Un ulteriore elemento di interesse dell’opera darwiniana risiede nella sua estrema
complessità e nella presenza di contraddizioni ed ambiguità non risolte, in grado di prestarsi
ad interpretazioni e ad usi tanto scientifici quanto politico-sociali radicalmente differenti. Tra
tali elementi problematici emergono in special modo i concetti di progresso e di prevedibilità
del processo evolutivo: quanto al primo, anche se l’evoluzione per selezione naturale non
implica necessariamente il realizzarsi di un avanzamento generale, Darwin manifestò di
condividere la fiducia vittoriana nella possibilità di un perfezionamento complessivo, costante
e graduale della vita; quanto al secondo, lo scienziato operò una fondamentale distinzione tra
leggi invarianti, che governano in modo prevedibile le strutture generali della natura, e
particolari contingenti, frutto dell’azione del caso.
Storicamente, tra le molteplici letture del pensiero darwiniano emergono due prospettive
divergenti, l’una definibile ortodossa o fondamentalistica, l’altra pluralistica o indeterministica
(si veda il capitolo 3); esse appaiono di particolare rilevanza per le loro implicazioni scientifiche
e politico-sociali e per le specifiche concezioni della vita e della storia da esse promosse.
L’interpretazione ortodossa o fondamentalistica del darwinismo presenta l’evoluzione come
uno sviluppo costante, lineare e graduale verso una sempre maggiore complessità, diversità ed
eccellenza; tale processo sarebbe inevitabilmente diretto alla comparsa dell’uomo - massima
espressione della perfezione naturale - e governato da principi evolutivi necessari, di cui
l’esistente, dunque, è un prodotto preordinato e prevedibile. In ambito scientifico, tale
prospettiva risulta funzionale a tesi evoluzionistiche gradualistiche, deterministiche e
riduzionistiche, per le quali l’evoluzione è un processo continuo, progressivo e cumulativo
interamente determinato da un numero minimo di meccanismi generali di cui tutti i fenomeni
evolutivi e biologici non sono che epifenomeni necessari, anticipatamente deducibili; in questo
contesto si collocano la teoria sintetica e l’ultradarwinismo (posizioni descritte nei capitoli 3.2 e
3.3), caratterizzati dalla preferenza per la continuità evolutiva, dall’elezione della selezione
naturale agente sulla genetica popolazionistica a unica causa, ottimizzante e direzionale, di
evoluzione, dalla tendenza ad interpretare ogni fatto naturale come un adattamento plasmato
dalla selezione naturale per specifiche funzioni. In ambito polico-sociale, la lettura
convenzionale del darwinismo si presta a sostenere posizioni conservatrici (alcune delle quali
sono state illustrate nel capitolo 3.1) per le quali la realtà umana, alla stregua del mondo
naturale, è retta da leggi evoluzionistiche ineluttabili che, favorendo la sostituzione degli
individui inferiori (primitivi, inadatti) con individui superiori (progrediti, adatti), garantiscono
un miglioramento generale della società; quest’ultima appare perciò come un riflesso esatto,
naturale e necessario della biologia, e le disparità, le discriminazioni e le gerarchie sociali
risultano scientificamente legittimate.
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A tale visione, dalle evidenti implicazioni deterministiche e giustificazionistiche, si
contrappone un’interpretazione innovativa, pluralistica ed indeterministica del darwinismo,
per la quale la realtà è il frutto, spiegabile a posteriori ma non prevedibile a priori, di un
processo di trasformazione dal carattere cieco e multifattoriale, al quale concorre una
molteplicità di cause differenti e non direzionali e di elementi caotici e casuali. In ambito
scientifico, tale prospettiva è promossa dal naturalismo (oggetto del capitolo 3.3): opponendosi
esplicitamente all’ultradarwinismo, i naturalisti sostengono il carattere discontinuo, non
lineare, non progressivo e non direzionale dell’evoluzione (che assume così lo status di un
processo storico multicausale ed ampiamente soggetto alla contingenza, dai risultati irripetibili
ed imprevedibili); essi inoltre ritengono che la selezione naturale agente sulle popolazioni sia
un motore necessario ma non sufficiente dell’evoluzione, alla cui realizzazione contribuiscono
ulteriori meccanismi, materialistici ed afinalistici come il principio darwiniano ma non
riducibili ad esso, operanti ai diversi livelli della natura biologica; questa, poi, presenta per loro
una struttura complessa, gerarchica e discreta, comprendendo entità reali e distinte ma
interconnesse, non interpretabili semplicisticamente quali adattamenti modellati dalla
selezione naturale per promuovere il successo riproduttivo e la trasmissione genetica. In
ambito politico-sociale, la proposta naturalistica, fondata sulla nozione di contingenza quale
essenza della storia e della storia quale principale determinante dell’evoluzione della vita,
porta al riconoscimento della varietà irriducibile e della non necessità della realtà umana:
questa è non il frutto necessariamente determinato ed immodificabile di leggi naturali
invarianti, ma è anzi il risultato contingente di un’evoluzione – certamente biologica, ma anche
culturale – caratterizzata dall’interazione complessa tra biologia ed ambiente, dal concorso di
fattori causali non rigidamente necessitanti né direzionali, dall’intervento di elementi casuali.
