Paolini e Pistoletto al CIMAC di Milano. Questioni tecnico-artistiche e conservative.
Il presente lavoro analizza l’opera di Giulio Paolini e Michelangelo Pistoletto a partire da due opere conservate al Civico Museo d’Arte Contemporanea di Milano: Megara (1966) di Paolini e Senza titolo (donna che fugge) (1962-67) di Pistoletto. L’analisi delle due opere si inserisce nell’ambito del “Progetto Raffaello” (INCCA, International Network for Conservation of the Conemporary Art, varato nel 1997 e finanziato dalla Comunità Europea dal 1999), che si propone di creare una rete internazionale di comunicazione tra importanti musei d’Europa, garantendo un’informazione aggiornata e costante sulla conservazione e sul restauro del patrimonio artistico contemporaneo. Per Milano la dott.ssa Marina Pugliese, Conservatore del CIMAC, si sta occupando di raccogliere conoscenze sui metodi impiegati dagli artisti presenti nella collezione attraverso interviste agli stessi, ai fini di realizzare una banca dati che possa essere consultata per via informatica da tutti i partner del Progetto.
La presente tesi si apre con un capitolo dedicato ai materiali - da un lato la tela e il telaio, per Megara di Paolini, e dall’altro i metalli, in particolare l’acciaio inossidabile, supporto con cui Pistoletto realizza la gran parte dei suoi famosi Quadri specchianti a partire dal 1962 - soffermandosi in particolare sulle possibili cause di degrado e sui possibili interventi di restauro e conservazione.
Il secondo capitolo è dedicato al panorama storico-artistico che fa da sfondo alla produzione dei due maestri, usciti “indenni” dal clima Informale che domina a Torino alla fine degli anni Cinquanta e dal clamore suscitato dall’arrivo della Pop art americana, da cui si discosta Pistoletto, e della Conceptual art più rigorosa, a cui non deve essere assimilato Paolini, impegnato in un’indagine autonoma sul sistema dell’arte e della visione. Ad una città come Torino, fortemente influenzata dallo sviluppo industriale, bisogna tuttavia riconoscere di essere divenuta un polo attorno a cui gli artisti iniziano ad elaborare una nuova funzione dell’arte, in una rete di rapporti con la storia e la società, e che trova terreno fertile di sviluppo e diffusione nelle numerose gallerie che fioriscono in questo momento (dalla Bussola alla Sperone), favorendo il debutto di nuove personalità e l’emergere di nuovi fenomeni artistici come l’Arte povera.
Il cuore della tesi è rappresentato dai due capitoli centrali in cui vengono affrontate più in dettaglio Megara e Senza titolo (donna che fugge). Punto di partenza è la biografia artistica dei due maestri, significativa ai fini della ricerca e volta a dimostrare la formazione autodidatta, per Paolini, e presso il padre pittore-restauratore, per Pistoletto, gli stimoli, gli esordi, l’attività artistica sfaccettata (dalla pittura alla scultura, dal teatro all’editoria d’arte), le principali tappe della loro carriera, segnata dalle esposizioni nazionali e internazionali a cui prendono parte.
Dopo averne dato un inquadramento all’interno dell’ampio lavoro dei due artisti, si passa all’analisi dei due manufatti, per i quali si è tentato di ricostruire le vicende storiche ed espositive precedenti l’acquisto da parte del CIMAC, partendo dai dati riportati sulle schede di catalogo e di archivio, e di chiarire eventuali dubbi circa la precedenti collocazioni, la datazione e i materiali di cui si compongono. Dall’analisi delle questioni tecniche e dei restauri, a cui sono state sottoposte le due opere, sono emersi i principali problemi conservativi e i fattori di degrado che si verificano in lavori di questo tipo. Ulteriori informazioni su una conservazione e gestione ottimali delle due opere sono emerse dall’intervista.
Infine la tesi affronta la questione del significato presente nei due quadri, a cui contribuiscono le tecniche e i materiali utilizzati, avanzando ipotesi di confronto sia con altri loro lavori che con altri artisti. Servendosi di un materiale tradizionale come le tele, Paolini affronta l’indagine relativa allo spazio del quadro e alla capacità della tela di articolarsi sulla parete senza “soccombere” ad essa, avanzando, se permesso, un confronto storico con Tatlin e i suoi Angolari e, in anni più recenti, con Fontana e Castellani, recuperando la prospettiva delineata dalle quattro tele triangolari per farne il soggetto del quadro. La grande novità dell’arte di Pistoletto consiste invece nell’aver usato l’acciaio come piano bidimensionale, e non più in chiave plastico-scultorea, e nell’aver sfondato al tempo stesso il piano pittorico, combinando due materiali così lontani tra loro, l’acciaio per l’appunto e la velina dipinta, a cui aggiunge un terzo elemento ancora più effimero quanto reale, il riflesso dello spettatore. Lucio Fontana stesso manifesta il suo interesse nei confronti dei quadri specchianti, “capaci di cogliere la realtà che diviene di fronte al quadro” e dimostrando di aver saputo superare il significato che la tradizione artistica ha dato allo specchio.
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Informazioni tesi
Autore: | Laura Riva |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Lettere e Filosofia |
Corso: | Storia dell'arte |
Relatore: | Silvia Tosatti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 374 |
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