latino, “Per tutti”, fatta poi propria da quotidiani e
periodici con l’intenzione di accaparrarsi l’interesse di soggetti diversi. “Omnibus significa
che ciascun giornale si dedica alla politica, allo sport, alla cultura, alla cronaca locale, in
una mescolanza che è differente da caso a caso solo per quantità e qualità. Nessun
quotidiano in Italia rinuncia ad essere “ecumenico.” ”27
Il giornale omnibus si afferma come strategia di conquista di un crescente spazio
diffusionale - commerciale in un Paese sostanzialmente arretrato dal punto di vista del
consumo dei quotidiani. In secondo luogo, come già affermato, c’è lo stretto legame del
mondo della politica con la stampa periodica. In ogni caso è dai problemi di bilancio che
deriva la difficoltà delle imprese editoriali a rinnovare gli impianti. L’introduzione della
compositrice meccanica (Lynotipe), ad esempio, è molto lenta: inventata nel 1884, in Italia
il primo modello viene istallato solo 22 anni dopo. Nemmeno la pubblicità riesce a salvare
i giornali dal deficit, dal momento che essa si concentra essenzialmente sulle testate
principali. La via d’uscita da tale situazione è rappresentata dalle banche e dalle grande
industria. Nei primi anni del 900 molto stretti sono i legami tra Banca Commerciale, Banca
d’Italia ed il quotidiano “la Tribuna”. D’altra parte sono i colossi della siderurgia , in anni
difficili come quelli della prima guerra mondiale, a salvare alcune testate: nel 1917
l’Ansaldo acquisisce il “Messaggero”, la Terni salva “la Tribuna” e l’Ilva raggiunge il
controllo del “Mattino.”28
Il periodo che si apre all’indomani della Grande guerra segna un deciso salto
all’indietro nella storia del giornalismo italiano. Con l’avvento al potere di Mussolini la
libertà di stampa può considerarsi annullata. Sequestri, boicottaggi, assalti ed intimidazioni
delle squadre fasciste sono solo alcuni dei mezzi che vengono utilizzati per allineare la
stampa al regime in costruzione. In questa operazione un aiuto non piccolo a Mussolini
26
V. ROIDI, La fabbrica delle notizie, p. 47
27
Ibidem, p. 48
28
D.M. BRUNI, Appunti di storia del giornalismo italiano, p. 13
14
giunge dalla grande industria, gruppi siderurgici in testa, già in possesso di non poche
testate, circa 14.
La fascistizzazione del “Corriere” e della “Stampa” è vista come prioritaria e
culmina con l’allontanamento dalla direzione di Frassati ed Albertini. Nel 1925 viene
emanata una nuova legge sulla stampa, compare la figura del direttore responsabile
insieme con l’Albo dei giornalisti.
Anche nel Ventennio il “Corriere” si conferma il più diffuso giornale d’Italia, con
quasi 600.000 copie contro le 300.000 della “Stampa”.
All’indomani della caduta del regime fascista le caratteristiche del giornalismo sono
ancora una volta legate alla politica: i quotidiani italiani sono sempre politicamente
schierati. Intanto, il “Corriere” (direttore Missiroli) si conferma primo giornale della
penisola, seguito dalla “Stampa” (Giulio De Benedetti). Come detto con l’avvento della
televisione nel 1954 le cose cambiano, i quotidiani sono costretti ad incrementare la parte
di spiegazione delle notizie rispetto a quella informativa. Il 1955 è l’anno de “l’Espresso”,
sul modello del tedesco “Express”.
