non solo come destinatari di tali principi, ma come autori della deliberazione. Questa
concezione dell’oggettività e dell’agente sono al centro di questo studio. La mia indagine
non ha alcun intento storico ed esegetico, e non pretende di difendere l’interpretazione
costruttivista di Kant. Piuttosto essa prende avvio dalla definizione del costruttivismo
kantiano di John Rawls (1980) per esaminarne i meriti come teoria meta-etica. In
particolare si tratterà di fare emergere i tratti distintivi della teoria costruttivista
dell’oggettività.
La mia analisi riguarda la definizione di agente morale in particolare in rapporto
con le caratteristica di autonomia della ragione che permetterà di definire il suo ruolo
eminentemente pratico. Per poter meglio comprendere i termini della teoria costruttivista
kantiana si prenderà come termine di paragone un confronto con le teorie intuizioniste di
stampo razionalista per mostrare in che modo il costruttivismo riesca a dare un fondamento
oggettivo alla morale attraverso il solo uso della ragione vista come facoltà attiva e
produttiva.
Nel primo capitolo mi concentrerò sull’aspetto dell’autonomia della ragione, da cui
dipende la concezione di oggettività difesa dal costruttivismo. La mia attenzione sarà
rivolta in particolare a mettere in luce come il costruttivismo kantiano riesca a rendere
conto degli aspetti oggettivi e normativi della morale grazie ad un’adeguata
caratterizzazione dell’agente e senza fare appello ad alcuna ontologia o metafisica
particolare.
Il secondo capitolo si concentra sul tema della libertà interpretata come la
condizione di possibilità della morale. Lo scopo è quello di mostrare come la moralità non
possa essere indipendente da una precisa caratterizzazione dell’agente come agente
razionale ed autonomo. La concezione di agente morale come libero non segue da una
costruzione, ma è il presupposto per la stessa procedura di costruzione. L’agente si
rappresenta intuitivamente come libero nella pratica della deliberazione e dunque
nell’adozione di ragioni per l’azione.
Uno dei fini fondamentali della trattazione sarà quello di definire la moralità come
parte integrante della stessa natura umana facendola discendere dalla caratteristica
fondamentale che differenzia l’uomo dagli altri animali non umani, cioè la riflessività,
intesa come la capacità di pensare e giudicare le proprie azioni, non solo in termini di
adeguatezza strumentale, ma facendo riferimento al loro valore. Proprio in quanto esseri
riflessivi siamo in grado e sentiamo il bisogno di valutare le nostre azioni e definirle in
termini di “giusto” o “sbagliato”.
4
La relazione tra autoriflessività e capacità pratica emerge in particolare dall’esame
di alcuni saggi di Christine Korsgaard la cui filosofia morale e dell’azione si richiama
direttamente al costruttivismo kantiano. Secondo Korsgaard i principi morali possono
essere considerati come una risposta data all’esigenza pratica di rispondere a domande su
cosa si deve fare.
La sorgente della morale coincide con la capacità autoriflessiva degli agenti, la
quale è l’unica in grado di conferire un valore non solo alle nostre azioni, ma alla nostra
stessa vita. La morale sarà dunque considerata come la risposta più adeguata in grado di
conferire dignità alla natura di agenti morali essendo questa il riflesso della nostra facoltà
più elevata, cioè la ragione pratica.
Nel terzo capitolo affronterò le obiezioni di Bernard Williams contro l’etica
kantiana la quale, in quanto imparzialista e proceduralista, non riconosce il valore morale
dell’integrità individuale e delle relazioni personali speciali. Il mio intento sarà quello di
mostrare in che modo il costruttivismo kantiano difeso da Korsgaard sia in grado di
rispondere alle obiezioni di Williams. In questa sede saranno presi in considerazione anche
i problemi legati ai concetti di relazione personale e di conflitto tra interessi particolari e
interessi morali.
5
CAPITOLO 1: AUTONOMIA E OGGETTIVITÀ
In questo capitolo intendo mettere in luce la concezione dell’oggettività del
costruttivismo kantiano come indissolubilmente legata dalla concezione della ragione
intesa come pratica. Il merito di tale concezione è quello di stabilire l’oggettività delle
proposizioni morali senza fare appello a una particolare ontologia dei fatti morali.
