smo, libro misteriosofico in grado di disvelare i segreti della natura, viaggio
avventuroso dellŠanima attraverso le rovine dellŠantico, fra enigmi geroglifi-
ci e misteriose epigrafi, l’Hypnerotomachia Poliphili è tutto questo e molto
ancora.
Si tratta forse del più celebre, enigmatico e affascinante libro illustrato
uscito dall’officina di Aldo Manuzio. Fin dalla prima pubblicazione - avve-
nuta a Venezia nel 1499 - l’incunabolo ha sorpreso i lettori per i mirabili
disegni, per il linguaggio arduo e decadente e la molteplicità dei significa-
ti. Già il titolo necessita di una spiegazione, Hypnerotomachia vuol dire,
da una combinazione di tre vocaboli greci, combattimento d’amore in sogno
(hypnos, sogno; erotos, d’amore; mache, lotta). Poliphilo è genitivo latino
di un nome di persona, ricavato anch’esso da etimi greci: di Polifilo. Ma
Poliphilos significa anche amante di Polia, che risulta essere la protagoni-
sta della pugna d’amore in sogno, ma anche figura allegorica, simbolo della
spienza. L’intestazione della seconda edizione veneziana del 1545 recita: «La
Hypnerotomachia di Poliphilo, cioè pugna d’amore in sogno».
Nonostante l’uso massiccio di parole latine e greche che costrinse l’editore
ad utilizzare, oltre al carattere ’romano’ 115R, anche il tipo 84 Gr (greco),
il testo è scritto in volgare ma un volgare di difficile lettura, aristocratico e
ricercato al punto tale da divenire in alcuni punti quasi incomprensibile, di
certo ambiguo.
Le citazioni, numerose, rendono omaggio alle maggiori opere del passato,
Plinio, Cicerone, Apuleio, Platone, ma anche a quelle della tradizione più
vicina all’autore quali Dante, Petrarca e Boccaccio2. Di certo colui che intra-
prese l’opera immane di composizione dell’Hypnerotomachia Poliphili doveva
possedere una cultura sterminata.
La forma letteraria prescelta per la stesura del racconto è quella del ro-
manzo visionario, derivante dalla tradizione medioevale. Ma accanto al sogno
come irrealtà, o comunque zona labile di confine tra i due mondi umano e
divino, che permette di far vivere al protagonista vicende eroiche, favolose
e idilliche accanto a creature mitologiche, ritroviamo il sogno come utopia o
progetto ideale, seguente i canoni tipici rinascimentali. L’Hypnerotomachia
Poliphili diviene così uno snodo essenziale per gli studi sul Rinascimento
italiano poiché sembra averne assorbito l’intera parabola.
Nel presente lavoro affronteremo in primo luogo la questione ancora oggi
dibattuta sull’enigmatico autore dell’opera, analizzando quelle che sono le
2Emerge una certa dimestichezza con Omero e i classici greci. L’autore del Polifilo si
rivela ancora sensibile a molti aspetti della cultura medioevale, da Andrea Cappellano ad
Alano da Lilla al patrimonio tardoantico, costituito essenzialmente da Apuleio, Macrobio,
Servio Marziano Capella e Calcidio, tutti fra l’altro neoplatonici, fruito proprio secondo il
canone della sapienza medioevale.
