venga obliata, sia il caso in cui venga accettata e fatta agire.
Nel primo caso il fenomeno in questione riceve il nome, tutto marionienne, di
comprensione idolatrica del divino, o più semplicemente di idolatria e “prospetta
quel tipo di unione che avviene nell'oblio della differenza, perché in essa l'esperienza
umana del divino precede e condiziona l'impressione di Dio”1.
In base all'ambito conoscitivo interessato dalla loro azione, esistono due tipi di
idolatria: estetica e concettuale. Si definisce “estetico” quell'idolo che commisura il
divino allo sguardo che lo mira; non si tratta necessariamente di un «oggetto
dell'estetica», di un quadro o di una statua, ciò che piuttosto lo contraddistingue è il
frapporsi tra lo sguardo dell'uomo e il divino e l'imporsi come surrogato di
quest'ultimo, come man-made God.
Si definisce invece “concettuale” l'idolo che tenta di rendere umano il divino
per il tramite di un concetto, un tentativo di definire del divino, per definizione
indefinibile, che poggia sui limiti della razionalità umana. In questa prospettiva Dio
diviene causa sui.
In contrapposizione all'idolo si delinea l'icona, la comprensione iconica del
divino, “quell'unione fra differenti, impensabile come ri-conduzione, riduzione
all'unità, che abbandona la separazione come una posizione forse ancora troppo
ingenua, troppo poco profonda e allo stesso tempo accoglie la differenza così come si
dà, in modo assoluto, al di fuori, quindi, di ogni mediazione o riduzione. La distanza
1 J.-L. MARION, L'idole et la distance. Cinq études, Paris, Grasset, 1977, 330 p., tr. it. a cura di A.
Dell'Asta, L'idolo e la distanza, Milano, Jaca Book, 1979.
4
non separa, dunque, anche se immediatamente questo può apparire contro-intuitivo;
essa distingue, mette in rapporto a partire dalla solitudine essenziale dei distinti.”2 Si
tratta del caso in cui la distanza viene rispettata: l'icona, scrive Marion, “cela e svela
ciò su cui riposa: lo scarto in essa divino e del suo volto”3. In essa si tratta non di
ridimensionare l'abisso tra umano e divino così da ottenere un'idea del divino
commisurata all'incapacità finite dell'uomo, ma di riconoscerlo.
Le due figure dell'idolo e dell'icona fanno la loro apparizione ne L'idole et la
distance (1976) e in Dieu sans l'être (1987) ma in queste due opere il problema della
comprensione del divino rimane, per così dire, insoluto: Marion lascia in sospeso la
questione fino alla pubblicazione di Le visible et le révelé4, opera nel corso della
quale si propone di portarla a termine.
Le domande che Marion si pone sono “Può il divino fare il suo ingresso in
filosofia e più precisamente in fenomenologia? Che tipo di fenomenalità si confà
all'impossibile? E l'uomo può essere in grado di coglierla?”. Per rispondere a queste
domande Marion riprende lo statuto gnoseologico proprio dell'icona e lo traduce nel
linguaggio della fenomenologia. L'icona satura lo sguardo dell'uomo essendo
testimone di qualcosa (o qualcuno) di immensamente più grande, la figura incaricata
da Marion di esprimere questo rapporto prende il nome di fenomeno saturo.
2 R. CALDARONE, Caecus Amor. Jean-Luc Marion e la dismisura del fenomeno, ETS Edizioni,
Pisa 2007, p. 20
3 J.-L. MARION, Dieu sans l'être, Paris, Fayard, 1981. tr. it. di A. Dell'asta, Dio senza essere, Jaca
Book, Milano, 1987, (2008), p. 35
4 J.-L. MARION, Le visible et révelé, Paris, Les Editions du Cerf, 2005. Tr. it. di C. Canullo, Il
visibile e il rivelato, Jaka Book, Milano, 2007
5
Il divino può fenomenizzarsi solo “saturando” l'orizzonte fenomenologico e,
conseguentemente, lo sguardo dell'uomo, il cui ruolo in fenomenologia viene
modificato.
