6
Nella scienza classica, il caos era
per definizione
assenza di ordine. Oggi è considerato una dimensione
retta da leggi non definibili; non dal disordine. Il
concetto stesso di disordine è inteso come
complessità, come criticità, non come assenza di
ordine. Di conseguenza, i sistemi caotici non possono
più essere interpretati esclusivamente come
imprevedibili anche se irregolari. E' fondamentale
sottolineare che il caos non è sinonimo di caso
(curiosamente suo anagramma) come la logica
potrebbe indurre a pensare e non si può parlare di
completo disordine, in quanto i sistemi caotici, alla
luce delle nuove scoperte della teoria del caos, sono
sistemi dinamici sempre prevedibili a breve termine e,
quindi, riconducibili ad una logica nuova più o meno
complessa. Si può, dunque, paradossalmente
affermare, in base a precise scoperte scientifiche, che
nel caos c'è ordine.
Penso che la teoria del caos sia assimilabile al modo in
cui si susseguono le mode e le tendenze, che
prendono forme e seguono modalità a volte
inaspettate, ma sempre prevedibili.
Le tendenze, definite come minoranze non minoritarie,
nascono e si diffondono quando hanno una bassa
soglia di abilità, quando non richiedono cioè grandi
capacità personali per essere seguite; muoiono invece,
o possono morire, per sovraesposizione, cioè quando
diventa così popolare da sostituire altri momenti e
interessi altrettanto importanti all’interno del vivere
comunitario.
Supponiamo che le tendenze siano una forma di
criticità auto-organizzata derivante dal sistema caotico
della cultura popolare. E supponiamo che come altri
7
sistemi caotici siano influenzati da una guida. Chi
potrebbe essere la nostra guida? Quali sono i soggetti
più indicati per esplicare questo ruolo di gatekeepers,
di catalizzatori, di enzimi?
Poincarè
2
aveva creduto che il pensiero creativo fosse
un metodo per indurre il caos interiore a conseguire un
più alto livello di equilibrio. I creativi possono dunque
imporsi come guide all’interno del sistema caotico
quale è la società attuale, post-moderna e post-
industriale. Meglio ancora post-umana.
Ma cosa significa, in questo nuovo paradigma sociale,
essere creativi?
Abbiamo conosciuto una creatività verticale: il creativo
– sia egli uno stilista, un artista, un imprenditore –
dall’alto del suo sapere acquisito, trasmetteva gli atti
del suo genio. Il sapere, dunque, consisteva nella
trasmissione di qualcosa di già acquisito e di
competenze molto articolate.
Il cool hunter è oggi espressione di una creatività
trasversale, e di un nuovo pacchetto di competenze e
di saperi, che mette in primo piano il valore
dell’esperienza e dello scambio, più che della
trasmissione.
E da questo scambio nasce una nuova creatività, nel
momento esatto in cui cose molto diverse tra loro
entrano in collisione, in contatto, creando corto circuiti
inaspettati. Il cool hunter, nel momento in cui scopre e
dona visibilità a questi momenti di criticità, si fa
espressione di questa nuova creatività.
Il cool hunter è dunque oggi la guida all’interno dei
sistemi caotici rappresentati dalle tendenze, punto di
incontro tra le esigenze del moderno consumatore, che
2
Poincarè J.H., La scienza e l'ipotesi (1902), e Il valore della
scienza (1904).
8
cerca ora lo scontro con i prodotti che consuma, e le
aziende, che invece hanno bisogno di nuove strategie
e di nuovi punti di incontro con i consumatori.
9
CAPITOLO I
Per una nuova cultura del consumo. La società
dei Trends
“…il luogo del consumo è la vita quotidiana. Quest’ultima …
è un sistema d’interpretazione. La quotidianità è la
dissociazione di una prassi totale in una sfera trascendente,
autonoma e astratta (del politico, del sociale, del culturale)
e nella sfera chiara e immanente del privato…”
Jean Baudrillard, 1976
3
Baudrillard esprime in questi termini un fenomeno
che, negli anni Settanta, si percepiva solo a livello
epidermico, di sensazione, ma che con il passare del
tempo, sarebbe diventato uno dei fenomeni principali
delle attuali dinamiche sociali: l’idea di considerare il
consumo una pratica significante.
