Cambiare l'uomo per capire la natura. Dalle radici dell'emergenza ecologica al panorama delle etiche ambientali.
Indagine filosofica sulle origini profonde della crisi ecologica
L'indagine scientifica sulle origini della crisi ecologica, che l'umanità sta affrontando ormai dal secolo scorso, non manca mai di sottolineare le cause fattuali e concrete che avrebbero dato inizio alla degradazione ambientale. Inquinamento industriale, dei mezzi di trasporto, sovrappopolazione, emissione smisurata di gas serra, deforestazione, produzione illimitata di plastiche e materiali non eco-compatibili, sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, sono solo alcuni dei bersagli che quotidianamente vengono additati nel tentativo di denunciare gli «scandali ambientali» ancora in corso.
La ricchissima riflessione storico-filosofica prodotta sino ad oggi, tuttavia, ha individuato ad un livello più profondo le «origini» del comportamento umano che si è rivelato così distruttivo per l'ambiente; i fattori che vengono quasi unanimemente indicati a tal proposito sarebbero: «l'epistemologia del dominio», ovvero «una concezione della conoscenza che definisce i propri metodi in relazione alla possibilità di previsione, controllo e sfruttamento della natura»; lo sviluppo indefinito della ricerca scientifica e conseguentemente anche della sua applicazione tecnica, che ha rivelato un lato inquietante ed insidioso proprio della sua natura; la mentalità antropocentrica, caratteristica del pensiero occidentale e causa prima della svalutazione delle forme di vita altre dall'umano ad un puro valore strumentale. In questi tre elementi e nelle loro reciproche relazioni si riconoscono fondamentalmente le strutture mentali che hanno prodotto l'attuale crisi ambientale, che sono innanzitutto facilmente riconducibili alle stesse «radici dell'Occidente». Anche questa è una convinzione che accomuna la maggior parte delle riflessioni etiche riguardo la natura.
In particolare, le teorie sviluppate dall'ecologia sociale (Murray Bookchin) e dall'ecofemminismo (Françoise d'Eaubonne, Rosemary Radford Ruether, Carolyn Merchant, Val Plumwood, Karen J.Warren sono tra le principali esponenti) hanno in comune l'idea che la radice concettuale del problema ecologico sia insita proprio nei rapporti di potere e di dominio che si sono manifestati nella storia, e che vi sia un legame tra la sottomissione esercitata sull'umanità e quella esercitata sulla natura. La prima teoria individua la matrice del problema nella sopraffazione degli esseri umani su altri esseri umani, mentre la seconda concentra l'attenzione sulla prevalenza delle strutture gerarchiche androcentriche come rappresentative dell'oppressione della donna e conseguentemente anche della natura e degli animali. Vi è anche una corrente di pensiero che segue l'idea proposta da Lynn White, il quale attribuisce le motivazioni del dominio sulla natura ai precetti biblici, identificando in un discorso anteriore alla comparsa della tecnica – quello cristiano per l'appunto – la giustificazione del comportamento dominante e prettamente antropocentrico che si è sviluppato in epoca umanista. Anche le tesi di John Passmore contemplano l'idea che le cause della crisi ecologica derivino fondamentalmente da uno sfruttamento sconsiderato e mal gestito del mondo naturale, cosa che potrebbe essere rimediata attuando un comportamento di gestione delle risorse più responsabile e controllato. Di diversa opinione sono i sostenitori dell'ecologia profonda, seguaci di Arne Naess, i quali mantengono una posizione sostanzialmente ecocentrica e una considerazione sacrale della natura, che non può scendere a compromessi con le concezioni antropocentriche ritenute responsabili del disastro ambientale.
È chiaro quindi che qualsiasi considerazione etica in campo ambientale non possa esimersi dall'affrontare in modo critico né il problema della tecnica nel nostro tempo, e neppure quello dell'antropocentrismo. Il concetto centrale di «epistemologia del dominio», inoltre, risulta fondamentale per comprendere il rapporto tra la tecnica e lo sfruttamento da lei prodotto. Hans Jonas ha dedicato nei suoi studi un ampio spazio alla trattazione di tale questione, e similarmente hanno fatto Adorno e Horkheimer, nella Dialettica dell'illuminismo.
