CASO JUS AD BELLUM ETIOPIA VS ERITREA 2005
Etiopia ed Eritrea erano unite e quando diventano indipendenti hanno luogo controversie di confine. Scontri militari e accordo di pace siglato ad Algeri nel 2000. Vengono costituiti due tribunali arbitrali: commissione sui reclami per accertare le responsabilità e commissione sui confini. L'Etiopia chiede riparazioni all'Eritrea per violazione dello jus ad bellum (art 2 Carta). La Commissione accerta la propria giurisdizione e afferma che il diritto internazionale non giustifica il ricorso alla forza come strumento di risoluzione di controversie territoriali. L'Eritrea è stata condannata per uso illecito della forza ex art 2 della Carta ONU.
Natura della forza vietata: natura internazionale cioè le operazioni militari di uno Stato contro l’altro, ma non la forza interna, che rientra nel normale esercizio della potestà di governo dello Stato. Un divieto del genere inciderebbe sulla sovranità dello Stato.
Tuttavia, si pone il problema di come qualificare il caso limite dell’azione di polizia esercitata contro gruppi o comunità straniere. L’impiego della forza, da parte dello Stato nei limiti del suo territorio e degli altri spazi soggetti alla sua sovranità, è qualificato sempre come azione di polizia interna, sempre che non abbia come obiettivo mezzi bellici stranieri che si trovino sul territorio con il consenso dello Stato e sempre che non sfoci in crimini contro l’umanità. Si parla di forza internazionale, invece, quando l’azione si esplica fuori del territorio e degli spazi sottoposti alla propria sovranità contro comunità o mezzi di altri Stati.
Contromisure.
La rappresaglia o contromisura viene definita dal Progetto (art. 49) come il comportamento dello Stato leso, che in sé sarebbe illecito, ma diviene lecito in quanto reazione all’illecito altrui, ovviamente solo nei confronti dello Stato offensore. Applicazione di tale principio è prevista da Vienna 1969 (art. 60: inadimplenti non est adimplendum), che consente la temporanea sospensione dell’accordo nei confronti dello Stato che abbia violato l’accordo stesso, con lo scopo di far cessare la violazione. Mentre, invece, la fine dell’accordo a seguito di inadempimento va ricondotto nei principi relativi alle cause di estinzione dei trattati.
La contromisura incontra vari limiti nel diritto generale (art 50 Progetto):
- Proporzionalità tra violazione subita e rappresaglia. Il diritto internazionale non richiede la perfetta corrispondenza tra le due azioni, ma almeno che non vi sia un’eccessiva sproporzione tra le due violazioni. Se eccessiva, la contromisura diviene illecita per la parte eccedente.
- Rispetto dello jus cogens. E’ vietato operare una contromisura ricorrendo a violazioni del diritto cogente, neanche se si risponde ad una violazione dello stesso tipo. Eccezione a questa regola è la possibilità dell’uso della forza per rispondere ad un attacco armato.
- Rispetto dei principi umanitari. La tutela della dignità umana è concetto che viene assorbito dallo jus cogens e quindi si ritiene che costituisca un limite alla legittimità della contromisura. Questo limite vale per le sole norme cogenti (gross violations of human rights), non quelle consuetudinarie, pattizie sui diritti umani o quelle sulle immunità degli agenti diplomatici, già derogabili per via convenzionale.
Così, gli Stati possono derogare ad una norma mediante accordo, altrettanto possono derogarvi a titolo di contromisura, ma sempre che non si tratti di diritto cogente. Al contrario il Progetto (art. 50) prevede che a titolo di contromisura non possa essere toccata l’immunità degli agenti diplomatici e consolari.
- Previo esaurimento dei mezzi di soluzione delle controversie. E’ opinione, accolta anche dal Progetto art 52, che prima della contromisura si deve tentare di giungere ad una soluzione concordata della controversia. In realtà, la prassi non è univoca e nulla può impedire ad uno Stato, che si trovi a fronteggiare una situazione d’emergenza, di adottare urgenti e necessarie contromisure, prima di tentare l’accomodamento.
L’uso del termine contromisura, in luogo di rappresaglia, sembra più appropriato, perché indica il riferimento a qualsiasi violazione del diritto internazionale che lo Stato leso pone in essere nei confronti dello Stato offensore per reintegrare l’ordine giuridico violato. Lo scopo afflittivo, a cui meglio si adegua il termine “rappresaglia”, è del tutto secondario rispetto alla funzione reintegratrice.