La sempre maggiore pervasività del consumo ha
portato molti studiosi a riconoscere che, da qualche
tempo, il sistema capitalistico è entrato in una nuova
fase, quella del “capitalismo culturale”, in cui il
movimento innescato dalla dialettica
produzione/consumo permea non solo le regole del
mercato, ma l’intera cultura di una società.
Ma dove comincia questa nuova fase? E soprattutto,
dove approda? Con quali conseguenze?
Uno sguardo a ritroso sui mutamenti negli ultimi
decenni ci permetterà di rispondere a queste domande
e di capire come il consumo, inteso come
comportamento reale e dotato di senso dell’individuo,
acquista una nuova e diversa rilevanza, superando
l’attenzione per la fase di produzione ed elevandosi a
categoria peculiare della cultura postmoderna.
3
Baudrillard J., La società dei consumi, Il Mulino, Bologna, 1976.
10
Attraverso l’evoluzione del consumo arriveremo a
capire come si è arrivati, oggi, a quei mutamenti che
hanno portato le aziende, come esito necessario e
vitale, a trovare nuovi interlocutori e nuove forme di
mediazione con i consumatori.
Come, in poche parole, si è giunti a delineare il cool
hunter prima come concetto mediatore, e poi come
figura mediatrice all’interno della dialettica impresa-
consumatore.
Il punto di partenza di questo gioco dialettico sarà il
momento in cui si è iniziato a parlare di consumo con
cognizione di causa, intorno dunque agli anni Sessanta
e più coscientemente negli anni successivi, mentre
saranno due le categorie scelte come unità d’analisi: il
soggetto emergente e l’immaginario collettivo.
Quando parliamo di immaginario collettivo ci riferiamo
a quell’insieme di flussi comunicativi, di idee, di
comportamenti che segnano profondamente l’identità
individuale e collettiva, definendo la cultura di un
periodo tramite la commistione di diversi saperi: la
pubblicità, la moda, la politica, l’arte, la letteratura, la
televisione.
Per soggetto emergente invece si intende quella
categoria di individui che pur essendo statisticamente
minoritaria rappresenta una realtà catalizzante sia dal
punto di vista sociale che culturale, dimostrandosi
capace di interpretare le nuove sensibilità,
rappresentando la punta più avanzata del
cambiamento.
Due categorie che, come vedremo, trovano la loro
sintesi proprio nella nuova figura del cool hunter.
11
1.1 Dialettica del consumo
Negli ultimi trent’anni è possibile individuare nella
storia sociale del consumo e nel vissuto degli oggetti e
dei soggetti tre fasi, contraddistinte da altrettanti
passaggi cruciali. Fasi e passaggi che seguono le
trasformazioni dell’identità contemporanea, alla cui
definizione hanno contribuito marcatamente. Morace
4
suggerisce di seguire questa classificazione:
ξ Una prima fase segnaletica, che comprende
buona parte degli anni Settanta, in cui i prodotti
di consumo rispecchiano un sistema di valori
sociali ed economici, e che propone il massimo
grado di passività della materia rispetto a
modelli di identità sociale molto ben definiti;
ξ Una seconda fase mimica, dalla fine degli anni
Settanta alla metà degli Ottanta, in cui i
prodotti simulano un sistema d valori sociali e
culturali, e in cui il confine tra attivo e passivo e
perfino tra identità e materia assume il
massimo grado di ambiguità;
ξ Una terza fase maieutica, che interessa la fine
degli anni Ottanta e tutti gli anni Novanta, in cui
sono gli stessi prodotti di consumo a generare
un nuovo sistema di valori e qualità esistenziali
e culturali, e in cui essi assumono un
significativo ruolo di stimolo attivo per
un’identità interdiretta che cerca nuove regole
di interazione con il mondo esterno.
4
Morace F., Controtendenze, Milano, Domus Academy, 1990, pp.
106.
12
Il quadro che ne viene fuori potrebbe essere così
sintetizzato
5
:
5
Ibidem, pag. 106-107.