iii
maggiori e più note proposte degli interpreti. Vedremo in seguito il luogo e
il tempo in cui si realizzò il progetto di Aldo Manuzio, lo sviluppo della sua
tipografia, l’impegno umanista e le relazioni che intercorsero tra quest’ultimo
e la pubblicazione del Polifilo. Successivamente tratteremo delle immagini e
dell’aspetto estetico dell’opera tentando di dare una giustificazione alle di-
screpanze che si possono riscontrare tra immagini e testo, soffermandoci pure
sui geroglifici e i technopaegnia tipografici. La parte centrale si prefigge come
scopo quello di chiarire il significato del sogno ed il valore sapienziale attri-
buito ad esso fin dall’antichità, e le premesse che costituiscono il fondamento
del presente romanzo visionario. Si compirà poi un ‘‘salto” cronologico di
diversi secoli per approdare a quella terra fertile di studi novecenteschi sul
sogno che apre nuove prospettive. Nella parte conclusiva si prenderà libera-
mente spunto dall’analisi che la Von Franz ha eseguito sulle Metamorfosi di
Apuleio3; come la studiosa anche noi daremo valore al contenuto del testo,
attribuendogli i connotati tipici del sogno realmente sognato, tenteremo di
focalizzarne alcuni punti chiave 4 che permetteranno di compilare una sorta
di profilo psicologico di chi scrisse l’Hypnerotomachia.
3M.L. Von Franz, L’asino d’oro, Torino, Bollati Boringhieri, 1997.
4
In particolare la «Magna porta» che costituisce il varco, l’entrata, nel vero mondo
della fantasia del sogno, la figura di Polia, espressione della parte femminile dell’autore e
il matrimonio mistico che la unirà per sempre all’amato Polifilo, proiezione onirica dell’Io
di chi compose il racconto.
Capitolo 1
IL POLIFILO E IL SUO
AUTORE
La querelle intorno all’identità dell’autore dell’Hypnerotomachia Poliphi-
li, ha da sempre costituito un punto di grande interesse per la critica. Chi
fu l’enigmatico artefice del romanzo di Polifilo, ovvero il Poliaephilos, cioè
l’amante di Polia? Come si legge nella prefazione latina, scritta da Leo-
nardo Grassi in forma di lettera dedicatoria a Guidobaldo di Montefeltro,
duca di Urbino, è sconosciuto il nome dell’autore dell’opera. Fu proprio il
Grassi, protonotaro apostolico, a promuovere la divulgazione di questo libro
parente orbatus, sostenendone almeno nominalmente le spese di pubblicazio-
ne e affidandolo alla protezione del principe umanista urbinate. Tuttavia, fin
dal Cinquecento alla critica risultava noto un altro nome fondamentalmente
congiunto all’Hypnerotomachia Poliphili, e cioè quello di un tale Francesco
Colonna celato in aenigmate all’interno del libro stesso. Infatti le iniziali figu-
rate dei trentotto capitoli in cui risultano divisi consecutivamente i due libri
che compongono l’Hypnerotomachia Poliphili, escludendo tuttavia la prima
lettera, se lette di seguito, rendono una frase compiuta e precisamente la
seguente: «Poliam Frater Franciscus Columna Peramavit» (Frate Francesco
Colonna amò intensamente Polia).
Dall’acrostico il frate Francesco Colonna risulta essere l’amante di Polia,
cioè il Poliaephilos di cui sopra e quindi anche il protagonista della battaglia
d’amore in sogno. La critica ha sempre creduto di intravedere in questa
celata dichiarazione pure il nome dell’anonimo autore.
Questo si può affermare con sicurezza anche dopo aver letto il carme di
Giovan Battista Scita che identifica Polifilo come l’autore del libro. Certi
di poter trovare nuove prove all’interno dell’opera stessa che risulta esse-
1
2 1. IL POLIFILO E IL SUO AUTORE
re «straordinariamente parlante del proprio autore» 1, gli studiosi hanno
di recente effettivamente compiuto un’interessante scoperta. Nell’ultimo dei
componimenti che troviamo in apertura al racconto, il poeta, Andrea Marone
Bresciano, in un dialogo con la Musa si sente rispondere da questa che né
lei, né le sorelle, vogliono che il vero nome di Polifilo sia conosciuto: «nolu-
mus agnosci»2 . Tale frase risulta essere perfettamente anagrammabile3 in
COLUMNA GNOSIUS. Nuovamente osserviamo comparire il nome Colonna
e difficilmente si potrà trattare di una semplice coincidenza ma di un raffi-
nato ludus allusivo che con ogni probabilità Andrea Marone inserì di propria
iniziativa o d’accordo con l’autore. Chi fu allora questo Francesco Colonna
amante di Polia, dunque il nostro Polifilo?
