Appunti di Diritto Amministrativo. Docente Prof.ssa Serena Manzin
Diritto Amministrativo
di Valerio Morelli
Appunti di Diritto Amministrativo. Docente Prof.ssa Serena Manzin
Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma
Facoltà: Economia
Esame: Diritto Amministrativo
Docente: Prof.ssa Serena Manzin1. L’amministrazione e il suo diritto
Il diritto amministrativo è la disciplina giuridica della PA nella sua organizzazione, nei beni e nell’attività
ad essa peculiari e nei rapporti che s’instaurano con gli altri soggetti dell’ordinamento. Gli Stati
caratterizzati dalla presenza di un corpo di regole amministrative distinte dal diritto comune sono definiti
come Stati a regime amministrativo.
La rivoluzione francese è ritenuta la svolta decisiva ai fini della nascita del diritto amministrativo in senso
moderno. Il diritto amministrativo si diffuse poi in Europa in concomitanza con l’estensione del modello di
amministrazione napoleonica. Negli Stati a regime amministrativo, l’attività della PA non si esaurisce nella
sola attività di diritto pubblico. Si assiste, infatti, alla espansione dell’attività di diritto privato della PA
stessa. L’attività amministrativa può essere esercitata dai soggetti pubblici tanto nelle forme del diritto
pubblico, quanto nelle forme del diritto privato.
Ad esempio, l’applicazione del diritto privato e l’uso di strumenti privatistici saranno temperati da garanzie
ad esso estranee, creando un diritto speciale dell’amministrazione. Disciplinata in parte dal C.C. è
l’attività amministrativa che determina la costituzione di status, di capacità, di rapporti di diritto privato,
mediante trascrizioni, registrazioni e documentazioni (c.d. amministrazione pubblica del diritto privato).
Le organizzazione internazionali sono dotate di una propria struttura amministrativa e spesso intrattengono
relazioni con gli stati e con le amministrazioni nazionali, relazioni che possono essere rilevanti per lo studio
dei compiti delle amministrazioni nazionali stesse. Riguardo a tali organizzazioni, da sottolineare il rapporto
tra l’amministrazione comunitaria con quella italiana. Tale scelta si giustifica per la maggiore importanza
che, sotto il profilo del diritto amministrativo, l’UE riveste rispetto alle altre organizzazioni internazionali
di cui anche l’Italia fa parte.
Il moltiplicarsi della disciplina dell’attività amministrativa posta dalle fonti comunitarie (es. direttive e
regolamenti) offre esempi di condizionamento dell’azione amministrativa ad opera di tali fonti. Al fine di
descrivere questo complesso di normative, si usa l’espressione diritto amministrativo comunitario.
Un’influenza crescente con riferimento ad alcuni settori del diritto amministrativo è destinata a produrre la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, convenzione
firmata il 4 novembre 1950 a Roma dai Paesi aderenti al Consiglio d’Europa.
La giurisprudenza tende a dare rilievo alla Convenzione, sia mediante il meccanismo della disapplicazione
della norma interna con essa contrastante, sia affermando la necessità di sollevare la questione di
costituzionalità delle norme rispetto ad essa difformi. Ulteriore passo avanti è stato compiuto con il Trattato
di Nizza del 21 febbraio 2001, che ha modificato il trattato dell’UE innovando ampiamente la sua
organizzazione, rinsaldando i vincoli comunitari e prevedendo cooperazioni rafforzate tra gli Stati membri.
A Nizza è stata proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, rilevante atto che potrebbe dare
ulteriore impulso al processo di integrazione comunitaria, riaffermando diritti già riconosciuti dalla
giurisprudenza comunitaria. La Conferenza intergovernativa del 18 giugno 2004 a Bruxelles ha approvato
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Diritto Amministrativo un testo finale di CE, un trattato avente la funzione di costituire il fondamento dell’UE e che incorpora
anche la Carta dei diritti fondamentali.
Il processo di ratifica da parte degli Stati membri ha avuto una rilevante battuta d’arresto a seguito del rifiuto
espresso nel giugno 2005 da Francia e Olanda, sollevando gravi perplessità circa il futuro di questa
Costituzione; pure la ratifica del successivo Trattato di Lisbona (dicembre 2007) ha subito un arresto con la
vittoria del “no” nel referendum di ratifica celebrato in Irlanda nel giugno 2008.
Il diritto amministrativo comunitario è quello avente ad oggetto l’amministrazione comunitaria,
l’insieme degli organismi e istituzioni dell’UE (creata con il Trattato di Maastricht sottoscritto il 7 febbraio
1992) cui è affidato il compito di svolgere attività amministrativa e di emanare atti amministrativi. Il
moltiplicarsi dei compiti dell’UE impone lo sviluppo dei raccordi tra istituzioni comunitarie e
amministrazioni nazionali e induce ad una modifica delle competenze di quest’ultime e della loro
organizzazione, la quale deve essere strutturata in modo da poter rapportarsi al meglio con gli interlocutori
comunitari.