Si vedrà come l'ingresso del divino in fenomenologia ne modifichi
profondamente l'andamento tradizionale e collateralmente come lo stesso ego, da
sempre protagonista del processo di comprensione fenomenologica, debba, in
ossequio alla distanza, accettare un ruolo più di passività, di ascolto.
Nostro compito sarà di rintracciare, nella complessità propria del pensiero di
un filosofo tutt'ora in divenire, i momenti fondanti il procedimento che porta Marion
a fornire una propria interpretazione della filosofia della religione alla luce della crisi
della metafisica.
6
L'idolo
1.1 La posizione della questione
Jean-Luc Marion è uno degli autori più brillanti della filosofia francese
contemporanea. Nato il 3 luglio 1946, ha conseguito il diploma di laurea in filosofia
nel 1968 all'università Paris-Sorbonne e due dottorati: nel 1974 presentando un
lavoro dal titolo ”Les regulae ad directionem ingenii de Descartes. Essai sur la
thématique et la topique aristotéliciennes de certains concepts des Regulae.”5 e nel
1980, portando avanti il suo sempre vivo interesse per il filosofo francese da tutti
considerato iniziatore della modernità con un saggio dal titolo “Le fondement du
savoir dans la pensée de Descartes”6. Nel 1975 l'argomento di tesi del suo primo
dottorato lo porta alla pubblicazione della sua prima opera: “Sur l'ontologie grise de
Descartes. Science cartésienne e savoir aristotélicien dans les Regulae”7.
Jean-Luc Marion appartiene alla generazione di filosofi immediatamente
posteriore a quella di figure di primo piano come Paul Ricoeur, Emmanuel Levinas,
5 J.-L. MARION, Les regulae ad directionem ingeniti di Cartesio. Saggio sulla tematica e la topica
aristoteliche di certi concetti delle Regulae. Direttore della commissione F. Alquié, commissione
composta anche da: P. Aubenque e P. Costabel, menzione ottenuta: TB.
6 J.-L. MARION, Il fondamento del sapere nel pensiero di Cartesio. Direttore della commissione: F.
Alquié, giuria composta anche da G. Rodis-Lewis, S. Breton, M. Clavelin e J.-M. Beyssade,
menzione “très honorable” ottenuta all'unanimità.
7 J.-L. MARION, L'ontologia grigia di Cartesio. Scienza cartesiana e sapere aristotelico nelle
Regulae, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris, 1975, 200 p.
7
Jacques Derrida con i quali è in dialogo e di cui porta avanti e discute le posizioni,
nate da un serrato ed inventivo confronto con la Scuola fenomenologica di Husserl,
la filosofia ermeneutica e l'ontologia di Heidegger, nonché con i problemi posti alla
riflessione filosofica dalla fine della metafisica e dal diffondersi del nichilismo; “A
quell'epoca, dirà Marion a proposito della sua giovinezza, c'erano il marxismo e lo
strutturalismo che in qualche modo avevano avvertito la questione della fine della
metafisica senza avere le medesime convinzioni circa la definizione di metafisica.
Marxisti e strutturalisti avevano colto che la metafisica non era più la forma propria
della filosofia ma non spiegato in che senso prendevano il termine metafisica. C'era
d'altra parte una posizione conservatrice secondo la quale la metafisica faceva parte
della filosofia e che quindi sosteneva che ogni attacco portato alla metafisica era
portato alla filosofia stessa. E' dunque importante vedere come in Francia la
posizione principale non fosse essenzialmente una posizione filosoficamente e
politicamente conservatrice. Nel caso delle correnti filosofiche che ho incontrato
quand'ero studente, ho avuto la fortuna di confrontarmi solo con coloro che si
ponevano seriamente il senso della decisione metafisica come luogo della messa in
questione della filosofia: si trattava di storici della filosofia come Aubenque e di
allievi di Heidegger, interrogativi che erano i soli a problematizzare la questione
della metafisica legandola a due: quello della definizione della metafisica, che i
conservatori trascuravano volendo difenderla a tutti i costi, e quello della crisi della
metafisica, che tutti quelli che ne annunciavano la fine, in modo egualmente
8
superficiale, non si ponevano”8.