A questo punto la critica si spacca in due filoni: il nome che compa-
re potrebbe indicare realmente colui che scrisse l’Hypnerotomachia Poliphili
oppure il nome costituirebbe la copertura per un personaggio assai più illustre
che attraverso tale pseudonimo avrebbe potuto rimanere nell’anonimato.
Nel presente lavoro veranno analizzate in un primo momento le tesi di
Casella-Pozzi-Ciapponi e di Calvesi che partendo dall’acrostico hanno rico-
struito le vicende biografiche di due personaggi che vissero a cavallo tra il
XIV e XV secolo e che possedevano entrambi il nome di Francesco Colonna.
Successivamente vedremo come la critica più recente, sicura dell’inconsisten-
za delle tesi più autorevoli dei due Colonna e fiduciosa del fatto che colui che
compose l’Hypnerotomachia Poliphili dovesse essere un letterato, un artista
o comunque un grande umanista, abbia tentato altre vie.
Questa breve rassegna non si propone certo come fine quello di apportare
nuove scoperte, ma cercherà semplicemente di riportare le varie tesi nel modo
più oggettivo possibile, riservandosi tuttavia la possibilità di fare commenti
e manifestare alcuni interrogativi.
Una breve riflessione comunque andrà fatta prima di iniziare la nostra
trattazione; nella lettura dei vari testi critici una cosa ha colpito chi scrive: i
vari esegeti nel corso degli anni hanno intrapreso vere e proprie ‘‘battaglie”,
senza esclusioni di colpi, sminuendo il lavoro avversario senza ritegno, arri-
vando fino a mettere in dubbio l’autenticità dei documenti raccolti. L’unica
cosa che bisognerebbe sempre tenere bene alla mente è che nessun documen-
to in nostro possesso risulta essere assolutamente probante. Il mistero che
avvolge da sempre questo testo della letteratura rinascimentale è stato, è e
sarà sempre destinato a rimanere tale. E forse sta proprio in questo il segreto
del suo fascino inestinguibile.
1F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, a cura di M. Ariani e M. Gabriele, Milano,
Adelphi, 2004, p. LXIII.
2
Ibid., p. 8.
3Senza cioè che avanzi alcuna lettera.
1.1 Francesco Colonna frate veneziano 3
1.1 Francesco Colonna frate veneziano
La tesi che più è stata sostenuta in passato, ma che anche in perio-
di più recenti risulta essere la più seguita, come mostra l’ultima edizio-
ne dell’Hypnerotomachia Poliphili edita Adelphi, è quella che riconosce in
Francesco Colonna, frate veneziano, l’autore del Sogno di Polifilo.
La teoria nasce dalla collaborazione di Pozzi, Casella e Ciapponi4 e sem-
brerebbe essere la più accreditata anche perché si avvale di un buon plateau
documentario. La biografia del frate - umanista, veneto, vissuto a cavallo dei
due secoli, implicato in vicende scandalose, legato a Treviso - oltre ad alcuni
documenti che analizzeremo tra breve, sembrano fornire le prove necessarie
in grado di legarlo all’opera.
Riportiamo i momenti essenziali della sua biografia, frutto del paziente
lavoro di ricostruzione della Casella. Egli nacque a Venezia nel 1433, e vi
morì nel 1527. Un documento datato 2 dicembre 1471 registra per la prima
volta la sua presenza nel convento dei Santissimi Giovanni e Paolo: frater
Franciscus Colona de Venetiis. Poco prima, nel 1465, lo troviamo sacerdote a
Treviso dove il suo nome appare negli atti del convento domenicano. Nel 1473,
Colonna ottiene il baccalaureato di teologia presso l’Università di Padova, e
nella città veneta probabilmente risiede per un certo periodo.
