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La legislazione della concorrenza



Il modello ideale di funzionamento del mercato teorizzato dagli economisti è quello della concorrenza perfetta. Modello ideale e perfetto in quanto la concorrenza spinge verso una generale e progressiva riduzione sia dei costi di produzione sia dei prezzi di vendita. Modello perfetto altresì in quanto assicura la naturale eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive, stimola il progresso tecnologico e l’accrescimento dell’efficienza produttiva delle imprese, determina la più razionale utilizzazione delle limitate risorse e il raggiungimento del grado più elevato possibile di benessere economico e sociale.
L’oligopolio è un mercato cioè caratterizzato dal controllo dell’offerta da parte di poche grandi imprese.
Il riconoscimento legislativo della libertà di iniziativa economica privata e della conseguente libertà di concorrenza è presupposto necessario ma non sufficiente perché si instauri un regime oggettivo di mercato caratterizzato da un sufficiente grado di concorrenza effettiva. Necessaria è anche una regolamentazione giuridica della concorrenza che impedisca il formarsi ed il perpetuarsi di situazioni di monopolio o di quasi-monopolio.
Concentrazioni e pratiche limitative della concorrenza sono fenomeni che sovente rispondono ad esigenze oggettive del sistema economico e che non si pongono necessariamente in contrasto col funzionamento concorrenziale del mercato.
La ricerca di un faticoso punto di equilibrio fra il modello teorico ed utopico della piena e perfetta concorrenza e la realtà operativa, costituisce la linea direttiva di fondo che ispira la disciplina della concorrenza nei sistemi giuridici ad economia libera.
Fissato il principio guida della libertà di concorrenza, il legislatore italiano:
consente limitazioni legali della stessa per fini di utilità sociale ed anche la creazione di monopoli legali in specifici settori di interesse generale;
ricollega alla stipulazione di determinati contratti divieti di concorrenza fra le parti, finalizzati al corretto svolgimento del rapporto cui accedono ed alla tutela degli interessi patrimoniali del beneficiario del divieto stesso;
consente limitazioni negoziali della concorrenza, ma ne subordina nel contempo la validità al rispetto di condizioni che ne comportino un radicale sacrificio della libertà di iniziativa economica attuale e futura;
assicura l’ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la repressione degli atti di concorrenza sleale.

La libertà di iniziativa economica e la competizione fra imprese non possono tradursi in atti e comportamenti che pregiudicano in modo rilevante e durevole la struttura concorrenziale del mercato.
La disciplina comunitaria, direttamente applicabile alle imprese italiane, è volta a preservare il regime concorrenziale del mercato comunitario e a reprimere le pratiche anticoncorrenziali che pregiudicano il commercio fra Stati membri.  
Un organo pubblico indipendente che vigila sul rispetto della normativa antimonopolistica generale è l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L’Autorità garante è investita di ampi poteri di indagine ed ispettivi, adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari ed irroga le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge.
La competenza dell’Autorità italiana ha carattere residuale: è circoscritta alle pratiche anticoncorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono sulla concorrenza nel mercato comunitario.

Tre sono i fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria:
• le intese restrittive della concorrenza;
• gli abusi di posizione dominante;
• le concentrazioni.

Le intese sono comportamenti concordati fra imprese volti a limitare la propria libertà di azione sul mercato.
Non tutte le intese anticoncorrenziali sono però vietate. Vietate sono solo le intese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato (nazionale o comunitario) o in una sua parte rilevante. Sono quindi lecite le cosiddette intese minori; quelle intese cioè che per la struttura del mercato interessato, le caratteristiche delle imprese operanti e gli effetti sull’andamento dell’offerta non incidono sull’assetto concorrenziali del mercato.
La legge elenca cinque tipi di intese espressamente vietate.
Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto. Chiunque, indipendentemente dall’iniziativa dell’Autorità, può agire in giudizio per farne accertare la nullità. L’Autorità accerta con apposita istruttoria le infrazioni commesse, adotta i provvedimenti per la rimozione degli effetti anticoncorrenziali già prodottisi ed irroga le sanzioni pecuniarie previste.
Il divieto di intese anticoncorrenziali rilevanti non ha però carattere assoluto. L’Autorità può infatti concedere esenzioni temporanee, purchè ricorrano le condizioni specificate dalla legge. Si deve trattare di intese che migliorano le condizioni di offerta sul mercato e producono un sostanziale beneficio per i consumatori in termini di aumento della produzione, di miglioramento qualitativo della stessa o della distribuzione, di progresso tecnico. È necessario che non sia eliminata la concorrenza da una parte sostanziale del mercato.

Il secondo fenomeno preso in considerazione dall’ordinamento nazionale e comunitario è l’abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese.
Vietato è solo lo sfruttamento abusivo di tale posizione dominante, individuale o collettiva, con comportamenti lesivi dei concorrenti e dei consumatori capaci di pregiudicare la concorrenza effettiva.
Nella valutazione della posizione dominante un ruolo decisivo gioca l’individuazione, merceologica e geografica, del mercato rilevante.
I comportamenti tipici che possono dar luogo ad abuso di posizione dominante sono identificati, a titolo esemplificativo, negli stessi comportamenti che possono formare oggetto di intese vietate.
Il divieto di abuso di posizione dominante non ammette eccezioni. Accertata l’infrazione, l’Autorità competente ne ordina la cessazione prendendo le misure necessarie. È vietato anche l’abuso dello stato di dipendenza economica nel quale si trova un’impresa, cliente o fornitrice, rispetto ad una o più altre imprese anche in posizione non dominante sul mercato.
Il patto attraverso il quale si realizza l’abuso di dipendenza economica è nullo ed espone al risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa che ha subito l’abuso.

Operazioni di concentrazione fra imprese si hanno quando:
• due o più imprese si fondono dando così luogo ad un’unica impresa;
• due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica entità economica;
• due o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune.

Le concentrazioni costituiscono un utile strumento di ristrutturazione e non sono di per sé vietate in quanto rispondono all’esigenza di accrescere la competitività delle imprese. Diventano però illecite e vietate quando diano luogo a gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato. Pericolo solo per le concentrazioni di maggior dimensione.

Tratto da DIRITTO DELL'IMPRESA di Enrica Bianchi
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