Principale contromisura è la legittima difesa (Carta dell’Onu, art. 51): l'inosservanza del divieto dell’uso della forza nel caso in cui occorre respingere un attacco armato. In essa sono presenti tutti gli elementi che caratterizzano le contromisure, primo fra tutti la proporzionalità tra attacco subito e contrattacco.
Tra le contromisure vanno poi annoverate le misure non violente di autotutela, ossia misure di carattere legislativo e amministrativo che lo Stato adotta nella propria comunità e che si risolvono nella violazione di norme internazionali in reazione alla violazione altrui.
La ritorsione si distingue dalla rappresaglia, perché non consiste in una violazione di norme internazionali, ma solo in un comportamento inamichevole, che si manifesta nell’attenuazione o interruzione dei rapporti diplomatici, economici e commerciali, quando non vi sia un trattato che li imponga. Il Progetto non menziona la ritorsione tra le forme di autotutela e anche la dottrina è di questo avviso, perché atteggiamenti inamichevoli possono essere tenuti da uno Stato anche senza aver subito un illecito. La prassi porta a considerare la ritorsione tra le forme di autotutela: ad esempio, l’adozione di sanzioni economiche per far cessare violazioni di norme internazionali; inoltre, spesso, tali sanzioni consistono contemporaneamente in violazioni di obblighi precedentemente assunti e in comportamenti inamichevoli → ritorsione e contromisura non sono facilmente distinguibili.
Diverso dalla ritorsione è il caso delle sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, in base all’art. 41 della Carta, in caso di minaccia o violazione della pace o di atto aggressivo. Esse, pur essendo simili alle sanzioni adottate a livello di ritorsione, rientrano nel sistema di sicurezza collettivo adottato dalle Nazioni Unite. Il Consiglio può obbligare gli Stati ad aderirvi, anche se comportano violazioni di obblighi internazionali preesistenti.
Nella prassi vi sono reazioni all’illecito internazionale anche da parte di Stati che non hanno subito alcuna lesione. Il fenomeno nasce da convenzioni multilaterali che tutelano interessi generali o valori generalmente sentiti, come i diritti umani. Lo stesso avviene nel diritto consuetudinario per le norme che prevedono obblighi erga omnes (divieto di aggressione, genocidio, apartheid, schiavitù, rispetto dell’autodeterminazione dei popoli e dell’ambiente). La materia, a causa della struttura anarchica della comunità internazionale, è priva di direttive univoche. Anche se non si può dire che per ogni Stato è lecito intervenire in caso di inosservanza di obblighi erga omnes, specifiche norme consuetudinarie prevedono l’intervento di Stati terzi in ordine a specifici obblighi internazionali.
Ecco i casi più importanti di questa prassi:
- legittima difesa collettiva in caso di attacchi armati. Principio riconosciuto anche dalla Carta dell’Onu (art. 51) e presente anche nel diritto internazionale generale, secondo quanto dichiarato dalla CIJ: le misure, anche militari, devono rispettare i criteri di necessità e proporzionalità e presuppongono una richiesta precisa dello Stato aggredito.
- negazione degli effetti extraterritoriali degli atti di governo emanati in un territorio acquisito con la forza e dominato in dispregio del principio di autodeterminazione dei popoli. E’ una norma consuetudinaria.
- aiuto militare ai movimenti di liberazione che lottano per eliminare dal proprio territorio la dominazione straniera. Anche questa norma consuetudinaria risponde all’esigenza di affermare il principio di autodeterminazione, senza il quale vi sarebbe inosservanza del divieto della minaccia e dell’uso della forza.
- convenzione multilaterale che autorizza ciascuno Stato contraente, in caso di violazione di norme, ad intervenire con sanzioni, anche se non direttamente leso. Ma, più che altro, il diritto pattizio tende a limitare i fenomeni di autotutela e a sviluppare meccanismi istituzionali di controllo (Corte Europea dei diritti dell’uomo, Comitato dei diritti dell’uomo istituito dal Patto sui diritti civili e politici dell’Onu).