Nel 1477, per ordine del generale dei domenicani, viene cacciato dal con-
vento per motivi a noi sconosciuti. Lo ritroviamo a Venezia nel 1481, dove
pare essere stato del tutto riabilitato: qui esercita col titolo di magister an-
ch’esso conseguito probabilmente a Padova. Nel ’93 è predicatore a San
Marco, nel ’96 priore, tutto questo periodo lo trascorre nel convento di San
Zanipolo, senza che però i documenti testimonino niente di più che la sua
vita conventuale.
Verso la fine dell’anno 1500 ottiene il permesso di risiedere fuori dal con-
vento. Nel 1512, tuttavia, viene riammesso e dal 1515 si trova a Treviso e
risiede presso il chiostro di San Nicolò. L’anno successivo deve recarsi Vene-
zia per difendersi dall’accusa di aver «sverginata una putta» e probabilmente
condannato poiché viene confinato a vita a Treviso. Pochi anni dopo ricom-
pare a San Zanipolo dove è incaricato di insegnare grammatica ai novizi e
4Giovanni Pozzi, insieme a Lucia Ciapponi, ha curato le edizioni padovane
dell’Hypnerotomachia Poliphili, Antenore, 1964 e 1980; l’edizione del 1980, alla cui pre-
messa si fa riferimento, è una ristampa anastatica in formato ridotto con correzioni e
aggiornamento bibliografico, a cui si rimanda. Si veda inoltre M.T. Casella e G. Pozzi,
Francesco Colonna. Biografia e opere, Padova, Antenore, 1959, 2 voll. La documentazione
su cui Giovanni Pozzi si basa è inoltre riportata in un altro suo libro: Sull’orlo del visi-
bile parlare, Milano, Adelphi Edizioni, 1993, in cui il critico confuta l’interpretazione del
Polifilo data da Maurizio Calvesi.
4 1. IL POLIFILO E IL SUO AUTORE
più tardi anche di dirigere i lavori di restauro del convento. Altri contrasti
segnano la parte conclusiva della sua lunga esistenza, come nel ’24 l’oscura
accusa a suo danno di un gioielliere. Muore nel luglio o nell’ottobre del 1527.
I primi indagatori della biografia del frate veneziano, cioè l’architetto
veneziano Temanza (nato nel 1705) e Domenico M. Federici, canonico di
Treviso, tra il XVIII secolo e gli inizi del XIX mescolarono poi ai dati docu-
mentari ipotesi immaginose: da un lato, gli attribuirono lunghi viaggi persino
in Oriente, dall’altro ritennero che fosse imparentato con i principi Colonna
di Roma.
Da ciò che si può trarre invece dagli studi di Casella-Pozzi-Ciapponi, è
da escludere che il frate veneziano abbia viaggiato; ciò sembra effettivamente
probabile, dato il fitto contesto documentario che ne dimostra la continua
presenza nel Veneto e dato il fatto che i suoi spostamenti venivano registrati.
«Si è stretta», scrive il Pozzi, «una fitta rete cronologica, che non lascia più
spazio alle fantastiche trovate di viaggi in Oriente o di ricerche archeologiche
a Roma o simili: il Colonna è un veneziano che vive nel Veneto»5. Ed
essi escludono anche la parentela con i principi di Roma, osservando che,
a Venezia, il nome Colonna era stato introdotto e diffuso da magistrati e
mercanti che non avevano alcun rapporto con i Colonna romani.
Dunque, abbiamo un personaggio che porta il nome giusto di Francesco
Colonna, la sua biografia ci dice che è un religioso, tuttavia un religioso un po’
fuori del comune, inquieto e insofferente nei confronti dell’autorità religiosa
e che spesso si trova implicato in vicende scomode che ne compromettono
la posizione. Dotato comunque di grande forza d’animo o di conoscenze
azzeccate, dato che sempre in qualche modo egli risulta essere riabilitato.