Anni ’70 - Integrazione e Conflittualità -
Ideologia del consumo - Prodotto
segnaletico
Anni ’80 - Complessità - Cultura del
consumo - Prodotto mimetico
Anni ’90 - Globalità - Progettualità del
consumo - Prodotto maieutico
13
1.1.1 Anni 70 – Il prodotto segnaletico
Negli anni Sessanta e Settanta il vissuto sociale del
prodotto si dispiega nella dimensione ideologica del
consumo, attraverso cui i valori egemoni della società
americana da una parte e della società del boom
economico in Italia dall’altra – che in realtà si
sostanziano della stessa ideologia di base – filtrano
incessantemente nel corpo sociale costituendo un
solido riferimento nell’immaginario collettivo.
Anche i mezzi di comunicazione di massa diventano,
nella fase di loro maggior espansione, mezzi di
riproduzione e diffusione dell’ideologia consumistica,
attraverso contenuti confezionati per mitizzare la
società dei consumi e attraverso nuove forme di
linguaggio pubblicitario. E gli individui subiscono
passivamente ma con gran soddisfazione le regole
dell’ideologia consumistica.
I prodotti di consumo diventano beni di cittadinanza
necessari per essere integrati nella nuova società che
si va delineando e in cui il consumo si esaurisce
nell’acquisto e quindi nel possesso dell’oggetto.
Su questo terreno si inseriscono le brillanti riflessioni
socio-semiologiche sui miti contemporanei
6
e sul
sistema degli oggetti
7
, rinnovati nell’uso e nel
significato, che consacrano l’avvento di una realtà
fisica e materiale che pur essendo – come aveva
previsto McLuhan
8
– un’estensione del corpo umano, è
anche e soprattutto l’estensione della sua ideologia
profonda e di una mitologia socioeconomica basata sul
possesso e sull’eterodirezione dei modelli di
6
Barthes R., Miti d’oggi, Lerici, Milano, 1962.
7
Baudrillard J., Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano, 1972.
8
Mc Luhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano,
1967.
14
comportamento. La stessa mitologia che sarà
violentemente attaccata dai movimenti di
contestazione degli anni Settanta.
Nella seconda metà di questo periodo, infatti,
l’ideologia del consumo si rovescia nel suo opposto:
l’antimoda si contrappone alla moda, il pauperismo al
prestigio e all’ostentazione; dall’integrazione si passa
alla conflittualità. Rimane però inalterata la sua logica
fondante; ciò che predomina è una realtà segnaletica,
definita ora per contrasto, in cui il possesso degli
oggetti materiali connota i soggetti in termini di
identità e di appartenenza. L’ideologia del consumo si
intreccia all’ideologia politica. Sono gli anni Settanta.
1.1.2 Anni 80 – Il prodotto mimetico
Con gli anni Ottanta lo scenario cambia radicalmente.
I modelli di consumo si sono modificati
sostanzialmente, insieme all’identità dei soggetti.
Dalle macro-conflittualità degli anni Settanta, la
società è passata negli anni Ottanta ad un periodo di
“microsocializzazione”
9
: gli spazi socioculturali classici
esplodono e si segmentano in un’infinità di stili di vita
e cadono le loro categorie di classificazione abituali. Il
tutto all’interno di un quadro complessivamente
ricomposto, sotto l’ala protettiva di una nuova cultura
del consumo.
Si è verificato dunque il passaggio radicale da una
diversità produttrice di conflitti sociali, culturali,
sessuali ad una differenziazione soft, produttrice di
codici comportamentali e quotidiani capaci di garantire
9
Cathelat B., Styles de vie, Les Edition d’Organisation, Parigi,
1985.
15
contemporaneamente identità deboli e identificazioni
forti ma provvisorie.
Mentre nell’universo precedente la materia e gli
oggetti avevano la funzione di rappresentare in modo
teatrale e diretto il soggetto e la sua condizione
socioeconomica, nell’universo della pura
rappresentazione-simulazione, gli oggetti non possono
far altro che presentare lo spettacolo di sé stessi e
dell’identità esteriore del soggetto, dietro cui non
troviamo più alcun fondamento se non la semplice
pulsione narcisista.