Ciò impedisce ogni giustificazionismo deterministico, ogni tentativo di legittimare
scientificamente lo status quo presentando le disparità sociali quali risultati naturali ed
immodificabili di principi necessari: l’uomo, in quanto animale, è senz’altro limitato dalla
biologia, ma non interamente e necessariamente determinato da essa; la cultura esercita
un’influenza importante sulla natura e sulle istituzioni umane, che possono dunque essere
modificate e migliorate da adeguati interventi sociali, politici ed educativi.
Quale principale autore di riferimento, è stato scelto lo scienziato statunitense Stephen Jay
Gould (1941-2002), uno dei maggiori esponenti della corrente naturalistica. La produzione
gouldiana è indicativa di un notevole eclettismo culturale: lo scienziato affronta ed espone, con
rigore e chiarezza, una pluralità di temi scientifici, rivelando al contempo una profonda
conoscenza umanistica.
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Particolarmente stimolanti, ai fini dello sviluppo del presente lavoro, sono risultate le
riflessioni di Gould circa la natura della scienza (che viene presentata dallo scienziato come
un’impresa essenzialmente umana, inserita nella storia e culturalmente influenzata), la sua
netta opposizione all’ingerenza totalitaria della religione nella scienza ed in particolare alle
pretese scientifiche del fondamentalismo creazionista, la sua lotta contro il darwinismo
ortodosso e fondamentalista e contro gli abusi sociali e politici che esso ha generato, la sua
difesa di un’interpretazione non antropocentrica della storia della vita, fondata sulle nozioni di
pluralismo causale, di indeterminismo e di contingenza storica.
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1. Rivoluzioni scientifiche e storia del pensiero
Nella storia del pensiero scientifico-filosofico occidentale, tre eventi hanno dato un
contributo particolarmente rilevante all’abbattimento della concezione antropocentrica e di
alcune tradizionali e radicate certezze umane:
1.1) la rivoluzione copernico-galileiana, in ambito fisico-astronomico;
1.2) la rivoluzione darwiniana, in ambito biologico;
1.3) la rivoluzione freudiana, in ambito psicoanalitico.
1.1) Rivoluzione copernico-galileiana
Mikołaj Kopernik (latinizzato in Copernico: 1473-1543) è ricordato tra le figure di spicco della
rivoluzione scientifica, cioè di quel complesso di eventi che, a partire dalla seconda metà del
XVI secolo e nell’arco di circa centocinquant’anni, portarono alla nascita della scienza moderna;
da tale processo, la scienza emerse come un sapere sperimentale, fondato sull’osservazione e
sull’esperimento controllato, matematico ed intersoggettivo. Al nome di Copernico è associata
la proposta di un universo eliocentrico, proposta che egli sostenne contrapponendola alla
dominante tesi geocentrica e che non solo contribuì a riformare l’astronomia, ma che
rappresentò anche una sfida aperta alla tradizione antropocentrica, culturale e religiosa, con
profonde ripercussioni sullo sviluppo intellettuale e valoriale dell’uomo occidentale.
Numerosi sono comunque gli elementi di continuità tra il pensiero di Copernico (il cui
sistema astronomico fu esposto organicamente nel De revolutionibus orbium coelestrium del
1543) e la cultura a lui precedente e contemporanea, e gli aspetti che suggeriscono la necessità
di valutare criticamente la reale portata rivoluzionaria delle dottrine copernicane, alla luce
dell’effettivo impatto che esse ebbero al tempo in cui furono proposte.
Copernico, in primo luogo, mutuò da antiche dottrine greche numerosi concetti cosmologici,
tra cui l’idea eliocentrica di un universo chiuso, finito, costituito da una serie di sfere cristalline,
fisiche, incorruttibili, rotanti, incentrate non sulla Terra ma sul Sole immobile, sulle quali
sarebbero infissi i pianeti, e il credo nella circolarità ed uniformità dei moti celesti; Copernico,
in prima persona, pareva considerare se stesso come un epigono dell’astronomia antica, che il
suo sistema avrebbe dovuto migliorare, e non sostituire con una rivoluzione radicale: lo
scienziato attaccò l’astronomia tolemaica, allora egemone, non tanto perché geocentrica, ma
piuttosto in quanto riteneva che essa, ricorrendo ad equanti, epicicli e deferenti, violasse il
principio fondamentale del moto celeste circolare ed uniforme.