Il punto centrale e caratteristico della concezione epistemologica del dominio concerne una conoscenza scientifica che «preoccupata di ricercare i mezzi, ha perso di vista le finalità ultime della sua azione; una razionalità tecnologica tesa solo ad aumentare le proprie capacità; una scienza che ha la pretesa di potersi sganciare da qualsiasi giudizio di valore». Gli scopi che vengono ricercati dalla scienza sono dettati quindi da essa stessa in modo puramente autoreferenziale; non vi sono cioè fonti di normatività diverse dalla logica del «dominio per il dominio». Come ha messo bene in luce Jonas in Tecnica, medicina ed etica,
Il rapporto tra mezzi e scopi in questo caso non è univocamente lineare ma dialetticamente circolare. Scopi noti, da sempre perseguiti, possono essere conseguiti in modo migliore grazie a nuove tecniche che essi stessi hanno suggerito. Reciprocamente nuove tecniche possono suggerire, produrre, persino imporre nuovi scopi cui nessuno prima aveva mai pensato, e questo semplicemente grazie all'offerta della loro realizzabilità.
In questa dialettica circolare si fonda la mancanza di senso che caratterizza la tecnica dei nostri tempi.
L'impossibilità di avvalersi di una normatività che possa accompagnare la prassi scientifica, è da attribuirsi alla frammentazione della natura a scopo scientifico, un fenomeno che ha trovato la sua più alta espressione con il pensiero di Cartesio e Bacone. Se a Cartesio è da attribuire la teoria della separazione tra res cogitans e res extensa, dove la prima può essere ricondotta alla razionalità del soggetto mentre la seconda all'oggetto che gli si pone dinnanzi, a Bacone si deve il coronamento di tale teoria, con l'intuizione del legame indissolubile che scaturisce dal momento conoscitivo in relazione a quello applicativo. Infatti, «sapere è potere». Da questa fondamentale separazione ontologica deriva che «l'unità della natura, principio esplicativo alle cui regole si riconducevano materia, movimento e mente», viene così ad essere «reificata, ridotta a mera res extensa» pronta all'uso e allo studio, e in vista dell'analisi pronta allo spezzettamento, fino a vedersi negato anche l'ultimo barlume di riconoscibilità.
Interessante è la connessione tra il dismembramento e la reificazione che mette in luce Carol J. Adams, esponente dell'ecofemminismo: i corpi preparati al consumo, chiamati «referenti assenti»,
sono resi letteralmente assenti dalla morte e dal dismembramento dei loro corpi. La seconda assenza ha a che fare con la loro denominazione, perché dopo morti, […] essi vengono chiamati secondo i tagli di carne o le ricette in cui vengono trasformati. In terzo luogo, gli animali non-umani diventano «referenti assenti» attraverso l'uso delle metafore: quando vengono trasformati in simboli, infatti, le loro esperienze individuali vengono assorbite dalle esperienze umane e hanno valore solo per la trasformazione in qualcosa di più vicino all'umano e, quindi, di più 'elevato'.
Gli effetti della frammentazione come rottura di un'identità sono quindi rintracciabili non solo in ambito scientifico, ma anche alimentare, e la questione attiene quindi al problema di come l'uomo tratti alla stregua di mera "materia morta" esseri vitali.
In ogni caso, la divaricazione operata in questi termini tra il significato scientifico e quello morale della natura ha segnato inevitabilmente l'inizio di una tradizione nella quale il momento conoscitivo è strutturalmente un atto separativo del soggetto dall'oggetto, e nel quale l'oggetto dell'analisi è tale in quanto reificato, spogliato della sua essenza e reso passivo, pura materia al servizio della produzione e quindi passibile di sottomissione senza remore. [...]
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Cambiare l'uomo per capire la natura. Dalle radici dell'emergenza ecologica al panorama delle etiche ambientali.
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Informazioni tesi
Autore: | Eleonora Faietti |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi di Bologna |
Facoltà: | Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Marina Lalatta |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 42 |
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