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Le limitazioni della concorrenza



La libertà di iniziativa economica privata e la conseguente libertà di concorrenza sono libertà disposte nell’interesse generale e non possono svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Tali libertà possono essere comprese e limitate dai pubblici poteri, i relativi interventi limitativi devono rispondere a fini di utilità sociale e devono essere disposti da parte del legislatore ordinario.
Forme di regolamentazione pubblicistica dell’iniziativa economica privata che si risolvono in limitazioni della libertà di concorrenza:
I controlli sull’accesso al mercato di nuovi imprenditori, attuati subordinando l’esercizio di determinate attività a concessione o ad autorizzazione amministrativa.
Gli ampi poteri di indirizzo e di controllo dell’attività riconosciuti alla pubblica amministrazione nei confronti delle imprese che operano in settori di particolare rilievo economico e/o sociale.
L’articolato sistema di controllo pubblico dei prezzi di vendita, che per beni o servizi strategici o di largo consumo può giungere fino alla fissazione di prezzi di imperio.
L’interesse generale può legittimare anche la radicale soppressione della libertà di iniziativa economica privata e di concorrenza. L’art. 43 Cost. pone una serie  di limiti, formali e sostanziali, al riconosciuto potere statale di creare monopoli pubblici. È necessario che la riserva di attività sia disposta con legge ordinaria e che il sacrificio della libertà di iniziativa risponda a fini di utilità generale. Sono predeterminati in modo tassativo i settori nei quali può essere legittimamente istituito un monopolio pubblico.
Permangono ancora alcuni monopoli pubblici, determinati anche dallo scopo di procurare entrate allo Stato (monopoli fiscali).

Quando la produzione di determinati beni o servizi è attuata in regime di monopolio legale, non trova applicazione nei confronti dell’impresa monopolistica la normativa antitrust. Il legislatore si preoccupa però di tutelare gli utenti contro possibili comportamenti arbitrari del monopolista.
Vi è un duplice obbligo a carico di chi opera in regime di monopolio: a) l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa; b) l’obbligo di rispettare la parità di trattamento fra i diversi richiedenti.
L’obbligo di contrarre del monopolista ed il corrispondente diritto soggettivo dell’utente sussistono perciò per le richieste che siano compatibili con i mezzi ordinari dell’impresa. Le richieste dovranno essere soddisfatte secondo il loro ordine cronologico e, qualora più richieste simultanee non possono essere soddisfatte per intero, il monopolista dovrà ripartire proporzionalmente la quantità disponibile fra i diversi utenti.
Il rispetto del principio della parità di trattamento comporta che il monopolista debba predeterminare e rendere note al pubblico le proprie condizioni contrattuali che, di regola, sono in larga parte fissate in via legislativa o sottoposte a preventiva approvazione amministrativa, per evidenti ragioni di tutela dei consumatori contro condizioni eccessivamente onerose o vessatorie. Le condizioni generali di contratto dovranno poi essere applicate nei confronti di chiunque.
Le condizioni contrattuali debbono essere necessariamente le stesse per tutti gli utenti. Il monopolista potrà prevedere anche modalità e tariffe differenziate, purchè predetermini i relativi presupposti di applicazione e ne faccia godere chiunque si trovi nelle condizioni richieste. Ogni altra deroga alle condizioni generali do contratto è nulla e la singola clausola difforme è sostituita ex lege da quella prevista nelle condizioni generali.
La disciplina è espressamente riferita a chi opera in condizioni di monopolio legale. Non è invece applicabile al monopolista di fatto; all’imprenditore che, pur non godendo di un regime di esclusiva, abbia una posizione dominante sul mercato ed in fatto controlli la produzione ed il commercio di un bene o di un servizio non facilmente sostituibili dai consumatori. In quanto norma eccezionale, essa non è suscettibile di applicazione analogica ai monopoli di fatto.
Al monopolista di fatto (diversamente che al monopolista legale) è però applicabile la normativa a tutela della concorrenza; e ciò consente di reprimere per altra via le pratiche discriminatorie e vessatorie poste in essere dallo stesso nei confronti di altri imprenditori (ma non dei consumatori).

Nel codice civile si rivengono norme che pongono a carico di soggetti legati da particolari rapporti contrattuali l’obbligo di astenersi dal far concorrenza alla controparte. Al fine di assicurare il corretto svolgimento o la corretta esecuzione di quel determinato contratto (divieti legali di concorrenza).
Si tratta per lo più di divieti che accedono ad un rapporto di collaborazione economica destinato a svilupparsi nel tempo. Tali divieti hanno poi carattere dispositivo: operano senza che sia necessaria un’espressa pattuizione, ma sono convenzionalmente derogabili.
Rientrano fra i divieti legali di concorrenza:
l’obbligo di fedeltà a carico dei prestatori di lavoro previsto dall’art. 2105, che fa divieto agli stessi di trattare affari (per conto proprio o di terzi) in concorrenza con l’imprenditore fin quando dura il rapporto di lavoro;
il divieto di esercitare, direttamente o indirettamente, attività concorrente con quella della società, posto a carico dei soci a responsabilità illimitata di società di persone e degli amministratori di società di capitali e cooperative;
il diritto di esclusiva reciproca nel contratto di agenzia, in base al quale né il prepotente può servirsi contemporaneamente di più agenti per la stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l’agente può assumere l’incarico in una stessa zona per più imprese in concorrenza fra loro.
Fra i divieti in esame rientra anche il divieto di concorrenza posto a carico di chi aliena un’azienda commerciale.