Possediamo solo un po’ di ‘‘gossip” rinascimentale e queste incerte informa-
zioni biografiche? No di certo, la tesi di Casella-Pozzi-Ciapponi è sostenuta
da una serie di prove documentarie ed un’approfondita analisi linguistica
condotta dal Pozzi che mostrerebbe come il volgare del Polifilo sia intriso di
caratteri settentrionali e, in certi casi, tipicamente veneti. Tutto ciò porte-
rebbe ad eliminare ogni dubbio circa l’ambito di provenienza dell’autore del
Polifilo legandolo indissolubilmente all’Italia settentrionale. Ma procediamo
con ordine, partendo dai documenti.
Esiste una nota scritta del letterato settecentesco Apostolo Zeno il qua-
le riferisce di aver letto all’interno di un esemplare dell’Hypnerotomachia
Poliphili un’annotazione manoscritta in cui si affermava che l’autore fosse
un tale Francesco Colonna, del convento dei Santissimi Giovanni e Paolo.
5F. Colonna, Hypnerotomachia Polophili, edizione critica e commento a cura di G. Pozzi
e L.A. Ciapponi, Padova, Antenore, 1964; M.T. Casella - G. Pozzi, Francesco Colonna.
Biografia e opere, 2 voll., Padova, 1959, II, p. 10.
1.1 Francesco Colonna frate veneziano 5
Riportiamo il passo:
MDXII Juni
Nomen verum auctoris est Franciscus Columna Venetus, qui fuit
ordinis praedicatorum, et dum amore ardentissimo cuiusdam Hip-
politae teneretur Tarvisii, mutato nomine, Poliam eam autumat,
cui opus dedicat, ut patet: librorum capita hoc ostendunt, pro
unoquoque libro prima littera: itaque simul junctae dicunt: Po-
liam frater Franciscus Columna peramavit. Adhuc vivit Venetiis
in SS. Johanne et Paulo6.
L’autenticità del documento è stata contestata diverse volte, in partico-
lare da Calvesi7 ed in effetti qualche dubbio permane; solo per citarne uno
la copia dell’Hypnerotomachia Poliphili letta dallo Zeno non è mai stata re-
cuperata. Casella-Pozzi da parte loro hanno sempre difeso la veridicità della
scritta dello Zeno, adducendo come giustificazione l’inutilità che avrebbe rap-
presentato per il letterato riportare il falso, in un periodo, circa il 1723, nel
quale non era in corso alcun dibattito sull’Hypnerotomachia Poliphili 8 . Il
fatto stesso che l’annotazione riporti alcune imprecisioni, come l’identifica-
zione dell’amata di Polifilo, Polia, con una certa Ippolita, quando sappiamo
dal testo stesso, attraverso le parole della protagonista femminile, che il suo
vero nome era Lucrezia, sembra confermarne l’autenticità. Solitamente i falsi
denunciano la loro apocrificità con l’eccessiva perfezione che li contraddistin-
gue, le incertezze del documento quindi avrebbero tutto il carattere di una
scoperta inaspettata9.
Di fondamentale importanza sono anche le testimonianze del letterato
domenicano Leandro Alberti e di Matteo Visconti da Brescia, provenienti
il primo dagli ambienti in cui il Colonna veneziano visse, ossia l’ambiente
monastico, l’altro legato al circolo culturale di Aldo Manuzio.
Nel De viris illustribus ordinis praedicatorum (1517)10, l’Alberti scrive
che un certo Francesco Colonna manifestò la propria capacità letteraria e il
proprio molteplice ingegno in un libro in volgare
Franciscus Columna venetus...vero in quodam libro materno ser-
mone editum litteraturam et varium ac multiplex ingenium suum
praesefert.
6A. Zeno, in «Giornale de’ letterati d’Italia», XXXV (1723), Venezia 1724, p. 300-1.
