CASO RAINBOW WARRIOR NUOVA ZELANDA VS FRANCIA 1986-1990
la Rainbow Warrior è una nave di Greenpeace usata per condurre battaglie ambientaliste. Nel 1985 deve partire dalla Nuova Zelanda verso Mururoa per protestare contro gli esperimenti nucleari francesi. Viene fatta esplodere: un morto e due arrestati francesi condannati a 10 anni di reclusione.
La Francia ammette il sabotaggio, si dichiara pronta a riparare ma chiede indietro i due agenti. Le trattative non hanno buon esito e viene dunque chiesto al Segretario Generale ONU di indicare una soluzione alla controversia. Stabilisce scuse formali, riparazione in denaro e restituzione agenti a patto che restino confinati in un'isola per tre anni. Ulteriori controversie da affidare ad arbitrato. Con scuse di salute e padre moribondo i due agenti vengono rimpatriati nonostante l'opposizione del governo Neozelandese. Viene istituito un tribunale per chiedere che i due finiscano il confino → restitutio in integrum. Riportarli sull'isoletta ora che i tre anni sono finiti non sarebbe una vera restitutio in integrum perché dopo i tre anni l'illecito è esaurito. Viene però condannata la Francia per non aver rispettato gli accordi: danni morali e riparazione in denaro, riparazione più appropriata.
Anche la soddisfazione è considerata una forma di riparazione che prescinde dalle conseguenze materiali dell’illecito e investe solo gli aspetti morali. Essa si concretizza nella presentazione di scuse, omaggio alla bandiera o altri simboli dello Stato leso, pagamento di una somma simbolica. Secondo la CIJ la soddisfazione può anche manifestarsi nella constatazione della violazione avvenuta, ad opera di un tribunale internazionale. Il Progetto (art. 37) prevede forme di soddisfazione, quali la constatazione della violazione, espressioni di rammarico, scuse formali, ecc.
Le forme di soddisfazione, se accettate dallo Stato leso, fanno venir meno qualsiasi conseguenza dell’illecito e, in particolare, il ricorso a misure di autotutela. Si può affermare che la soddisfazione va a formare il contenuto di un accordo espresso o tacito che, direttamente o attraverso una decisione della giustizia internazionale, elimina ogni questione tra Stato offeso e Stato offensore. La soddisfazione può anche essere concordata in aggiunta al risarcimento del danno.
L’unica forma concreta di riparazione dell’illecito internazionale è costituita dal risarcimento del danno. La prassi non è certa, per cui si ritiene che il risarcimento sia dovuto in caso di azione violenta o danneggiamento a organi, persone, mezzi e beni dello Stato. Tuttavia, vi è una serie di danni patrimoniali prodotti in caso di inadempienze pattizie che normalmente non costituisce oggetto di pretese risarcitorie secondo il diritto consuetudinario. Diversamente il Progetto prevede il risarcimento pecuniario a seguito di qualsiasi violazione di norme internazionali e di qualsiasi danno suscettibile di valutazione finanziaria (artt 36 e 38).
Se l’illecito non colpisce il diplomatico (in caso, si ha la protezione diplomatica), ma causa danni alla funzione che esso ha, sono risarcibili i danni materiali. E’ escluso il risarcimento monetario per danni di altro tipo.
Tutti i casi suddetti riguardano i rapporti tra gli Stati. Diverso è il caso del risarcimento previsto dai trattati, in caso di violazione delle norme del trattato stesso. E’ il caso della CEDH che prevede il risarcimento del danno alla parte lesa, quando vi sia una violazione della Convenzione accertata dalla CEDH, le cui conseguenze il diritto interno non sia riuscito ad eliminare. Altro caso è previsto dal diritto comunitario per i singoli, che possono chiedere il risarcimento ai giudici interni per danni derivanti dalla violazione del diritto comunitario, in particolare in seguito alla mancata attuazione delle direttive comunitarie.
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Dettagli appunto:
- Autore: Alice Lavinia Oppizzi
- Università: Università degli Studi di Milano
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Scienze Internazionali e Istituzioni Europee
- Docente: Prof.ssa Venturini
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