La libertà individuale di iniziativa economica e di concorrenza è libertà parzialmente disponibile. L’art. 2596 cod. civ. consente la stipulazione di accordi restrittivi della concorrenza e detta nel contempo una disciplina di carattere generale degli stessi fondata su tre regole.
Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Non può precludere al soggetto che si vincola lo svolgimento di ogni attività professionale in quanto è espressamente previsto che il patto stesso è valido solo se circoscritto ad un determinato ambito territoriale o, alternativamente, ad un determinato tipo di attività. È infine imposto un limite di durata: massimo cinque anni.
Tutelare il soggetto o i soggetti che assumono convenzionalmente l’obbligo di non concorrenza, evitando un’eccessiva compressione della loro libertà individuale di iniziativa economica.
È opportuno considerare separatamente due distinte categorie di patti anticoncorrenziali: i patti autonomi e quelli accessori.
L’accordo limitativo della concorrenza può presentarsi come un autonomo contratto che ha come oggetto e funzione esclusivi la restrizione della libertà di concorrenza. Un tale contratto può porre obblighi di non concorrenza a carico di una sola delle parti (restrizione unilaterale). Più frequente è che l’accordo preveda obblighi di non concorrenza a carico di tutti gli imprenditori partecipanti all’intesa (restrizioni reciproche).
Questi ultimi contratti si definiscono cartelli o intese e possono prevedere impegni reciproci di vario tipo.
I contratti che prevedono obblighi unilaterali ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 2596.
Le finalità di un cartello possono essere realizzate anche attraverso la stipulazione di un contratto di consorzio, contratto tipico e specificamente regolato.
Il limite di durata quinquennale, previsto in via generale dall’art. 2596, è applicabile con certezza solo alle restrizioni reciproche della concorrenza che non prevedono la costituzione di una organizzazione comune per la realizzazione del loro oggetto.
Le restrizioni negoziali della concorrenza possono atteggiarsi anche come clausola accessoria di altro contratto avente un diverso oggetto. Possono prevedere sia restrizioni della concorrenza a carico di una sola delle parti, sia restrizioni reciproche. Possono intercorrere sia fra imprenditori in diretta concorrenza fra loro in quanto operano al medesimo livello del processo produttivo o commerciale (restrizioni orizzontali), sia fra imprenditori operanti a livelli diversi e fra i quali manca un rapporto diretto di concorrenza (restrizioni verticali).
Alcuni di tali patti accessori formano oggetto di specifica disciplina legislativa:
La clausola  di esclusiva, unilaterale o reciproca, che può essere convenzionalmente inserita in un contratto di somministrazione.
Il patto di preferenza a favore del somministrante inseribile nello stesso contratto di somministrazione. Non può eccedere la durata di cinque anni.
Il patto di non concorrenza con il quale si limita l’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto. Il patto è nullo se non risulta da atto scritto. È nullo se non è previsto un corrispettivo a favore del lavoratore. Salvo che per i dirigenti (cinque anni) il vincolo non può eccedere tre anni dalla fine del rapporto di lavoro.
Il patto con cui si limita la concorrenza dell’agente dopo lo scioglimento del contratto di agenzia. Tale patto deve farsi per iscritto, non può avere durata superiore a due anni e deve riguardare la stessa zona, clientela e genere di beni o servizi oggetto del contratto di agenzia.
La disciplina generale dettata dall’art. 2596 è in via di principio applicabile solo ai patti accessori innominati: patti di esclusiva e di preferenza inseriti in altri contratti.
Anche per i patti innominati deve essere operata una distinzione. Il limite quinquennale si applica solo alle clausole innominate che comportano limitazioni della concorrenza non funzionali al tipo di contratto cui accedono; non invece quando tra il patto ed il contratto sussiste un collegamento causale in modo che il primo adempia alla stessa funzione economica del secondo.
L’ambito di operatività dell’art. 2596 conduce l’opinione secondo cui le relative limitazioni si applicherebbero solo alle restrizioni orizzontali della concorrenza; ai patti cioè stipulati fra produttori o fra rivenditori della stessa merce.
I patti di non concorrenza stipulati fra imprenditori che operano a livello diverso (restrizioni verticali).
Un patto di esclusiva fra produttore e commerciante implica anche una diretta restrizione della concorrenza a carico del secondo precludendogli la possibilità di rifornirsi da altri produttori. Ricade perciò nell’ambito di applicazione dell’art. 2596 ed ovviamente anche della disciplina antimonopolistica.

Tratto da DIRITTO DELL'IMPRESA di Enrica Bianchi
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