conoscenza sull’ambiente, si adottassero comportamenti che se portati a termine con
successo avrebbero garantito la sopravvivenza. La conoscenza quindi ha una funzione
biologica in quanto serve a permettere alle altre funzioni biologiche dell’organismo di
svolgersi ottimizzando le altre funzioni dell’organismo, elaborando stimoli ricevuti
dall’ambiente attraverso i sensori e implementando una risposta adeguata attraverso gli
effettori sempre con il solo scopo della sopravvivenza.
La teoria evoluzionistica in questo campo ci aiuta a comprendere le strette affinità fra
tutti gli esseri viventi e le modalità attraverso cui le specie, ovvero l’insieme degli organismi
che hanno caratteristiche comuni e che possono incrociarsi fra di loro, si modificano e
evolvono per adattarsi all’ambiente, infatti l’evoluzione è il risultato dell’azione della
selezione naturale sulla diversità genetica: i singoli appartenenti ad una determinata
specie animale presentano delle notevoli differenze nel loro patrimonio genetico che fanno
sì che alcuni individui siano in possesso di certe caratteristiche per mezzo delle quali
saranno in grado di adattarsi particolarmente bene all’ambiente acquisendo maggiore
possibilità di sopravvivenza. Questo permette lo sviluppo di un’intelligenza che sarà
adattiva e che si manifesta nel comportamento in atto, ovvero nel rendimento della vita
quotidiana in cui cambiano le condizioni dell’individuo e dell’ambiente circostante
determinando cambiamenti sul livello di funzionamento dell’intelligenza stessa che in
questo modo diventa sia ereditaria che influenzabile dall’ambiente.
La visione quindi si basa sulla formulazione di ipotesi, ovvero inferenze non deduttive
inconsapevoli, le quali collegano gli stimoli agli oggetti che richiedono di andare al di là di
ciò che è dato dagli stimoli e che hanno luogo troppo velocemente e a un livello troppo
basso per essere accessibili all’introspezione diretta: in queste inferenze quindi le
premesse saranno costituite dagli stimoli e le conclusioni dalle ipotesi. La conseguente
formulazione di concetti aiuta a semplificare e a organizzare le nostre parole
consentendoci di ordinare gli eventi e gli oggetti in categorie i cui componenti hanno
qualcosa in comune: è improbabile così che i concetti vengano acquisiti passivamente
dalla ripetizione degli elementi dello stimolo, infatti gli esseri umani attivamente generano
e verificano ipotesi su quale siano gli eventi che si accordano tra di loro.
Questo modo di ragionamento è stato definito abduzione da C.S. Peirce (1839-1914),
il quale affermava che esiste un istinto nell’uomo di creare ipotesi corrette (lo definisce
precisamente ‘ guessing instinct ’) e quindi un istinto abduttivo che consente di stabilire
ragionando quale è l’ipotesi corretta da utilizzare. In vari scritti Peirce assegna diverse basi
e caratterizzazioni per l’abduzione e per l’istinto ipotizzante, precisamente divide tre distinti
ma intrecciati campi per giustificare l’istinto abduttivo: quello naturalistico (naturalistic),
quello idealistico (idealistic o metaphysical) e quello della giustificazione teistica ( theistic
justification). Attraverso la base naturalistica si intende l’istinto abduttivo come l’istinto che
gli animali posseggono per cercare il cibo e riprodursi e che ha un forte valore adattivo
strettamente collegato al campo idealistico che distingue la mente e la materia non
interamente, infatti tutti i fenomeni sono uno dei caratteri, sebbene alcuni siano più mentali
e spontanei e altri più materiali e regolari. Il campo metafisico è però un argomento
piuttosto vago per il fatto che se la mente umana si sviluppa sotto queste leggi che
governano l’universo, è ragionevole supporre che la mente abbia la tendenza a trovare
ipotesi vere che concernono l’universo: se la mente umana si è sviluppata sotto l’influenza
di tali leggi ci si potrà aspettare allora che avremo una luce naturale ( natural light) o genio
che tende a dare congetture come leggi giuste o quasi giuste e che suppone che esso sia
un fattore essenziale che ci aiuta a trovare le teorie. Il campo metafisico per l’abduzione è
intrecciato con quello che può essere chiamato argomento teistico: l’abduzione fa accenni
che direttamente arrivano dal caro e adorabile Creatore, infatti, questa è la parte
dell’intelletto umano che viene esposto all’influenza dell’Alto. L’argomento teistico è
piuttosto indefinito in quanto l’evoluzione da variazioni fortuite (tychastic evolution) o
l’evoluzione da una necessità meccanica (anancastic evolution) hanno bisogno di
un’evoluzione agapistica (agapastic evolution) ovvero di un’idea che la legge dell’amore è
operativa nel cosmo.