L'ambito culturale cui abbiamo accennato per il tramite delle parole di
Marion e un interesse di fondo per la teologia che il filosofo non abbandonerà mai
(Marion non perde occasione, anche nelle sue conferenze, per ricordare la sua
formazione e il suo orientamento cattolici, ma senza per questo arroccarsi in facili
posizioni dogmatiche) ed in particolare per la teologia post-metafisica, lo porteranno
alla stesura di uno dei libri che prenderemo maggiormente in considerazione nel
corso di questo lavoro: L'idole et la distance. Cinq études9. In questa raccolta di saggi
si affronta per la prima volta il problema della salvaguardia della trascendenza
assoluta di Dio da ogni tentativo metafisico di finitizzazione. Il tentativo è quello di
andare al di là della metafisica per pensare Dio in modo adatto, invalidando la tesi
nichilista della “morte di Dio” e poggiando su basi teologiche. “Il punto di partenza,
dice Marion, consiste nell'ammettere che la filosofia non s'identifica con la
metafisica”10, che “storicamente parlando, la metafisica non ricopre che una parte
della filosofia”11.
La constatazione del fallimento della metafisica occidentale incapace di
rendere ragione del problema che sta alla sua base12 è ciò che porta Marion a
8 Dialogo con l'amore, tr. it. a cura di Ugo Perone, Rosemberg & Sellier, Torino, 2007, p. 16-17
“Allora l'incontro con gli allievi di Heidegger, tra i quali Jean Beaufret, e con gli storici della
filosofia come Pierre Aubenque e Fernand Alquié è stato per me un punto di partenza”, scrive di
seguito l'autore.
9 J.-L. MARION, L'idole et la distance. Cinq études, Paris, Grasset, 1977, 330 p. tr. it. a cura di A.
Dell'Asta, L'idolo e la distanza, Milano, Jaca Book, 1979.
10 Dialogo con l'amore, cit., p. 17
11 Ivi
12 “Che cosa ha mostrato Heidegger? Egli ha mostrato ciò che può essere chiamata l'originale
contraddizione della metafisica. [...] La questione dell'ens in quantum ens.” Ivi, p. 18 “Dunque è la
9
condurre una “rigorosa fenomenologia dell'idolo”13 in ragione della distanza che
separa l'umano dal Divino, ignorata, al dire di Marion, dall'ateismo concettuale che
ha come bersaglio (si tratta della vittima della “morte di Dio”) un concetto di Dio, un
idolo, appunto. Sono evidenti, nella questione del rapporto di Dio con l'essere,
riferimenti a E. Lévinas (con l'Altro) e a J. Derrida (con la differenza), risolti e fatti
confluire nella riflessione di H. Urs von Balthasar sul donar-si dell'Essere. La coppia
concettuale che fa da fulcro allo svolgimento dell'opera è quella idolo/icona dove
l'icona rappresenta, in ossequio alla distanza e per contrasto all'idolo, lo svelarsi del
volto del divino come visibilità dell'invisibile: “Icona del Dio invisibile”, come si
legge in Col 1, 15.
Altra opera di grandissima importanza per quanto riguarda la riflessione sulla
teologia post-metafisica e sull'idolatria è Dieu sans l'être14, nella quale Marion si
pone esplicitamente sulla scia della tematica inaugurata da Lévinas. Questi aveva per
primo posto con estremo rigore l'esigenza di “intendere un Dio non contaminato
dall'essere”15, e questo non solo oltre l'orizzonte degli enti, come richiesto da
Heidegger, ma anche oltre l'orizzonte stesso dell'essere coestensivo con il pensiero,
orizzonte considerato inadeguato a salvaguardare la trascendenza assoluta del Dio
biblico. Come Marion scrive “si trattava di sottrarre la questione di Dio non solo alla
questione cos'è l'essere a mettere in crisi la metafisica” (Ivi, p. 19)
13 Jean-Luc Marion, a cura del prof. Giovanni Ferretti, Saggio pubblicato sul sito www.filosofico.net
14 J.-L. MARION, Dieu sans l'être, Paris, Fayard, 1981 tr. it. di A. Dell'asta Dio senza essere,
Milano, Jaca Book, 1987, (2008).