7M. Calvesi, «Il falso di Apostolo Zeno», ne Il Sogno di Polifilo Prenestino, Roma,
Officina Edizioni, 1980, pp. 25 ssg.
8Vedremo invece come la pars destruens delle argomantazioni del Calvesi affermi che
tale polemica stava effettivamente svolgendosi.
9Cfr. Ariani - Gabriele, op. cit., pp. LXVI-LXVII.
10J. Echard, Sciptores Ordinis Praedicatorum recensiti, II, 1721, p. 35.
6 1. IL POLIFILO E IL SUO AUTORE
Il carme dedicatorio di Matteo Visconti, invece, presente però soltanto nella
copia della Staatsbibliothek di Berlino, parla di «Francisco alta columna»,
presentato quale autore del libro.
Vediamo ora cosa sia possibile dedurre da questi due scritti: in primo
luogo per meritarsi una citazione dall’Alberti, che lo colloca tra altri illustri
letterati dediti tutti a humaniora studia, si potrà ipotizzare che anche il Co-
lonna possedesse una formazione umanistica11. Il fatto poi che si parli di lui
come autore di un libro senza specificarne il titolo potrebbe forse significare
una comune conoscenza all’interno dell’ordine del testo, talmente particolare
da non poter essere confuso con alcun altro. Siamo ancora lontani dalla Con-
troriforma e dal clima di terrore rappresentato dall’Inquisizione. A questo
proposito ci sarà utile citare un’ulteriore testimonianza che mostra quanto
fosse ancora liberale l’ambiente domenicano. Di recente Enrico Fumagalli12
ha rinvenuto un sonetto contenuto in un esemplare del Polifilo custodito nella
University Library di Cambridge. Tale sonetto, datato dallo stesso conven-
to domenicano dei Santi Giovanni e Paolo l’anno 1518 e firmato dall’allora
sedicenne novizio Sisto Medici, riassume e celebra i contenuti del testo, at-
tribuendone la paternità a Francesco Colonna, «Francesco de virtù fermula
colonnula / ti scrisse»13.
Il fatto che un libro come Hypnerotomachia Poliphili comparisse fra le
mani dello storico dell’ordine, Leandro Alberti, e contemporaneamente sul
leggio di un novizio, confermerebbe la teoria della positiva fortuna del roman-
zo entro l’ordine di appartenenza, tale da non dover neppure essere citato col
titolo intero. Di nuovo nessun riferimento esplicito al nome del racconto nel
documento dell’Archivio Generalizio domenicano nel convento di Santa Sa-
bina in Roma, datato 5 giugno 1501, del Maestro Generale dei domenicani
Vincenzo Bandello. In tale scritto si ingiunge al Colonna di saldare il debito
col padre provinciale per le spese sostenute per pubblicare un libro a stampa,
«solvere expensas quas fecit provincialis occasione libri impressi»14.
Potrebbe essere forse questo un riferimento importante poiché vedrebbe il
Colonna impegnato nella partecipazione delle spese di stampa che il Grassi,
per sostenere la finzione letteraria del manoscritto ritrovato, parente orbatus,
arrogava completamente a sé.
Inoltre, esistono alcuni epigrammi quattrocenteschi rivolti ad un France-
sco Colonna. Il Colocci (1474 - 1549) ne raccoglie due, in cui si loda questo
Francesco per aver riunito in sé le qualità di Virgilio e di Cicerone.
11Cfr. Ariani - Gabriele, op. cit., pp. LXVIII-LXIX.
12
Il sonetto è stato pubblicato da E. Fumagalli: Due esemplari dell’Hypnerotomachia
Poliphili di Francesco Colonna, Aevum, 66, 1992, pp. 419 sgg.
13G. Pozzi, Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi, 1993, p. 115.
14Casella - Pozzi, op. cit, vol. I, p. 124, doc. 50.