Questa tripartizione dell’istinto comporta però un’ulteriore divisione nell’ambito
dell’istinto naturalistico tra: istinto adattivo (adaptive istinct), intuizione percettiva
(perceptual insight) e ipotesi dotate di indizi non-consci (guessing with non-conscious
clues). Peirce concepisce l’istinto adattivo come l’istinto che possiedono gli animali per la
sopravvivenza in quanto l’essere umano possiede tendenze innate per la ricerca di teorie
vere che concerno specialmente la fisica e l’ambiente circostante: l’istinto in questo modo
può subire modificazioni e cambiamenti con l’aiuto di nuove esperienze che trasformano
così l’istinto in abitudine (habit) o disposizione. L’intuizione percettiva invece dà
importanza alla percezione in quanto i dati visivi che possono essere interpretati in modo
serio, sono casi estremi tra i giudizi percettivi e l’inferenze abduttive perché mostrano che
l’oggetto della percezione contiene elementi inferenziali o interpretativi. Allora se la
percezione dipende dalle inferenze abduttive, l’abduzione d’altra parte dipenderà dalla
percezione: infatti la percezione è una precondizione per l’inferenza abduttiva.
Come ultimo caso c’è quello delle ipotesi che si formano da indizi che non sono consci le
quali ci rendono abili nel percepire i cambiamenti degli stimoli solo quando non siamo
consci di tali cambiamenti: se osserviamo i cambiamenti degli stimoli usando indizi
subconsci più spesso di ciò che ci si dovrebbe aspettare dai puri cambiamenti, in questo
modo l’istinto lavorerà spontaneamente. Peirce unisce così l’istinto ipotizzante alla
percezione e ai giudizi percettivi come tali, cioè piccoli sintomi osservazionali e indizi che
non sono spesso conosciuti in modo conscio.
L’aspetto importante dell’abduzione allora è determinato dalla spontaneità con cui
insorgono ipotesi e la creatività che ci spinge a formulare ipotesi su i fatti che ci accadono
intorno e che riteniamo talmente sorprendenti e straordinari da aver bisogno di una
spiegazione.
Il metodo dell’abduzione, derivante dall’elaborazione delle cose percepite mediante
ipotesi, ha spinto quindi non solo Peirce a concentrarsi su come l’uomo ragiona cercando
di spiegare il movimento del pensiero verso la verità , ma ha permesso anche ad altri
autori di discipline differenti, quali la fisica, l’intelligenza artificiale, la filosofia stessa e la
psicologia di elaborare modelli per il ragionamento abduttivo su robot con lo scopo di
approfondire questo metodo attraverso la simulazione del comportamento umano. Per far
sì che si raggiungesse questo scopo, tutte queste discipline si sono unite mediante
un’unica definizione di “scienza cognitiva”, che comporta lo studio delle immagini mentali,
ovvero di quei processi mentali che organizzano e producono conoscenza , e l’utilizzo di
un calcolatore e in tempi recenti di robot umanoidi per simulare tali processi mentali.
Infatti quello che la scienza cognitiva vuole studiare è come le attività umane, tra cui la
visione, interagiscono con il cervello su vari livelli, attraverso la spiegazione chiamata della
realizzazione dell’hardware ( primo livello) con la quale si indaga il modo in cui una
struttura, di cui si deve conoscere il funzionamento nelle singole parti e le capacità che
possiede, può dar luogo ad una capacità cognitiva e se la stessa attività può essere
eseguita da sistemi fisicamente differenti; secondariamente si stabilisce un ulteriore livello
che può essere definito teoria computazionale che fornisce una descrizione astratta della
capacità cognitiva, prescinde dalle caratteristiche delle strutture che possono realizzarla e
spiega che cosa fa un sistema che possiede quelle capacità e perché; ultimo passo sarà
stabilire il terzo livello che comprende la teoria delle rappresentazioni e dei processi in cui i
processi vengono definiti come la parte dinamica di un sistema cognitivo e le informazioni
come oggetti astratti a cui si applicano i processi.