Gli anni Ottanta si sono dipanati all’insegna della
divergenza individuale, rifiutando definitivamente
l’ipotesi marcusiana dell’unidimensionalità del
soggetto.
Sono stati gli anni della differenziazione dei valori e dei
comportamenti; si è assisito all’esplosione dello stile in
stili di vita, della moda in mode personalizzate, dei
movimenti giovanili in bande spettacolari, della morale
in etiche individuali, dell’ideologia politica in ideologie
individuali e pratiche edoniste.
Le Otto Italie
10
sanciscono paradossalmente il
successo di prodotti trasversali, tutt’altro che
segmentati, che raggiungono il mercato seguendo la
logica dei nuovi standard qualitativi ed estetici: ieri si
dialogava con gli altri attraverso i prodotti, oggi si
vuole dialogare con il prodotto per arrivare a sé stessi.
Molto meno sono stati anni in cui ci si è interrogati
sulla reale profondità di questa diversificazione e sul
potere dei modelli culturali egemoni, che nel frattempo
lavoravano in maniera silenziosa e inesorabile, nella
direzione di un appiattimento della diversità.
10
Fabris G./Mortara V., Le Otto Italie, Mondadori, Milano, 1986.
16
Tutto è sembrato fondersi in un unico grande processo
di frammentazione attraverso la disgregazione di quelli
che Lyotard
11
ha definito gli ultimi Grandi Racconti,
primo fra tutti il marxismo.
Chi fino ad oggi ha posto il problema con lucidità, ha
generalmente sancito la sconfitta del pensiero,
parlando di “èra del vuoto” (Lipovetsky, 1989), di
“soft-ideologia” (Huyghe, 1987) – sorta di bricolage
del pensiero a brandelli, ipotattico, in cui i nessi
diventano logici a posteriori – di analfabeti di secondo
grado (Enzensberger, 1989), di inquinamento del
pensiero per eccesso di immagini (Dorfles, 1962) e di
crisi multidimensionale (Morin 1989).
Questo perché negli anni Ottanta vengono riformulate,
o addirittura cancellate del tutto, molte delle categorie
concettuali fondamentali del pensiero sociologico
tradizionale.
Comincia a crollare la logica dello status symbol
12
,
categoria interpretativa che per trent’anni la sociologia
classica aveva utilizzato nel parlare di consumo, a
favore della logica degli style symbol
13
, più adeguati
ad un universo di consumo dinamico e plurale, che va
culturalizzandosi e che corrisponde maggiormente alla
nuova logica del consumo tarata su segmenti
divergenti. Se gli status symbol proponevano valenze
esclusivamente economiche, gli style symbol avanzano
pretese di tipo culturale: non conta più tanto il
possesso dell’oggetto, ma l’interpretazione che il
11
Lyotard J.F., La condizione postmoderna, Feltrinelli, 1979.
12
Status symbol sono stati definiti tutti quei prodotti che
permettevano al consumatore di esibire la propria condizione socio
economica – reale o presunta – oggetti che rendevano visibile lo
status dell’individuo e della sua famiglia di proveninenza.
13
Rizzi M., La pubblicità è una cosa seria, Sperling & Kupfer,
Milano, 1987.
17
nuovo consumatore fa dell’oggetto, la fruizione, lo
“stile” attraverso il quale le scelte vengono
interpretate e giocate. Non più consumo come fine
ultimo, da raggiungere per legittimare la propria
condizione socioeconomica, ma come codice linguistico
e comunicativo di differenziazione, strumento del
piacere individuale e dell’edonismo di massa.
Le scelte di consumo hanno continuato a definire
socialmente l’individuo, ma in modo differente rispetto
al passato: sono cambiate le variabili che intervengono
nelle scelte di consumo.
Il costo del prodotto è passato in seconda linea
rispetto ad altre componenti: la qualità estetica e di
immagine del prodotto, la sua capacità di presentarsi
come qualcosa di “nuovo”, le commistioni con l’arte e
la cultura, la sua appartenenza all’universo privilegiato
della firma; questi sono stati gli elementi significativi
nel connotare il consumo in termini di style symbol.