La teoria costruttivista kantiana2 interpreta i principi morali come il risultato di una
procedura di costruzione. Le caratteristiche peculiari dei principi morali è che essi sono
universali e normativi: universali in quanto validi per tutti gli esseri dotati di ragione,
normativi perché universalmente vincolanti. Le caratteristiche di universalità e normatività
sono le stesse attribuite ai concetti morali dalla teoria etica dell’intuizionismo razionale per
cui è utile un confronto tra le due che permetta di mettere in luce in particolare le differenti
interpretazioni date al criterio di oggettività e in che modo esse conducono a
considerazioni opposte circa la natura della ragione e la sua posizione rispetto alle richieste
della morale. Tale confronto è indirizzato principalmente a definire il ruolo dell’agente
all’interno di ciascuna delle due teorie e per questa via rispondere alla questione se il
costruttivismo riesca a superare alcuni dei limiti delle teorie razionalistiche tradizionali.
2 Mi riferirò qui ad un tipo di costruttivismo di stampo kantiano che trae origine, per quanto riguarda la
formulazione in termini costruttivisti della dottrina della ragione pratica di Kant, dalla particolare
interpretazione di John Rawls (Rawls, 2004) e che era stata sviluppata dallo stesso Rawls nel suo articolo
del 1980 Kantian Constructivism in Moral Theory come fondamento teorico alla base della sua “Teoria
della giustizia”. Un tentativo importante, di cui mi occuperò spesso nel corso di queste pagine, di
ampliare e rivedere le condizioni della comprensione del costruttivismo di Rawls in una visione etica
generale, al di là degli intenti politici, è quello di Christine Korsgaard. In particolare Korsgaard, 1993.
6
1.1 COSTRUTTIVISMO E INTUIZIONISMO: UN CONFRONTO
Introdurrò ora brevemente le principali caratteristiche dell’intuizionismo razionale3.
L’intuizionismo riconosce nell’oggettività la base del senso di ogni discorso morale.
Le due teorie si distinguono però nettamente circa la concezione del criterio di oggettività a
cui devono sottostare i principi morali fondamentali e, come si vedrà, questo è dovuto a un
fraintendimento delle potenzialità della ragione che verrà illustrato attraverso la
formulazione dell'accusa di eteronomia di cui Kant aveva tacciato l'intuizionismo di
Leibniz e Clarke4. La concezione di oggettività proposta dall’intuizionismo è fondata sul
riconoscimento di un sistema di valori eterno ed immutabile indipendente dalla ragione
umana, la quale è posta in relazione ad esso solo attraverso la facoltà dell’intelletto che,
mediante un’intuizione intellettuale, conosce immediatamente le verità morali e le applica
mediante l’uso della ragione.
In generale si possono distinguere tre caratteristiche fondamentali alla base della
teoria realista razionalistica: essa riconosce l'esistenza di fatti e verità morali la cui
esistenza è indipendente dal nostro stesso pensiero morale, non vi è dunque alcun
riferimento a stati mentali soggettivi e tanto meno alle capacità che definiscono l'identità
pratica di un agente morale; si tratta poi di un tipo di metafisica non naturalistica, per cui i
fatti e le proprietà morali non sono riducibili a caratteristiche naturali; infine le verità
morali fondamentali sono riconosciute come auto evidenti e percepite attraverso
un'intuizione, senza bisogno di alcuna prova o argomentazione ulteriore.
3 Tale teoria è fatta risalire a Samuel Clarke con il suo Discorso sulle leggi immutabili della religione
naturale, (1706). La tesi fondamentale di Clarke afferma che vi sono certe relazioni necessarie ed eterne
tra le cose e che, in conseguenza di queste relazioni, alcune azioni sono adeguate o non adeguate e, a
seconda della situazione, alcune sarebbero più adeguate di altre. La critica di Kant ha però come
principale bersaglio il perfezionismo metafisico di Leibniz, il quale argomenta a favore di un ordinamento
morale stabilito, immutabile ed eterno, conoscibile dall'intelletto ma indipendente da esso.
L'intuizionismo di Moore ha aperto le porte per un'analisi realista contemporanea del discorso morale, in
particolare ponendo le basi della corrente analitica, ed è appunto questo intuizionismo contemporaneo
(portato avanti da autori come Prichard e Ross) che ha in mente Rawls nelle sue critiche. Interessante è
anche il dibattito tra il costruttivismo, rappresentato in particolare da Christine Korsgaard e il neorealismo
difeso da Thomas Nagel (Korsgaard, 1986, 1996, 1999, 2003; Nagel, 1986).
4 In particolare Leibniz, Discorso di metafisica, 1686 e Samuel Clarke, Discorso sulle leggi immutabili
della religione naturale, 1706.
