La tesi del giorno
Italia: come ci vedono all'estero?
Il periodo della crisi economica non è stato tenero con l'Italia, sia per i terremoti politici ed economici che si sono abbattuti su una struttura già problematica, sia per come il nostro Paese ha perso credibilità nei confronti dei partner commerciali e politici all'estero.
Certo è che lo sguardo "da fuori" sull'Italia non è stato sempre lusinghiero, anche prima del periodo della crisi o delle fasi turbolente dell'ultimo Governo Berlusconi.
La ricerca svolta dalla dott.ssa Elisabetta Ferrando per la sua tesi The Beautiful Country - Le inchieste di Economist sull’Italia 1964-2011 lascia infatti qualche strascico di amarezza.
"La delimitazione spazio-temporale della nostra indagine", spiega la dott.ssa Ferrando, "va dal 1964, anno di uscita del primo Special Survey (inserto speciale) dedicato all’Italia, al giugno 2011, data di pubblicazione dello Speciale più recente. Queste inchieste sono in tutto 11, e compaiono su 'Economist' ad intervalli variabili (dai 3 ai 7 anni), in quelli che potremmo definire momenti-chiave della vita italiana".
L'interesse della dott.ssa Ferrando si focalizza sull'Economist, perché, con una tiratura che supera abbondantemente il milione di copie diffuse in cinque paesi, permette di farsi un'idea chiara di come appare l'Italia all'esterno, anche se, puntualizza la dottoressa, si tratta pur sempre di un giornale che affonda le sue radici nel pensiero anglosassone.
Ecco alcune delle considerazioni dell'Economist sulla politica italiana presentate dalla dott.ssa Ferrando.
Le peculiarità del nostro Paese scaturirebbero da molte contraddizioni: "la prima e più importante, che racchiude tutte le altre, secondo 'The Economist', è proprio il suo status di nazione giovane […]. Le anomalie non finiscono qui: siamo un paese cattolico con il tasso di natalità più basso del mondo, siamo un paese ricco con servizi pubblici terrificanti («cercate di non ammalarvi in Italia») e con uno scarso senso di orgoglio civico, siamo un paese moralista dove la pornografia è in bella mostra; siamo un paese spaccato in due […] «Un popolo che può rivaleggiare con quello cinese per l’antichità della sua civiltà è – a differenza dei cinesi – così insicuro di se stesso e così preoccupato di come gli altri lo vedono» (Great expectations, 'The Economist', 26 June 1993)".
Sulle vicende particolari della politica italiana il giornale inglese ha parole tutt'altro che tenere.
Ad esempio, Londra così commentata Mani Pulite : «Gli scandali dell’Italia fanno apparire quelli altrui, compreso il Watergate, cosette da nulla» (Vox populi, 'The Economist', 26 June 1993)".
Non positivo nemmeno il bilancio del Governo Berlusconi: "«[Berlusconi] avrebbe potuto fare di più, se avesse usato il suo potere e la sua popolarità per fare qualcos’altro oltre che proteggere i propri interessi. L’Italia imprenditoriale pagherà a caro prezzo per i suoi piaceri» (The man who screw an entire country, 'The Economist', 9 June 2011)".
"Però il giornale", sottolinea la dott.ssa Ferrando, "si guarda bene dall’addossare al Cavaliere tutte le responsabilità per le condizioni in cui versa l’Italia: «Se l’Italia è un paziente con alcuni disturbi particolari, Berlusconi è più un sintomo che non una causa, anche se in una certa misura ha plasmato il paese a sua immagine. Ma che cosa si lascerà alle spalle?» (The Cavaliere and the cavallo, 'The Economist', 9 June 2011)".
La dott.ssa Ferrando cita una copertina per evidenziare l'importanza dell'Italia in Europa secondo l'Economist: si tratta della prima pagina dell’8 gennaio 1994, "intitolata «Welcome to Europe, Mr Clinton». L’Italia brilla per la sua assenza. Non c’è nel gruppetto dove spiccano il contadino francese, il tedesco in abito tradizionale, e il bulldog britannico […]. Ci sono anche l’Ucraina con un cestino pieno di missili, la Serbia, con la colomba della pace infilzata sulla baionetta […], ma dell’Italia nessuna traccia".
La dott.ssa Ferrando ci conduce dalla politica all'economia, dove l'Economist ci paragona ad "un cavallo in affanno dopo una corsa", quella dell'exploit economico degli anni '60. Un'Italia che "vorrebbe assomigliare alla Svizzera, ma per certi versi è molto simile alla Tunisia, e rimane come sospesa tra l’anelito nord-europeo e l’eredità del Mediterraneo meridionale, in una forbice tra due realtà che non accenna a ridursi".
Parlando invece di costume e società, "l’Italia di 'Economist' è dominata dall’istituto della famiglia, che condiziona ogni aspetto della vita economica e sociale del paese. L’Italia non è un paese a misura di giovani, dominata com’è dall’anti-meritocrazia da un lato, e da un’onnipresente gerontocrazia".
La dott.ssa Ferrando ci lascia con una considerazione dolce/amara: "Giunti alla fine di questo percorso di ricerca alla scoperta dello sguardo di 'Economist' sull’Italia possiamo dire che, a ben guardare, l’occhio è più indulgente di quanto potrebbe apparire a prima vista; se il giornale è impietoso nell’additare le manchevolezze e i difetti strutturali del nostro paese dal dopoguerra in avanti, d’altro canto non adotta mai un approccio disfattista, come spesso tendiamo a fare noi italiani, ma al contrario, partendo sempre da quanto di positivo esiste, e sempre pronto a proporre dei correttivi, non smette mai di credere con slancio nel potenziale italiano".
Molto utili le Appendici, che forniscono un riassunto della 11 Surveys dell'Economist, un'analisi dei titoli dati dal giornale inglese e una sezione dedicata all’espressione con valore aggettivale “italian style”.
Nell'immagine la copertina dello speciale dell'Economist sull'Italia del 9 giugno 2011