Questo dimostra che per elaborare gli stimoli sono necessari dei processi che vanno
dal basso verso l’alto (top-down) in quanto le informazioni percettive devono essere
elaborate prima seguendo le ipotesi formate dagli stimoli per poi essere definite
chiaramente e in modo comprensibile affinché si svolga l’azione giusta nell’ambiente
circostante. Quello che è rilevante sottolineare è come nelle scienze cognitive vengano
simulate le capacità percettive dell’uomo: per la visione si utilizzano telecamere connesse
con un calcolatore in cui il sensore svolge il ruolo di retina artificiale la quale produce
un’immagine digitale ovvero una tabella rettangolare o quadrata composta da migliaia di
celle, in cui il valore numerico assegnato a ciascuna cella (pixel) è proporzionale alla
quantità di luce che ha colpito un elemento fotosensibile: se il valore sarà alto, l’intensità
della luce sarà più alta.
Un altro fattore importante da sottolineare è lo studio dei sistemi di rappresentazione
della conoscenza in quanto comprendono due livelli: quello dell’espressione e quello
dell’implementazione. Il primo aspetto concerne la progettazione di un linguaggio formale
per esprimere conoscenze e quindi il suo valore espressivo mentre il secondo ha a che
fare con le strutture dati e gli algoritmi che implementano su un calcolatore un linguaggio
di rappresentazione che dovrà essere sintetico e facile da modificare in modo tale che un
sistema di rappresentazione possa essere implementato di una logica anche nel caso in
cui non si presentasse come un classico dimostratore di teoremi che manipola insiemi di
formule. L’obiettivo quindi della trattabilità computazionale applica due strategie: la prima
consiste nell’indebolire il potere espressivo del linguaggio in modo da disporre di
procedure inferenziali semanticamente complete e la seconda consiste nel mantenere la
piena espressività del linguaggio e indebolire l’apparato deduttivo ottenendo così una
trattabilità computazionale a scapito della completezza.
La maggior parte della ricerca logica in AI quindi è finalizzata ad elaborare modelli
formali delle attività inferenziali di agenti razionali finiti e limitati da diversi punti di vista (
conoscenza, risorse di calcolo, attenzione). Quindi nel contesto della teoria della
computabilità ciò che identifica i tipi di stati computazionali non è la loro relazione fisica ma
le relazioni funzionali reciproche che sussistono tra gli stati stessi e le relazioni funzionali
che li collegano con gli input e gli output del sistema (funzionalismo): così se gli stati
mentali sono stati computazionali, anche i tipi di stati mentali non devono essere
identificati sulla base delle proprietà del supporto fisico che li realizza in modo tale che i
tipi di stati mentali possono essere identificati sulla base delle loro relazioni funzionali con
altri stati mentali con gli input sensoriali e con gli output comportamentali. Lo scopo infine
di una teoria computazionale è individuare una funzione effettivamente computabile che
modelli un fenomeno cognitivo. Quello che è interessante nelle neuroscienze è il continuo
interesse verso l’interazione dei soggetti cognitivi con il loro ambiente, infatti viene definita
cognizione situata quel comportamento intelligente legato strettamente all’interazione con
il contesto fisico e sociale: la teoria ecologica della percezione visiva afferma che il
soggetto percettivo è un agente che, operando attivamente nel mondo, coglie
dall’ambiente le informazioni che gli servono, infatti lo scopo del sistema visivo non
sarebbe tanto costruire una rappresentazione esaustiva della scena percepita ma
catturare le informazioni che di volta in volta servono per determinati compiti.
