David Hume
La critica al giusnaturalismo
Al posto dei valori oggettivi e delle verità intellettualistiche Hume mette il relativismo, l'empirismo, l'esperienza, l'abitudine, cioè un insieme di regole che sono delle convenzioni. Le convenzioni non sono il prodotto deliberato di intenzionalità coscienti; esse risultano, in larga misura, dalle combinazioni di elementi involontari e spontanei che non sono però così fortuite e dispersive da impedire consolidamenti e oggettivazioni delle volontà umane. Si è parlato di Hume come di una specie di Montaigne inglese, o meglio scozzese, perché al pensiero del grande moralista francese sarebbe vicino per questa sfiducia verso gli universalismi predeterminati e verso una visione esistenzialistica o sostanzialistica delle cose umane. In verità anche Rousseau si era allontanato dai principi tradizionali del giusnaturalismo, così come dai precetti dell'intellettualismo normativo. La sua volontà generale non è adeguazione a verità date e rappresenta invece una forza espansiva che non conosce limiti precostituiti perché arriva fin dove la sua dinamicità le consente di arrivare. Nessun autore prima di Hume aveva affrontato in maniera così radicale la critica di ogni sistema di principi primi come criteri esplicativi della realtà; c'è in lui il rifiuto categorico della stessa idea di oggettività del mondo esterno,la quale presupporrebbe leggi immutabili sottratte alla competenza dell'uomo, leggi da scoprire e dichiarare ma non da inventare e costruire. Hume dubita che il mondo esterno abbia una sua consistenza fondata su regole certe di spazio e di tempo e mette in crisi lo stesso principio di causalità, cioè che data una causa ne consegue necessariamente un dato effetto, sempre lo stesso se la causa rimane invariata. Il quadro che ne risulta è piuttosto pessimistico: non sussiste nel mondo una realtà oggettiva, stabile, ordinata da valori ontologici in grado di proteggere e orientare il conoscere e l'agire degli individui. Ogni principio assiomatico è inficiato da astrazione e non ha plausibilità scientifica; ciò comporta una certa soggettivizzazione dell'universo morale così come di quello naturale. Hume si chiede non quale sia l'essenza delle cose e come esse siano ordinate dall'essere che sarebbe loro immanente ma si preoccupa piuttosto di analizzare come il soggetto sente le cose, come esse incidono sulla sua percezione. Ciò che conta nella costruzione del mondo umano è anzitutto l'insieme delle impressioni umane: la prima conoscenza risiede nelle sensazioni e nelle loro molteplici combinazioni; importa come noi recepiamo le cose più che la realtà dell'oggetto esterno. Le impressioni non si esauriscono nella loro istantaneità, immediatezza e casualità ma sono suscettibili di organizzazione e sistematicità e consentono quindi la formazione delle idee che sono impressioni sedimentate ed accumulate nel nostro spirito e munite di una certa autonomia rispetto alla frammentazione e dispersione dei singoli impulsi sensoriali. Attraverso la memoria e il giudizio le idee diventano perciò sempre più complesse ed elaborate.
Relativismo e abitudine
La realtà è dunque per Hume l'ordinarsi di queste impressioni nella nostra mente. Si attua così un trasferimento radicale del sapere dal mondo di un'oggettività che impone le sue leggi naturali ed i suoi valori ontologici al mondo di una soggettività che accoglie ed accumula le sue impressioni in virtù di sue proprie capacità di ricezione, assimilazione e distribuzione. La categoria fondamentale costitutiva ed esplicativa del conoscere e dell'agire è per Hume l'abitudine: per spiegare l'uomo bisogna conoscere i suoi comportamenti usuali, il modo con cui egli ricerca i suoi equilibri interni padroneggiando il flusso delle impressioni che riceve dall'esterno. Egli applica questo criterio dell'abitudine anche al mondo fisico con un'estensione che può apparire esorbitante. Constatiamo di fatto che ad un certo impulso corrisponde un dato movimento, che ad un certo evento ne consegue un altro, che ci sono relazioni che si ripetono e che, reiterandosi, ci danno l'idea di una conformità ed uniformità di azioni e reazioni; in tutto questo però non c'è, a giudizio di Hume, intrinseca necessità causativa. Il relativismo della sua teoria della conoscenza ispira anche le sue idee politiche e morali e sembra esercitare una duplice funzione: da un lato vale come strumento critico per smentire la validità oggettiva delle tradizionali legittimazioni del potere e delle consequenti gerarchie e descriminazioni sociali, dall'altro viene utilizzato per dimostrare la plausibilità di un conservatorismo pratico che faccia dell'abitudine la regola più utile e più efficace per disciplinare i diritti e le obbligazioni della coesistenza. Per quanto la categoria dell'abitudine non possa proporsi come una sublimazione qualitativa, essa esercita per Hume una funzione positiva nel mondo politico e morale. Le regole dell'abitudine possono diventare solidali con le regole della giustizia,il cui carattere di universalità non deriva da una sostanza prestabilita bensì dal loro sforzo di cercare le combinazioni più favorevoli all'interesse generale della società. Il tentativo di Hume è quello di sottrarre l'artificiale non solo al condizionamento della necessità ontologica ma anche all'abuso potestativo, alla prevaricazione ed all'ingiustizia e farne invece un modo d'essere dell'esperienza aperto alla sensibilità etica e proponibile come misura normale di umanità. C'è dunque contrapposizione fra artificiale ed arbitrario: l'artificiale non è emanazione di volontà e di poteri incondizionati ma è risultato di una mediazione collettiva involontaria, pensata come capace di ordinare le attività umane al meglio delle loro possibilità.