7
1.1.1 L'ACCUSA DI ETERONOMIA
Il costruttivismo kantiano si propone come modello etico alternativo nel tentativo di
formulare una concezione di oggettività che prescinda da questi tre punti. Al fine di
comprendere la proposta costruttivista è indispensabile avere chiara l'accusa di eteronomia
che Kant formula nei confronti dell'intuizionismo nella versione di Leibniz.
Il perfezionismo metafisico di Leibniz si fonda su una prospettiva creazionista per
la quale l’autore arriva a sostenere, riguardo all’esistenza di un ordine morale, che esso è
fisso e dato dalla natura divina, un ordine precedente a noi e
indipendente da noi che deriva dalle perfezioni divine, e questo
ordine significa gli ideali e le concezioni morali appropriate per le
virtù umane, e le ragioni dei principi del giusto e della giustizia.5
L’uomo dunque, attraverso un corretto uso dell’intelletto, non può fare altro che
intuire tale ordine come supremamente autorevole in quanto riflesso della perfezione
divina. La ragione viene intesa come puramente strumentale in quanto il suo unico compito
è quello di applicare in maniera adeguata i principi conosciuti dall’intelletto.
E’ proprio su questo punto che prende le mosse la critica di Kant il quale accusa
l’intuizionismo di eteronomia.
La volontà sarebbe cioè spinta all’azione da principi che le sono esterni, ma
qualunque principio esterno non può motivare la volontà, che è supremamente autorevole,
ad agire, quindi, come Kant sostiene nella Critica della Ragion Pratica:
L’autonomia della volontà è l’unico principio di ogni legge morale,
e dei doveri a questa legge conformi: ogni eteronomia dell’arbitrio,
per contro, non solo non fonda alcuna obbligatorietà, ma anzi, è
contraria al suo principio e alla moralità del volere(...) Se dunque,
nella legge pratica si introduce, come condizione della sua
possibilità, la materia del volere(...) ne deriva un’eteronomia
dell’arbitrio e cioè la dipendenza dalla legge della natura.6
L’accusa di eteronomia dipende da una considerazione circa la natura pratica della
ragione la quale non è rivolta al riconoscimento di un ordine di verità morali prestabilito,
ma, in quanto pratica, ricopre una funzione attiva che ha risvolti immediati per la
5 Rawls, 2004, p. 120. Cit. da Leibniz, 1686.
6 Kant, 2004, p. 67.
8
deliberazione. 7 Essa non è determinata da fini già dati, ma costruisce da se stessa i propri
fini attraverso la procedura dell'imperativo categorico. Essa dunque non è inerte ma guida
la condotta, il suo scopo non è solo conoscitivo, infatti, essa risolve problemi pratici che si
pongono riguardo all’azione e alla deliberazione.
La regola pratica è dunque incondizionata, ed è pertanto
rappresentata come una proposizione pratica categorica a priori.8
La procedura dell'imperativo categorico è a priori, essa sintetizza tutte le
caratteristiche della ragione pratica (autonomia, capacità di auto-legislazione). Non è
dunque costruito ma scoperto attraverso un'indagine riflessiva sulle facoltà della ragione
umana. L'imperativo categorico pone vincoli che sono a priori in quanto riflettono i
requisiti della stessa ragione ma, a sua volta, produce conoscenza in quanto, in base alla
procedura si costruiscono i fini che si possono considerare morali.
Kant si oppone ad un particolare tipo di scetticismo, insito nelle teorie intuizioniste,
che tendono a considerare la ragione come inerte. Attraverso la sua argomentazione,
dimostra come, di fatto, la ragione possa essere considerata come un movente soggettivo.
Proprio in quanto il razionalismo intuizionista ritiene che le verità morali già date e
indipendenti, non è in grado di rendere conto dell’oggettività della ragione pratica. È
costretto, cioè, a trattare morale come eteronoma e non oggettiva. L'unica funzione che
l’intuizionismo può riconoscere alla ragione sarebbe quella di presentare imperativi
ipotetici, a partire da verità scoperte dall'intelletto.
7 Il termine “eteronomia” è posto in contrasto con l'autonomia della volontà che è concepita come “la
costituzione della volontà per cui essa (indipendentemente da ogni altra costituzione dell'oggetto esterno)
è legge a se stessa” (Kant, 2007, p.115) La volontà si presenta come eteronomia quando cerca la propria
legge al di fuori di se stessa nella costituzione di qualche suo oggetto.
8 Kant, 2004, p. 61.
9