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La prefazione della prima edizione del De revolutionibus, redatta dall’editore Andreas
Osiander e pubblicata anonima, presentò inoltre il sistema copernicano come una costruzione
meramente matematica e geometrica dell’universo, che servisse da base ipotetica per il calcolo
e che permettesse di salvare i fenomeni astronomici, di dare ragione di essi, di formulare
previsioni corrette, senza alcuna pretesa di rispecchiare la realtà fisica del mondo, e dunque
sostanzialmente indipendente da una determinata posizione filosofica o cosmologica; lo stesso
Copernico - per quanto le testimonianze in merito non siano esplicite né prive di ambiguità -
parve condividere tale prospettiva, sostenendo un’interpretazione puramente geometrica del
proprio sistema.
I metodi di calcolo proposti da Copernico, in generale, non fornivano poi risultati
numericamente migliori, più consoni con le osservazioni, rispetto ai metodi tolemaici, e
nemmeno consentirono una semplificazione del sistema astronomico.
Oltre a ciò, Copernico compì poche osservazioni, affidandosi sostanzialmente ai dati
empirici già disponibili.
In sostanza, le dottrine copernicane non portarono ad un mutamento radicale immediato nel
sistema astronomico correntemente accettato, e non incisero significativamente sull’attività
pratica degli astronomi.
Tuttavia, la successiva ricezione e rielaborazione dell’opera copernicana, soprattutto da
parte di Johannes Kepler e di Galileo Galilei, ebbero conseguenze realmente rivoluzionarie,
sviluppate poi esplicitamente da Isaac Newton.
Kepler (1571-1630) mosse dal copernicanesimo, di cui giunse però a rifiutare la maggior
parte dei principi, con l’eccezione degli assunti generali relativi all’immobilità del Sole e ai moti
della Terra. In Astronomia nova (1609), Kepler – che poté avvalersi dei dati d’osservazione
raccolti da Tycho Brahe (1546-1601) - volle proporre una fisica celeste dinamica, volta
all’indagine delle reali cause fisiche dei fenomeni, in luogo della tradizionale astronomia
cinematica, di matrice aristotelica, diretta alla descrizione dei moti tramite schemi puramente
geometrici. In particolare, Kepler (ispirato in ciò anche dalle tesi dello scienziato William
Gilbert (1544-1603), il quale concepì la Terra come un enorme magnete sferico) individuò nel
Sole la sede della forza, ritenuta di natura magnetica e concepita come funzione inversa della
distanza, che causa i movimenti dei pianeti; questi, come ogni altro corpo, risultano inerti e
richiedono, per mettersi e mantenersi in moto, l’azione di un motore, cessando la quale essi
pervengono alla quiete: tale prospettiva negava, evidentemente, il dogma aristotelico dei
luoghi naturali e la dottrina, ad esso associata, di uno spazio gerarchico. Accanto a ciò, Kepler
rigettò il tradizionale principio cosmologico della necessaria circolarità ed uniformità dei moti
celesti: nel sistema kepleriano, i pianeti descrivono orbite ellittiche di cui il Sole occupa uno dei
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due fuochi (prima legge di Kepler), muovendosi di moto non uniforme che si accorda alla legge
secondo cui il raggio vettore che unisce il centro del Sole con il centro del pianeta descrive aree
uguali in tempi uguali (seconda legge di Kepler); inoltre, i quadrati dei periodi di rivoluzione
dei pianeti sono direttamente proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle loro orbite
(terza legge di Kepler).
La maggior parte degli astronomi contemporanei ed immediatamente successivi a Kepler
(tra i quali Galilei) rifiutò il sistema da questi proposto (preferendovi spesso il sistema
vorticistico cartesiano): in particolare, l’ipotesi di moti celesti non circolari e non uniformi e di
forze solari in grado di agire a distanza incontrò notevole resistenza, e le leggi kepleriane
parvero in generale di scarsa utilità per la pratica astronomica. Un ulteriore ostacolo
all’accettazione dell’astronomia di Kepler era rappresentato dalla compresenza, in essa, di
nozioni fisiche e di principi mistici e animistici legati al misticismo dei numeri di cui il pensiero
kepleriano è soffuso.
A differenza di Kepler, Galilei (1564-1642) esercitò una notevole influenza sulla scienza del
suo tempo; la sua attività scientifica investì molteplici aree distinte, in particolare l’astronomia
telescopica, la scienza del moto, la matematica e la scienza sperimentale.