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Diritto Amministrativo 2. Ordinamento giuridico e amministrazione
Con il termine ordinamento giuridico generale s’indica l’assetto giuridico e l’insieme delle norme
giuridiche che si riferiscono ad un particolare gruppo sociale. Molte norme sono costituite da
prescrizioni costituzionali le quali rappresentano la formalizzazione giuridica dell’organizzazione sociale
colta a livello statale. Si parla di amministrazione nella sezione II del titolo III della parte seconda della
Costituzione.
Dal quadro normativo costituzionale emergono diversi modelli di amministrazione. In primo luogo (art.98)
l’amministrazione pare direttamente legata alla collettività nazionale, al cui servizio i suoi impiegati sono
posti. Vi è poi il modello (art.5) dettato dal disegno del decentramento amministrativo e dalla
promozione delle autonomie locali, capaci di esprimere un proprio indirizzo politico – amministrativo.
Diverso è lo schema che contiene una riserva di legge (art.97) e mira a sottrarre l’amministrazione al
controllo politico del Governo tipico del periodo storico che ha preceduto l’entrata in vigore della
Costituzione: un’amministrazione indipendente dal Governo e che si legittima per la sua imparzialità ed
efficienza. Il Governo, assieme al Parlamento, esprime un indirizzo politico ed amministrativo (art.95).
L’indirizzo politico si definisce come la direzione politica dello Stato e come quel complesso di
manifestazioni di volontà in funzione del conseguimento di un fine unico, le quali comportano la
determinazione di un impulso unitario e di coordinazione affinché i vari compiti statali si svolgano in modo
armonico, mentre l’indirizzo amministrativo, che deve essere stabilito nel rispetto dell’indirizzo politico,
consiste nella prefissarsi obiettivi dell’azione amministrativa. L’ordinamento fa anche riferimento
all’indirizzo politico – amministrativo svolto dagli organi di governo delle varie amministrazioni,
caratterizzato dalla definizione di obiettivi, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa
e per la gestione.
Il principio di responsabilità (art.28) afferma che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti
pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti
in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Il
termine responsabilità è spesso utilizzato dalla normativa regionale. Si parla di “responsabile” per indicare
il soggetto che deve rendere conto del complesso dell’attività di un ufficio ad esso facente capo. La legge sul
procedimento amministrativo ha previsto l’istituzione della figura del responsabile del procedimento: il
responsabile del procedimento soddisfa una esigenza di trasparenza e di identificabilità di un contraddittore
all’interno dell’amministrazione procedente che sia individuabile e contattabile dal cittadino. Il principio di
legalità esprime l’esigenza che l’amministrazione sia assoggettata alla legge, anche se esso, è applicabile sia
all’amministrazione che a qualsiasi potere pubblico.
Nel nostro ordinamento giuridico convivono più concezioni del principio di legalità. È considerato in
termini di non contraddittorietà dell’atto amministrativo rispetto alla legge (preferenza della legge). I
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Diritto Amministrativo regolamenti amministrativi non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge e vi è
l’obbligo per il giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi e i regolamenti non “conformi” alle
leggi. Si parla di principio di legalità inteso nella sua accezione di conformità formale, nel senso che il
rapporto tra legge e amministrazione è impostato non solo sul divieto di quest’ultima di contraddire la legge,
ma anche sul dovere della stessa di agire nelle ipotesi ed entro i limiti fissati dalla legge che attribuisce il
relativo potere.
Per quanto riguarda i provvedimenti amministrativi, esiste il principio di legalità inteso come conformità
sostanziale, ossia s’intende fare riferimento alla necessità che l’amministrazione agisca non solo entro i
limiti della legge, ma anche in conformità della disciplina sostanziale posta dalla legge stessa, la quale
incide sulle modalità d’esercizio dell’azione e penetra all’interno dell’esercizio del potere. I parametri ai
quali l’attività amministrativa deve fare riferimento sono più ampi della sola legge in senso formale: ciò
permette di spiegare perché in dottrina si parli, oltre alla legalità, anche di legittimità, la quale consiste nella
conformità del provvedimento e dell’azione amministrativa a parametri diversi dalla legge.
Il principio di legalità è legato a quello di tipicità dei provvedimenti amministrativi: l’amministrazione può
emanare provvedimenti stabiliti in modo tassativo dalla legge stessa. Per quanto attiene ai rapporti tra legge
e attività amministrativa, occorre richiamare il principio del giusto procedimento, elaborato dalla Corte
Costituzionale ed avente la dignità di principio generale dell’ordinamento. Esso esprime l’esigenza che, nel
caso di incisione di diritti, vi sia una distinzione tra il disporre in astratto con legge e il provvedere in
concreto con atto alla stregua della disciplina astratta, mettendo i privati interessati in condizioni di esporre
le proprie ragioni sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico.