I fondamenti del potere
Il relativismo di Hume mette in crisi l'idea dell'origine metafisica del potere e il valore sacrale attribuito alla disuguaglianza istituzionalizzata e all'obbedienza passiva. La constatazione che certe strutture del potere e della società sembrano stabili e permanenti non deve trarci in inganno; non si deve confondere la lunga durata di certe istituzioni e di certi rapporti sociali con una loro intrinseca necessità logica, naturale o metafisica. Come Hume ha scardinato l'essenzialismo nella conoscenza, così lo nega nella politica. Il sistema delle connessioni gerarchiche proposto dal giusnaturalismo e dalle teorie del diritto divino dell'autorità può essere un fatto ma non è espressione di universalismo politico. Il conservatore Hume riconosce la forza critica che il relativismo ha anche nella società e la sua capacità di trasformare l'esistente. Il ricorso al principio metafisico varrebbe d'altronde non solo a legittimare il potere del sovrano ma anche i poteri inferiori e, tendenzialmente, il potere di tutti gli uomini. Se la ratio giusnaturalistica ontologicamente validata trova in Hume una decisa opposizione, ugualmente risulta screditata nel suo pensiero anche la pretesa della ragione intellettualistica di determinare, in base ai suoi assiomi, un ordine politico radicalmente diverso e rigenerato. Hume non vuole rifacimenti integrali del reale e lo stesso senso della relatività che lui utilizza per criticare il sistema precostituito delle tradizionali leggi di natura gli serve anche per porre dei limiti al tentativo, inficiato di astrazione, di scompaginare il sociale per ricrearlo secondo certi paradigmi di perfezione escogitati dalla mente umana. D'altra parte l'ambizione di un uomo o di un gruppo di rifare integralmente la società avrebbe un'ineluttabile implicazione dispotica perché costoro, una volta impadronitisi della società, mai abbandonerebbero il loro potere assoluto e tale vizio di origine si rifletterebbe su tutte le loro realizzazioni sociali. La critica di Hume si estende anche al contrattualismo sociale, cioè all'idea che il governo si debba fondare interamente sul consenso popolare. Gli uomini sono associati e sono governati prima di definire contrattualisticamente le forme del loro coesistere e del loro governo, così l'ipotesi contrattualistica sembra ad Hume un'astrazione idealistica e razionalistica senza riscontro nell'effettività pratica. Egli sostiene che la conquista e l'usurpazione sono all'origine di quasi tutti i governi e che il consenso popolare o non sussiste affatto o è solo apparente. Il consenso non è quindi l'atto costitutivo della società.
Conservatorismo e individualismo
La debolezza della ragione umana che porta allo scetticismo è anche quella che aiuta a superarlo. Le forze vitali che muovono le attività reali non consentono abbandoni ed inerzie ma sollecitano verso una ragione artificiale in cui gli elementi dell'empirismo, dell'utilitarismo e dell'adattamento sperimentale si sostituiscano agli assiomi assolutistici della ratio giusnaturalistica o di quella intellettualistica ma anche alle tentazioni scettiche. La perdita delle antiche presunte stabilità etiche e politiche non significa inevitabile processo di dissoluzione ma rinvia alla ricerca di diverse forme di coordinamento e di convergenza delle azioni umane in cui appunto abitudine, utilità, convenzioni spontanee ed involontarie abbiano un ruolo significativo nel garantire, per quanto possibile, un governo libero e una società tollerante. Se è vano indagare sui fondamenti ultimi dell'obbedienza, non è vano insistere sul principio che "chiunque si proponga di ricavare un utile dalla nostra sottomissione deve da parte sua impegnarsi, espressamente o tacitamente, a farci ricavare qualche vantaggio dalla sua autorità". Un sistema istituzionale fondato sull'idea dell'abitudine e sui valori comuni che emergono da comportamenti sperimentati non è quindi al servizio dell'arbitrio ma delle garanzie dei cittadini. Il conservatorismo di Hume non vuole essere matrice di assolutismo ma ricerca dell'"equilibrio del potere" che, per certi aspetti importanti, dipende anche dall'equilibrio delle proprietà. Una particolare considerazione Hume riserva anche alla funzione dei partiti nella dialettica politica. Essi rappresentano delle formazioni collettive derivanti o da un movimento passionale o dall'interesse o da un principio ed è nella natura di una costituzione libera che tali aggruppamenti siano riconosciuti e legittimati e possano contribuire alla ricerca di un'armonia fra la logica dei bisogni e le ragioni degli ideali. Se il conservatorismo di Hume non assume caratteri retrivi, esalta però il valore della moderazione. Certe premesse intellettuali del suo pensiero sono radicali ma la sua politica è preoccupata dall'insorgere di sovvertimenti non assimilabili dalla mente umana, sempre più imitatrice che rivoluzionaria, né dalla società che si adatta meglio a ciò di cui ha più esperienza. Senza moderazione non c'è prospettiva di successo nella vita politica e anche l'esistenza individuale diventa meno tollerabile. L'abitudine educa a considerare le possibili conseguenze di certi spostamenti ed a comparare le difficoltà e le convenienze che possiamo incontrare al mutare di certe situazioni. Il pensiero politico di Hume sembra distanziarsi sia dal comunitarismo organicistico e corporativo, sia dall'individualismo egoistico. L'impianto organicistico e corporativo della società risente della stessa critica che Hume rivolge all'idea della legge di natura e comunque è poco compatibile con il suo utilitarismo, con il riconoscimento del valore dell'individualità e con l'accettazione di un'economia più aperta.
