La tesi del giorno
Colombia: la fine dei popoli indigeni
La Colombia non mostra all'estero il suo lato migliore: le notizie che filtrano sui media internazionali non fanno che confermare come il Paese sia tuttora percorso da moti violenti.
Si pensi ad esempio alla risonanza internazionale del caso di Ingrid Betancourt tenuta prigioniera dalle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia).
Oppure alla dichiarazione del direttore del Dipartimento dei Diritti Umani e della Solidarietà, che nel 2010 denunciava come il 60% dei sindacalisti assassinati nel mondo fosse colombiano.
C'è però un dramma in Colombia che si sta consumando sottovoce ed è la scomparsa progressiva delle minoranze etniche autoctone del Paese.
La dott.ssa Claudia Porpora nella sua tesi Minoranze etniche della Colombia a rischio di estinzione: le politiche nazionali e globali di sfruttamento territoriale ci racconta la situazione dei popoli indigeni colombiani, grazie anche all'esperienza maturata presso il Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali di Roma, un osservatorio creato dall’Associazione Asud per il monitoraggio, l’analisi e la diffusione di informazioni relative ai conflitti ambientali e sociali dovuti allo sfruttamento di risorse naturali nel “Sud” del mondo.
Sottolinea la dott.ssa Porpora che, nonostante la Costituzione del 1991 abbia segnato un profondo cambiamento di principi, grazie al riconoscimento dello Stato colombiano come “Stato Sociale di Diritto” interessato della diversità etnica e culturale della nazione con l'obbligo per l’amministrazione pubblica della sua tutela, il sistema politico si è finora dimostrato incapace di far sì che questi riconoscimenti avessero un risvolto pratico.
"Nel clima di violenza del conflitto armato che affligge la Colombia ormai da cinquant’anni, si svela infatti una connivenza sotterranea tra le grandi multinazionali che si occupano dell’estrazione petrolifera nei territori “indigeni”, unitamente alle organizzazioni criminali per la produzione di cocaina ed allo Stato stesso, con i gruppi militari regolari ed irregolari".
In questo contesto di instabilità sociale le comunità indigene sono sottoposte a continui attacchi di violenza e sfollamenti forzati per sottrar loro i territori in cui vivono da secoli.
Per fermare questo genocidio, è stata fondata nel 1982 l’ONIC (Organización Indígena de Colombia) durante il Primo congresso Nazionale dei Popoli Indigeni, e costituita da 48 organizzazioni “indigene” presenti nel paese con l’obiettivo di salvaguardare i popoli nel rispetto della loro vita, cultura, autonomia, ed unità; principi che hanno orientato la lotta e la resistenza.
L'organizzazione, pur rivolgendosi alla platea internazionale (ONU compreso) oltre a quella nazionale, non riesce a competere con le forze economiche e politiche che dispiegano i loro interessi nel territorio colombiano.
Porpora approfondisce nel suo lavoro alcuni dei casi più eclatanti di violenze sulle comunità indigene colombiane.
Ci racconta, ad esempio, il caso del popolo Wachina (Pizamira), che attualmente comprende soltanto 50 membri, che "è stato colpito in maniera particolarmente gravosa dalle conseguenze del conflitto, che ha visto coinvolti anche gli stessi bambini e bambine della comunità, studenti presso centri d’istruzione o scuole rurali, reclutati forzatamente dai militari; oltre a dover subire l’occupazione illegale dei propri territori".
In particolare è l'attività petrolifere a compromettere la vita di queste comunità: dagli inizi del ventesimo secolo le imprese multinazionali hanno distrutto la vita di quelle che abitavano terre particolarmente ricche di petrolio: come i Bari nel Catatumbo, gli Zenù di Cordoba, le etnie Inga, Kofán, Siona, Huitoto e Coreguaje nel Putumayo, i Sáliba nel Casanare e i Nukak del Guaviare.
"Le imprese, approfittando dell’assenza di controllo sulle loro attività, invasero questi territori distruggendone la natura originaria ed obbligando le popolazioni locali a subire la propria imposizione di potere: attraverso minacce, maltrattamenti e sfollamenti forzati volti a cedere spazio a queste attività".
Come il caso della comunità "Guahibas che si è vista oggetto di persecuzioni, soprattutto con l'assalto dei paramilitari tra il 2002 e il 2004, tanto da vedersi costretta ad abbandonare le proprie terre. Non vi hanno però rinunciato del tutto e la zona si è trasformata in un teatro di conflitti armati tra la guerriglia e i paramilitari senza che le autorità locali intervenissero per sedare il conflitto".
Accanto alle società petrolifere i grandi coltivatori di cocaina, attività illegale che ha un forte impatto sociale ed ambientale in ogni fase della sua lavorazione. Il narcotraffico è sostenuto e controllato da vari gruppi paramilitari (Antigas AUC, FARC, ELN), ma ne traggono beneficio, sotto varie forme, anche la Polizia Nazionale, l’Esercito colombiano, le imprese statunitensi che basano il proprio investimento sul rifornimento di materiale o nella formazione.
Consapevoli del degrado individuale e collettivo e dell'estrema difficoltà in cui si trovano, le comunità indigene, sostiene la dott.ssa Porpora, cercano un dialogo a 360° a livello nazionale e con gli stessi gruppi armati per risolvere i conflitti e proteggere le proprie famiglie.
Ecco le parole di un capo del popolo Wachina riportate dalla dott.ssa Porpora: "[…] dunque io vorrei anche che i dirigenti dell’ONIC possano discutere con i dirigenti a livello nazionale delle FARC, affinché fungano da mediatori per il nostro popolo, e che chiedano con urgenza l’attuazione delle direttive delle FARC a livello nazionale, che le FARC qui non rispettano, e non ci lasciano in pace, né a noi, né alle nostre figlie, ai nostri giovani, poiché vorremmo tornare nuovamente ad organizzarci, a fortificarci nuovamente (…), ma se si pensa di arrendersi, allora vale la pena per un popolo morire".