L’art.97 pone due principi relativi all’amministrazione: principio di buon andamento e principio di
imparzialità. Comune ad entrambi è il problema teorico del loro campo di applicazione: la norma li riferisce
all’organizzazione amministrativa.
Il concetto di imparzialità esprime il dovere dell’amministrazione di non discriminare la posizione dei
soggetti coinvolti dalla sua azione nel perseguimento degli interessi affidati alla sua cura. Il principio postula
un comportamento attivo volto alla realizzazione di un assetto imparziale dei rapporti. Al fine di cogliere
il significato dell’imparzialità, l’amministrazione deve perseguire quegli interessi pubblici che la legge
determina e definisce: pertanto, l’amministrazione è parziale. L’imparzialità impone che l’amministrazione
sia strutturata in modo da assicurare una condizione oggettiva di aparzialità. Sotto tale profilo, il precetto
costituzionale si rivolge sia al legislatore, sia all’amministrazione in quanto ponga la disciplina della propria
organizzazione e le concrete misure di organizzazione; la norma costituzionale contiene una riserva di
organizzazione in capo all’esecutivo. L’azione dell’amministrazione potrebbe essere parziale anche se posta
in essere da un’organizzazione imparziale. Il principio di buon andamento impone che l’amministrazione
agisca nel modo più adeguato e conveniente possibile. Applicazioni del principio di buon andamento si
ricordano nella disciplina del lavoro presso le PA, le esigenze della razionale distribuzione del personale
nelle carriere e della corrispondenza tra livello retributivo e qualifica esercitata. Il problema del buon
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Diritto Amministrativo andamento non va confuso con quello del dovere funzionale di buona amministrazione a carico dei pubblici
dipendenti. Tale dovere non può andare al di là di ciò che alla diligenza di un amministratore di qualità
media può essere richiesto. Il buon andamento va riferito alla PA nel suo complesso: non al funzionario, ma
all’ente.
L’amministrazione deve attenersi anche ai criteri di economicità, efficacia, efficienza (le tre “E”),
pubblicità e trasparenza. Secondo un approccio aziendalista, il criterio di efficienza indica la necessità di
misurare il rapporto tra il risultato dell’azione organizzativa e la quantità di risorse impiegate per ottenere
quel dato risultato: costituisce la capacità di una organizzazione complessa di raggiungere i propri obiettivi
attraverso la combinazione ottimale dei fattori produttivi. Il criterio di efficacia è collegato al rapporto tra
ciò che si è effettivamente realizzato e quanto si sarebbe dovuto realizzare sulla base di un piano o
programma. Efficienza ed efficacia non coincidono: un’amministrazione che possa utilizzare pochissimi
mezzi potrebbe essere efficiente ma non efficace, così come un’attività efficace che raggiunge obiettivi
prefissi non necessariamente è efficiente. I criteri di pubblicità e trasparenza possono essere riferiti sia
all’attività sia all’organizzazione e alla duplice declinazione del termine amministrazione. I due concetti
costituiscono applicazione del principio di imparzialità e appaiono molto simili.
Ad essi possono essere ricondotti molteplici istituti tra i quali il diritto di accesso, la pubblicità degli atti, la
motivazione, l’istituzione degli uffici di relazione con il pubblico, il responsabile del procedimento e le
attività di informazione e di comunicazione delle amministrazioni. La legislazione valorizza gli strumenti
digitali per la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruizione delle
informazioni. Cittadini e imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle tecnologie telematiche
nelle comunicazioni con le PA centrali e con i gestori di pubblici servizi statali.
Ulteriore principio dell’ordinamento dettato con riferimento all’allocazione delle funzioni amministrative è
il principio di sussidiarietà, inteso come attribuzione di funzioni al livello superiore di governo esercitabili
nell’ipotesi in cui il livello inferiore non riesca a curare gli interessi ad esso affidati. L’art.5 riguarda il
decentramento, figura riferibile a tutti i poteri decisori e che implica la necessità che tali poteri non siano
tutti racchiusi e conferiti in un “centro”. Il decentramento è un fenomeno organizzativo che può assumere
diverse forme: burocratico (comporta il trasferimento di competenze da organi centrali a periferici di uno
stesso ente) o autarchico (previsto a favore di enti locali, permettendo che la cura di interessi locali sia
affidata ad enti di collettività locali, diversi dallo Stato). Il principio di sussidiarietà può essere inteso in
senso verticale (relativo alla distribuzione delle competenze tra centro e periferia) e orizzontale (nei
rapporti tra poteri pubblici e organizzazioni della società).
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