15 Emmanuel Lévinas, Autrement qu’ être ou au–delà de l’essence, Nijhoff, La Haye 1974, trad. it. di
M.T. Aiello e S. Petrosino, Altrimenti che essere o al di làdell’essenza, Jaca Book, Milano 1983
p.2
10
metafisica (e alla sorte della «morte di Dio»), ma a ciò che rendeva possibile
l'interrogazione, divenuta tanto possibile quanto imprecisa, sull'«esistenza di Dio» e
cioè l'orizzonte ininterrogato dell'essere come unico quadro supposto per la sua
presenza”16. In Dio senza essere Marion riprende e approfondisce, le analisi sull'idolo
e l'icona sviluppate nel precedente L'idolo e la distanza, accennando la strada che lo
porterà alla tematizzazione del fenomeno saturo, come unico luogo di coglimento del
rivelar-si del divino in fenomenologia.
Nel primo capitolo Marion si concentra sull'analisi fenomenologica dell'idolo
estetico (già sviluppata ne L'idolo e la distanza), per poi mostrarne il parallelo
nell'idolo concettuale. L'idolo indica, etimologicamente, il visibile e si manifesta
come un oggetto che pretende di esaurirsi nel guardabile. Cosa rappresenta? Nulla,
poiché non rinvia a qualcosa di altro da sé, ma solo restituisce di riflesso, come uno
specchio invisibile, lo sguardo invadente, che vuol ridurre il divino ad oggetto
visibile: “L'idolo quindi consegna il divino commisurandolo alla misura dello
sguardo umano”17. E' lo sguardo idolatrico, spiega Marion, a costituire l'idolo,
rapprendendosi su un visibile e lasciandosi colmare da esso, non tanto in
conseguenza di una scelta etica, ma piuttosto della fatica essenziale di mantenere
“l'alzo di una mira senza tregua, riposo, né fine”18.
Quando la metafisica cerca di risolvere “Dio” in un concetto, essa crea un
16 J.-L.MARION, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, trad. italiana di Rosaria
Caldarone, a cura di Nicola Reali, Sei, Torino 2001, p. 399
17 J.-L. MARION, Dio senza essere, cit., p. 28
18 Ivi, p. 27
11
idolo concettuale con le stesse valenze dell'idolo estetico: il concetto, infatti, non si
commisura tanto al divino, quanto piuttosto alla portata della capacità che lo ha
rappreso e che vi si rapprende, si lascia colmare da esso. Perciò Marion crede che si
possa leggere la storia onto-teo-logica della metafisica, da Platone a Nietzsche (ma
anche Heidegger cade nelle stesse difficoltà, come l'Autore cerca di mostrare) come
percorso sostanzialmente “idolatrico”. Nel secondo e nel terzo capitolo l'autore porta
a compimento la pars destruens del suo lavoro, approfondendola dal punto di vista
storico per approdare al nome inessenziale (e quindi primo) di Dio, quello di agape.
L'idolatria concettuale trova un suo doppio speculare, argomenta Marion nel secondo
capitolo, nel pensiero nietzscheano della “morte di Dio”, che costituisce, in realtà, il
semplice “crepuscolo degli idoli” e sconfessione del “Dio morale” kantiano. Ultimo
ed estremo raddoppiamento dell'idolatria, viene rintracciato nel tentativo
heideggeriano di pensare l'Essere in quanto Essere al di fuori della metafisica onto-
teo-logica: Marion spiega che la differenza ontologica, che Heidegger ritiene
sufficiente a garantire una trascendenza al divino, in realtà permane all'interno
dell'orizzonte dell'essere e quindi della metafisica.
Dopo aver riassunto lo sviluppo storico della questione relativa all'idolo,
passiamo a parlare più in particolare di ciò che comunemente si intende per idolo,
ossia dell'idolo estetico (§1), per poi spostarci sull'idolo concettuale
contestualizzandolo nel suo rapporto con l'ateismo concettuale e la metafisica a
base onto-teologica (§2) per infine delineare una via d'uscita dall'idolatria (§3).
12