Utilitarismo ed etica della simpatia
Il conservatorismo di Hume non è fondato su principi assoluti né giusnaturalistici, né corporativi o organicistici. Egli ha posto, si può dire, l'idea di un conservatorismo sperimentale e pur essendo un tory, il suo pensiero è animato da un forte spirito whig. Si è conservatori perché ciascuno, pur sapendo che il mondo in cui vive può essere dinamico ed aprirsi a molteplici possibilità,è sensibile alle ripercussioni delle azioni personali e collettive, non vuole rischiare oltre misura e non vuole aggiungere alla perdita di unità causata dalla crisi dell'essenzialismo etico e politico tradizionale gli impulsi disgregatori degli eccessi razionalistici o del radicalismo sociale, poco assimilabili dalla coscienza comune. La logica dell'adattamento, delle rettifiche parziali, delle revisioni pezzo per pezzo, caso per caso ha una sua positività di significati nella logica complessiva dell'esperienza umana ed appare ad Hume preferibile all'invariabilità delle connessioni necessarie del vecchio giusnaturalismo o ai mutamenti rivoluzionari. In generale l'ordine spontaneo controllato dall'abitudine gli appare superiore qualitativamente ad un ordine costruito in base agli imperativi di presunte leggi di natura o attraverso atti deliberati del potere. Iniziatore ed ispiratore della scuola storica scozzese, Hume ritiene che le mediazioni e le combinazioni involontarie delle attività umane abbiano un ruolo essenziale nella spiegazioni e nella governabilità della fenomenicità sociale e che esse producano un bene pubblico ragionevole ed utile. Il relativismo, l'empirismo e l'utilitarismo di Hume sono matrici di individualismo ma l'abitudine non è per lui solo calcolo egoistico né la convenienza ha una esclusiva connotazione singolaristica. Egli avvia un'opera di correzione teorica delle basi etiche e psicologiche dell'utilitarismo: l'utilità dell'uomo non è quella che procura un piacere immediato ma quella che lo pone in buona luce davanti all'opinione degli altri e rende il suo comportamento suscettibile della loro approvazione. L'utilità vale se essa aggiunge al nostro vantaggio anche quello dei nostri simili. Hume introduce nel mondo morale il concetto della simpatia come tramite di benevolenza reciproca: la simpatia consente all'individuo di decentrarsi negli altri e di includere gli altri nel circuito della propria esistenzialità. Il rapporto simpatetico non è eticamente puro perché fondato su impressioni, piaceri, gradevolezze in cui entrano anche calcoli di utilità; la simpatia rivela anche un suo spirito altruistico e corregge l'idea che individualismo voglia dire necessariamente egoismo. Il pensiero politico di Hume è complessivamente orientato da ideali illuministici di libertà e le stesse idee di abitudine e di conservazione sono intese come sostegni morali e istituzionali di esperienze umanamente significative e socialmente produttive.
Continua a leggere:
- Successivo: Bernard Mandeville
- Precedente: Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Caritat
Dettagli appunto:
-
Autore:
Viola Donarini
[Visita la sua tesi: "Domitia Longina, imperatrice alla corte dei Flavi"]
- Università: Università degli Studi di Milano
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Storia
- Esame: Storia delle categorie politiche
- Docente: Maria Luisa Cicalese
- Titolo del libro: Il pensiero politico dall'Umanesimo all'Illuminismo
- Autore del libro: Antonio Zanfarino
- Editore: CEDAM
- Anno pubblicazione: 1998
Altri appunti correlati:
- Storia Moderna
- Diritto costituzionale comparato
- La società aperta e i suoi amici
- Appunti di Diritto pubblico
- Political Philosophy (Modulo 1 e Modulo 2)
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.