La visione biologica e quindi la visione artificiale sono caratterizzate dall’interazione
dell’osservatore con il mondo definendosi come visione attiva (active vision) finalizzata alla
realizzazione di obbiettivi. La percezione dunque può essere definita sia come un
processo di inferenza che come processo diretto: un processo inferenziale in quanto la
percezione è un’operazione di controllo e conferma di ipotesi che permette il problem
solving per risolvere le ambiguità con processi intelligenti, un processo diretto in quanto
non c’è bisogno di rappresentazioni per compiere inferenze inconsce poiché l’unica attività
sarà l’esplorazione dell’ambiente da parte del soggetto che si pone in risonanza con esso;
al contempo però le due posizioni vengono mediate da un approccio ecologico che pone
come obbiettivo alla visione artificiale di utilizzare una o più immagini digitali che
“fotografano” una scena per riconoscere gli oggetti presenti in essa, si tratterà quindi di
determinare per ciascun oggetto sia il suo nome che la sua collocazione e orientamento
nello spazio 3D.
La fase di basso livello, in una situazione di stabilità, comprende varie operazioni tra
cui l’analisi della forma, della natura delle superfici, del movimento e della profondità al
fine di estrarre, a partire da un’analisi locale, caratteristiche utili per definire e distinguere i
diversi pezzi dell’immagine, simulazione di quello che succede nell’uomo quando
parlavamo di quella capacità di mantenere costante la forma, la dimensione e il colore.
Invece nel momento in cui gli oggetti sono in movimento o l’osservatore stesso è in
movimento la scena verrà fotografata in istanti successivi che saranno lievemente diversi
uno dall’altro e potranno essere messi in sequenza in un certo periodo di tempo come una
rappresentazione in movimento: l’informazione di movimento sarà un’informazione sulla
posizione di oggetti nello spazio relativa ad un osservatore. L’analisi del moto prende così
in considerazione due aspetti fondamentali: il rilevamento del moto (motion detection) e la
stima del moto collettivo dei punti di un’immagine (optical flow) che associa ad ogni pixel,
la direzione e l’intensità della sua velocità istantanea (simulazione delle saccadi
dell’occhio umano).
In generale, per identificare un oggetto e collocarlo correttamente nello spazio, sarà
necessario assumere un punto di vista non più centrato sull’osservatore ( viewer-centered)
ma centrato sull’oggetto (object-centered) che farà derivare rappresentazioni più astratte
come le rappresentazioni geometriche 3D poiché forniscono un’immagine solida del
mondo: il riconoscimento dell’oggetto allora verrà basato sul confronto di descrizioni
dell’oggetto estratto dall’immagine con il modello ideale dell’oggetto da identificare così da
risolvere una collezione di caratteristiche fisiche dell’oggetto o costruire un grafo o una
rete semantica che attraverso il confronto andrà a connotare una misura della distanza tra
le caratteristiche fisiche dell’oggetto e del modello ideale. Il riconoscimento di oggetti in
computer vision è un problema che viene risolto, quindi, solo all’interno del dominio del
riconoscimento basato su modelli (model-based vision).
Questo genere di applicazioni vengono definite come robotica situata in quanto
rappresentano un sistema robotico che deve essere in grado di reagire in maniera veloce
ed efficiente alle caratteristiche del proprio ambiente non implicando ricche
rappresentazioni o forme complesse di inferenza ma coinvolgendo una plausibilità
neurologica e anche biologica in quanto viene basa sulla teoria evoluzionistica: infatti le
restrizioni biologiche danno luogo a modelli realizzati fisicamente come artefatti autonomi
cioè capaci di interagire con ambienti reali attraverso opportuni sistemi senso-motori.
Sviluppi recenti hanno trasformato tale disciplina in robotica cognitiva perché si è rinnovato
lo sviluppo di sistemi di rappresentazione basati sulla logica e finalizzati al ragionamento
su azioni e su eventi.
Quindi riassumendo, lo scopo di questa tesi sarà quello di determinare come vengono
sviluppate credenze da parte dell’uomo affinché comprenda il mondo a lui circostante
attraverso lo studio e l’analisi dell’abduzione e quindi di Peirce per arrivare al modo in cui
viene simulato il comportamento dell’uomo da parte dell’intelligenza artificiale per compare
le capacità di pensiero dell’uomo e quelle di un robot in modo tale da comprendere se è
possibile che la tanto osannata intelligenza dell’uomo possa essere messa in parallelo
con quella che noi stessi stiamo programmando nei robot .