Anche il piacere estetico, in precedenza esclusivo di
alcune minoranze secolarizzate, si è in questi anni
rinforzato e democratizzato, generando un trend che
dura fino ad oggi.
Non solo utile e bello non sono più considerati
sinonimi, anzi: ciò che è bello e nuovo è spesso inutile,
superfluo, inserito in un processo di “gadgettizzazione”
della realtà. Ciò che conta è lo stupore che esso
suscita, la vibrazione estetica che esso produce
nell’acquirente.
Gli anni Ottanta sono spesso stati accusati di assenza
di creatività. Sono stati invece gli anni della creatività
diffusa e della democratizzazione della creatività,
marchiati a fuoco dal trittico creativo per eccellenza:
pubblicità-moda-design.
18
La creatività non si è limitata alle attività professionali
emergenti in questi campi creativi, ma è divenuta una
qualità dell’esistenza quotidiana, una modalità di vita e
di pensiero, mentre fantasia ed immaginazione
costituivano i paradigmi di riferimento, le nuove chiavi
di lettura della realtà.
Gli Ottanta hanno sancito inequivocabilmente il trionfo
dell’immagine.
La graduale affermazione della percezione visiva sugli
altri sensi raggiunge il suo apice in questi anni, fino a
diventare una sorta di dittatura sensoriale.
La logica dell’immagine sottende due tendenze
principali: la spettacolarizzazione e l’immaterialità.
L’affermazione definitiva della televisione e del suo
linguaggio, e soprattutto la sua penetrazione radicale
nella vita quotidiana produce effetti di
superficializzazione dell’esperienza e
spettacolarizzazione della realtà che si realizzano
entrambi attraverso il canale visivo e si condensano
nel consumo accelerato di immagini da parte dei
soggetti sociali.
Dall’altra parte, la tendenza all’immaterialità si
dimostra un elemento chiave di questo decennio:
l’immaginario tecnologico (dall’informatica alla
telematica) e l’immaginario giovanile (espresso dal
cinema e dal videoclip) ne sono due chiare
dimostrazioni.
Il telecomando, con la sua estrema facilità di cambiare
canale, rappresenta un’altra metafora forte dei
cambiamenti in atto che conducono i soggetti a vivere
in un orizzonte multidimensionale, in cui le scelte, i
valori, i comportamenti si succedono senza alcuna
soluzione di continuità: si cambia continuamente
canale nella propria esperienza esistenziale, spesso
19
senza seguire alcuna indicazione precisa, ai limiti della
dispersione individuale.
Negli anni Ottanta esiste un’altra importante accezione
del termine immagine: “l’immagine per vendere”.
L’immagine di azienda, l’immagine di marca,
l’immagine di prodotto, l’immagine come valore
aggiunto del prodotto, concetti importanti gestiti dal
linguaggio del marketing contemporaneo, che va ben
oltre la strategia commerciale. Ed arriva fino al
linguaggio quotidiano. Il linguaggio pubblicitario, libero
dai pregiudizi ostili delle avanguardie e forte della
centralità acquisita dal consumo, penetra
gradualmente nel sistema socioculturale fino a
conquistarlo. La sua logica – fondata sulla fascinazione
e sulla persuasione – diventa paradigma di riferimento
per la sfera culturale, politica, sociale e addirittura
religiosa.
“Dalla pubblicità anima del commercio alla pubblicità
anima del sociale”
14
.
Avere (anni Sessanta), Essere (anni Settanta),
Apparire (anni Ottanta): la dialettica del consumo e
dell’identità si conclude proponendo il mito
dell’immagine, la filosofia dell’apparenza, la nascita di
un “io minimo”
15
, privato cioè di retaggi etici o
ideologici.
Ognuno sembra vivere l’ossessione e il bisogno di
mostrare sé stesso, la propria immagine, la propria
performance.
Dalla performance al look il passo è breve. Una nuova
ritualità, non più sacra ma laicizzata, non più collettiva
ma individuale, in cui il corpo diviene superficie da
14
Morace F., op. cit.
15
Lash C., L’io minimo, Feltrinelli, Milano, 1985.