In questo panorama nel 1956 nasce “Il Giorno”, impegnato a condurre una battaglia
politica a difesa dell’intervento pubblico in economia, a favore dell’apertura a formule di
governo di centrosinistra. “Il Giorno” adotta novità editoriali di rilievo, ma i bilanci sono
tutt’altro che buoni ed a garantire la sostenibilità dell’impresa è Enrico Mattei, presidente
dell’”Eni”.29 A distanza di dieci anni, nel 1962, vede la luce anche “Panorama”, come
mensile frutto di una collaborazione tra Arnoldo Mondadori Editore e “Time”. Ma nel
1965 gli americani rinunciano e nel 1967 Mondadori affida la testata a Lamberto Sechi,
che la trasforma in settimanale.30
Le difficoltà di bilancio non sono una peculiarità del “Giorno”, ma una
caratteristica abbastanza diffusa nell’editoria italiana. Nel 1975 solo 17 testate chiudono i
propri bilanci in attivo; anche “Corriere” e “Stampa” sono in rosso. Conseguenza di ciò
sono i cambi di proprietà e le concentrazioni in poche mani della proprietà di più testate:
“Resto del Carlino, Nazione e Giornale d’Italia” sono, dalla metà degli anni 60, in mano al
petroliere Attilio Monti. Nino Rovelli, industriale chimico, possiede il grosso dei
29
Cf. D.M. BRUNI, Appunti di storia del giornalismo italiano, p. 16
30
F. ABRUZZO,Codice dell’informazione, Roma, Centro di documentazione giornalistica, 1999, p. 1228
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quotidiani sardi. Un altro colosso della chimica, la Montedison, sovvenziona “La Gazzetta
del Popolo”, quotidiano torinese, per dare noia a La Stampa, passata nelle mani della Fiat
di Agnelli.
Nel 1973 la Montedison prova anche la scalata al “Corriere” approfittando del
momento di crisi finanziaria del giornale. L’operazione però non riesce per l’opposizione
della cordata Crespi, Moratti, Agnelli. Il presidente Montedison, Eugenio Cefis, non si
arrende e nel 1974 compra il “Messaggero” ed aiuta Rizzoli ad acquistare il “Corriere”.
Il gruppo Rizzoli in pochi anni arriva a detenere il 23% delle tirature globali dei
quotidiani italiani. Nel 1981 Rizzoli è coinvolto nell’indagine sulla loggia massonica
“Propaganda 2”, sui cui elenchi compaiono anche i nomi del direttore del quotidiano, Di
Bella, e dell’amministratore delegato Bruno Tassan Din.
Il “Corriere” finisce sotto amministrazione controllata dal 1982 al 1984.
L’operazione di salvataggio è realizzata con il concorso di Mediobanca, Fiat, Pirelli,
Montedison. Il risultato finale è che un altro giornale finisce nelle mani della grande
industria. Nel 1986 il gruppo prende il nome di “Rcs Editori”, capogruppo di tutte le altre
società (Rcs Quotidiani, Rcs Periodici, Rcs Pubblicità ed altre). Sotto il controllo del nuovo
gruppo entrano anche le case editrici Bompiani, Fabbri Editori, Sonzogno e Sansoni.
Nel 1976 debutta “La Repubblica” di Eugenio Scalfari, con il sostegno di
Mondadori. Scalfari tenta di agire direttamente nell’agone politico ed a metà degli anni 80
le copie vendute sono 370.000 al giorno.
Dalla fine degli anni ottanta inizia il dualismo tra “Corriere” e “Repubblica” e
naturalmente la sfida tra i due quotidiani è anche a livello di gruppo editoriale. Si è già
detto precedentemente di quello del “Corriere”, quanto a “Repubblica”, Mondadori ottiene
il controllo totale del quotidiano al quale si affianca quello dell’Espresso. “Magna pars
della Grande Mondatori è Carlo De Benedetti.”31 Fra gli azionisti Mondatori c’è Silvio
Berlusconi. Nel 1987 si scatena una lotta per il controllo della società che vede
contrapposto De Benedetti ed i Formenton da un lato e Mimma, Leonardo Mondadori e
Berlusconi dall’altro. Si arriva ad una spartizione, dopo che i Formenton cedono la
maggior parte delle loro azioni a Berlusconi. De Benedetti ottiene “La Repubblica” e
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D.M. BRUNI, Appunti di storia del giornalismo italiano, p. 19
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