- sistema di sicurezza collettiva dell’Onu: è un sistema sanzionatorio centralizzato che può anche funzionare come reazione a violazioni di norme internazionali.
Esclusi tali casi previsti da norme consuetudinarie, pattizie e dell’Onu, non esistono norme generali che giustificano vere e proprie contromisure di uno Stato a protezione di un interesse fondamentale della comunità internazionale o collettivo. Chi si pronuncia a favore dell’esistenza di una generale autotutela collettiva, infatti, si riferisce ai casi previsti già dall’art. 51 della Carta dell’Onu e dalle norme consuetudinarie. Altri casi sporadici riguardano reazioni a violazioni di diritti umani. Si può, comunque, affermare che una norma consuetudinaria si è affermata in merito al divieto di fornire aiuti militari, anche in deroga ad accordi precedenti, allo Stato autore del crimine.
L’autotutela collettiva si realizza, invece, solo con l’utilizzo di ritorsioni, ossia mezzi inamichevoli che si concretizzano in comportamenti leciti, sempre ammissibili. Anche il Progetto che sancisce l’obbligo di non collaborazione con lo Stato autore dell’illecito, di non riconoscere la situazione che deriva dall’illecito (art 41), di pretenderne (claim) la cessazione e la riparazione.
Lo Stato può obbligarsi mediante trattato a non ricorrere a quelle misure di autotutela che si fondano sul diritto consuetudinario. Questo avviene nei trattati istitutivi delle organizzazioni internazionali, che comportano un vincolo di solidarietà e di collaborazione che poco si concilia col ricorso all’autotutela. O meglio, reagire con la propria inadempienza a quella altrui è ammesso solo quando, per ottenere giustizia, siano state esperite invano tutte le strade previste dall’organizzazione. Il Trattato Ce prevede il ricorso esclusivo alla Corte comunitaria, che può imporre una sanzione in caso di violazione del Trattato, constatata dalla Corte stessa e che lo Stato colpevole non abbia sanato in altro modo. Al contrario, l’art. 51 della Carta dell’Onu prevede il ricorso alla legittima difesa contro un attacco armato, già nelle more della decisione del Consiglio di Sicurezza su eventuali misure a salvaguardia della pace e della sicurezza internazionale. Da sottolineare che, nel caso della prima crisi del Golfo, il Consiglio di Sicurezza ha deciso la non applicazione dell’art. 51.
Il tema dell’autotutela ha importanti riflessi nel diritto interno. L’operatore giuridico, infatti, prima di concludere che una certa norma è contraria al diritto internazionale, deve chiedersi se l’inosservanza non sia una contromisura e, quindi, in quanto tale lecita. L’ordinamento interno può anche predisporre meccanismi automatici che consentono la violazione di norme internazionali a titolo di contromisura. E’ il caso della condizione di reciprocità, in base a cui un certo trattamento viene accordato a Stati, organismi e cittadini stranieri, a condizione che lo stesso trattamento sia accordato allo Stato, organismi e cittadini nazionali. L’applicazione della reciprocità consente la non osservanza di norme internazionali e, allo stesso tempo, se non rispettata, giustifica l’adozione di contromisure.
La condizione di reciprocità si rivela utile in rapporto alle norme consuetudinarie in evoluzione e incerte. Se uno Stato adotta una norma con un significato troppo ardito non ancora generalmente accettato, lo Stato che intende difendersi con la reciprocità può adottare, a sua volta, l’interpretazione ardita, ma dichiararne l’inapplicabilità verso gli Stati che si attengono al diritto vigente.
Continua a leggere:
- Successivo: LA RIPARAZIONE
- Precedente: CASO PIATTAFORME PETROLIFERE IRAN VS USA
Dettagli appunto:
- Autore: Alice Lavinia Oppizzi
- Università: Università degli Studi di Milano
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Scienze Internazionali e Istituzioni Europee
- Docente: Prof.ssa Venturini
Altri appunti correlati:
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
- Lo status giuridico internazionale di Gerusalemme
- Governo dell'epidemia e linea della razza
- Il Meccanismo Residuale dei tribunali penali internazionali
- La crisi dell’Eurozona e il nuovo modello di prevenzione e gestione delle crisi: L’Unione Bancaria Europea
- Le immunità dalla giurisdizione dei militari in missione all'estero
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.