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La paura come strumento di civilizzazione nel pensiero di Thomas Hobbes

La paura della morte

Il libro Geometria delle passioni di Remo Bodei, offre interessanti spunti per l’analisi di quanto scritto da Hobbes in tema di passioni. In questo capitolo sarà approfondito il pensiero di Hobbes, con particolare riferimento alla paura, alla luce delle riflessioni di Bodei.

Qual è la funzione della paura in Hobbes? e in particolare di quella forma di paura che è la fear of agonizing death, la paura della morte violenta?
Per Hobbes questa passione, la paura della morte, sta alla base della civilizzazione, è all’origine dello Stato e non è una costruzione naturale. Fattore civilizzatore perché impedirebbe la ricaduta nello stato di natura, quello della guerra, ossia di tutti contro tutti.
Riprendendo le parole di Leo Strauss, Bodei scrive:

La paura primitiva, condivisa con gli altri animali, si sublima nell’uomo in paura razionale e costituisce la sorgente prima di ogni calcolo di reciprocità, ossia della ratio in quanto tale, che nasce dalla comprensione della reversibilità della simmetria speculare di tutte le minacce di violenza […] Si forma un binomio inscindibile, una complicità di ragione e paura: la ragione è impotente senza la paura e il terrore (poiché nello stato civile i comandamenti politici, morali e religiosi altro non sono che catene sommerse di potere, regole di supplenza rispetto al fine ultimo di evitare la morte del grande Leviatano) e, a sua volta. La paura è cieca senza il lume del calcolo, razionale il solo mezzo, anch’esso negativo, di cui gli uomini dispongano per riconoscere le proprie tenebre.

La ragione è qui citata come imprescindibile dalla paura e – secondo Bodei –rappresenta l’unico margine di compatibilità dei conflitti, da preferirsi allo scatenarsi della violenza incontrollabile. Anche la ragione sarebbe una passione, al servizio di tutte le altre e soprattutto l’unica difesa della vita contro una morte incombente. La paura della morte trova giustificazione nella sua funzione catartica. L’uomo, consapevole di dover morire, grazie alla fear of agonizing death se da un lato si isola dagli individui, dall’altro si avvicina ad essi per fondare lo Stato moderno. Non esistendo più come abbiamo visto “il sommo bene”, il “sommo male” (la morte violenta del corpo) si trasforma in un allegato del potere politico. Scrive ancora Bodei:

Proprio a causa dell’intima solidarietà di passione e ragione, anche quest’ultima può provocare negli individui calcoli errati, concezioni distorte o miopi o revocando senza tregua la minaccia di natura di irrompere, disastrosamente, nello stato civile.

Hobbes rifiuta la concezione di speranza e di paura che, come abbiamo visto nel precedente capitolo, hanno origine sin dai tempi di Aristotele, ma anche lo stoicismo di età moderna e l’impostazione tomistica. Come infatti scrive Bodei, la scolastica viene rifiutata da Hobbes perché: >em>Il diritto e dovere affermativo e imprescrittibile dell’uomo di sese conservare, Hobbes lo dimostra negativamente rinviando alla presenza in ogni organismo della fame, della sete e delle altre brame.

Hobbes crede nella trasformazione degli esseri nel tempo, i quali sono tutti mossi a soddisfare perentoriamente i propri impulsi. Inoltre, diversamente dallo stoicismo e da Spinoza, l’accento di Hobbes è posto sul futuro anche perché gli appare improbabile la figura del saggio dedito nella sua beatitudine alla contemplazione e intimamente immune alla violenza del mondo e alla lotta politica.

Il secondo aspetto che allontana Hobbes dallo stoicismo, secondo Bodei, riguarda la razionalità e le leggi naturali. Per Hobbes l’uomo non è un essere razionale per natura, dunque le leggi, atte a regolarne il comportamento, non sono naturali ma stabilite previ accordi: «razionali si diventa non si nasce» e diventare razionali vuol dire partire dalla sensibilità del nostro corpo, che è capace di soffrire e gioire, connesso alla capacità di immaginare e di combinare i segni.
È stato più volte ricordato che Hobbes vive in uno dei periodi più tormentati e violenti della storia Europea e come il suo pensiero ne resti profondamente influenzato. La sua visione utilitaristica, caratterizzata da un profondo pessimismo, rifiuta la concezione filosofica classica della ricerca del “sommo bene”. A conferma di ciò Bodei scrive:

Il sommo bene, o come si dice la felicità e fine ultimo, non si può provare in questa vita. Infatti se il fine fosse ultimo non si desidererebbe niente, non si aspirerebbe a niente: ne consegue non solo che niente raggiunto quel fine sarebbe bene per l’uomo, ma che egli non avrebbe neppure sensazioni. Ogni sensazione, infatti, è congiunta con un desiderio o un’avversione: e non sentire è non vivere.

La libertà di cui l’uomo si vanta non è altro che un giocattolo. La paura è quindi una passione comune che colpisce tutti gli uomini indistintamente, anche chi fa dell’onore la propria forza – come gli aristocratici – e perfino i vanitosi, coloro che nonostante la vanagloria sprofondano in un terribile abbattimento spirituale.

La paura, sentimento di tutti, mette gli uomini sullo stesso piano; questa è la grandissima novità introdotta da Hobbes: «la paura ci rende lungimiranti cioè è quasi provvidenziale anche per il vanitoso». La paura non è quella passione che, come diceva Aristotele, provoca solo dolore: essa ci rende uguali, lungimiranti e ci spinge a ricercare l’unione con gli altri uomini, mostrando così il suo aspetto positivo preposto all’evoluzione, il fattore di civilizzazione. Da quest’ultimo scaturiscono poi di conseguenza le azioni repressive del potere coercitivo alla base della società.

Il pensiero morale di Hobbes oscilla fra questi due estremi, due modi di intendere la paura: il primo nasce dalla consapevolezza che gli uomini sono uguali in quanto composti dalle stesse passioni e, mossi da esse, sono spinti inevitabilmente a sopraffare gli altri. L’uomo prevarica i suoi simili non perché sia “buono” o “cattivo” o dal comportamento “immorale”: egli non è né buono né cattivo, ma semplicemente governato dalla natura dei suoi appetiti e delle sue passioni, che lo muovono e lo spingono a preservare se stesso dominando gli altri il più a lungo possibile. Quando gli altri uomini non riconoscono questo diritto, di cui anche loro godono, si scatena la guerra di tutti contro tutti. Nello stato di natura, che è lo stato di guerra, la paura diventa la passione dominante attraverso cui l’uomo riconosce la sua fragilità, il suo ardimento, il suo coraggio, ovvero quelle passioni che lo spingono a combattere contro tutto e tutti incurante del pericolo. Col tempo, dapprima animato da passioni combattive, l’uomo diventa prudente, riflessivo e si avvicina agli altri uomini, stavolta non per aggredirli e dominarli ma per viverci insieme accanto, dopo essersi reso conto che egli non può uscire vincitore da nessuna guerra. Questa consapevolezza gli scatena la paura, passione che tra tutte adesso avrà preso una posizione primaria e dominante tanto da spingerlo a vivere in società senza più farsi guerra.
[…]

Questo brano è tratto dalla tesi:

La paura come strumento di civilizzazione nel pensiero di Thomas Hobbes

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Informazioni tesi

  Autore: Angelo Alessandro Gerroni
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2012-13
  Università: Università degli Studi di Milano
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Gianfranco Mormino
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 63

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