Un uso innovatore del telescopio consentì a Galilei di fornire un’immagine realistica del
cielo: egli scoprì, ad esempio, che la superficie lunare è rocciosa e corrugata come la superficie
terrestre, che la Terra risplende ed illumina la Luna, che Giove ha un sistema di quattro
satelliti, che Venere presenta fasi come la Luna ed orbita attorno al Sole e che questo presenta
macchie in superficie, e rese visibili innumerevoli corpi celesti, stelle e satelliti, sino a quel
momento mai visti da occhio umano. Tali scoperte minarono alle fondamenta il dogma
aristotelico dell’eterogeneità tra mondo sublunare (ritenuto imperfetto, mutevole, corruttibile)
e mondo sovralunare (ritenuto, al contrario, perfetto, immutabile, incorruttibile), e mostrarono
la fondatezza del copernicanesimo. Galilei non rinunciò comunque alla tradizionale tesi della
perfezione, circolarità e uniformità dei moti planetari, rifiutando le acquisizioni kepleriane.
Relativamente alla scienza del moto, Galileo introdusse numerosi leggi e principi (ad
esempio, scoprì l’isocronismo del pendolo, dimostrò che la velocità di caduta dei corpi in aria
non è proporzionale al loro peso e che la caduta libera è un caso di moto uniformemente
accelerato, introdusse il principio di indipendenza e di composizione delle velocità vettoriali,
adombrò il concetto di moto inerziale), nell’ambito di un’analisi che si mantenne però
puramente cinematica, tesa a descrivere il moto senza indagarne le cause dinamiche.
Galilei nutriva una fede realistica circa l’esistenza di un accordo tra struttura matematica, tra
ordine causale della realtà e forma matematica della conoscenza scientifica di essa, da
conseguirsi attraverso l’osservazione critica e l’esperimento (realmente eseguito o mentale):
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sostenne dunque la necessità di formulazioni matematiche, sperimentalmente fondate, dei
fenomeni, delle regolarità, delle leggi naturali, avanzando così una tra le principali istanze della
scienza moderna.
Inoltre, Galilei rivendicò l’autonomia della scienza rispetto all’autorità della tradizione,
tanto culturale quanto religiosa. Se in ambito filosofico Galilei contestò numerosi dogmi
aristotelici, nonché la diffusa tendenza ad anteporre la fedeltà ai testi all’osservazione diretta
della realtà, si mostrò più cauto circa il rapporto tra religione e scienza: nell’ottica galileiana,
esse hanno domini differenti, essendo la prima arbitra in ambito etico e finalizzata alla
salvezza, la seconda in ambito naturale e finalizzata alla conoscenza, ma un’unica origine
divina, e non possono dunque contraddirsi; se ciononostante un contrasto dovesse presentarsi,
in ambito naturale sarebbe la Bibbia a dover essere reinterpretata.
Presentando i tratti fondamentali della scienza moderna, e alla luce dell’enorme impatto che
esso ebbe sull’attività scientifica seicentesca e, per alcuni aspetti, successiva, il pensiero
galileiano può dunque essere considerato rivoluzionario, e Galilei uno dei maggiori
protagonisti della rivoluzione scientifica. La rivoluzione galileiana fu tuttavia incompleta, nella
misura in cui l’indagine del moto condotta da Galilei fu sostanzialmente cinematica e non
comprese un’analisi dinamica delle forze responsabili del moto stesso.
Fu con Newton (1642-1727) che il potenziale rivoluzionario presente nell’opera di scienziati
quali Copernico, Kepler e Galilei venne esplicitamente sviluppato, e la rivoluzione scientifica
giunse al suo compimento. Il pensiero newtoniano incarna le principali caratteristiche della
scienza moderna – l’istanza sperimentalista e l’esigenza di matematizzazione del sapere
scientifico; esercitò inoltre un’enorme influenza sull’effettivo sviluppo della scienza dei secoli
successivi, conquistando progressivamente a sé la comunità scientifica, ed ancor oggi,
nonostante numerosi concetti newtoniani siano stati superati da principi einsteiniani, la fisica
proposta da Newton continua ad essere utilizzata ed applicata in molteplici settori.
L’impegno rivoluzionario di Newton interessò ambiti scientifici eterogenei, particolarmente
la matematica, la dinamica e la teoria della gravitazione.
In ambito matematico, la rivoluzione newtoniana ebbe due aspetti fondamentali:
l’invenzione del calcolo infinitesimale e, soprattutto, l’applicazione della matematica alla fisica
e all’astronomia. Per quanto concerne il primo punto, Newton, pur non formulando un
algoritmo del calcolo infinitesimale, nell’analisi delle grandezze fisiche che variano con
continuità e delle loro variazioni istantanee fece ampiamente ricorso a procedimenti al limite.
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