La motivazione: della Legge 241/90
Tutti gli atti vanno motivati, tranne i regolamenti (discendono da leggi non motivate; la motivazione è pur sempre l’oggetto del regolamento; inoltre la motivazione ha senso per il singolo atto) e gli atti amministrativi generali (piani e programmi).
La motivazione degli atti vincolati favorisce il controllo diffuso: risponde alla domanda se la PA ha operato conformemente alla legge. Si può motivare rinviando o allegando al parere conforme, ma va indicato nel provvedimento e deve dire dove il parere è disponibile. Se l’atto è difforme dal parere, non sarà richiamato né allegato.
Dovere di concludere il procedimento con provvedimento espresso
In passato, si riteneva che, in seguito alla domanda (d’istanza o d’ufficio), la PA avesse solo l’obbligo di attivarsi prendendo in esame la richiesta, ma non necessariamente di provvedere.
Il silenzio era considerato inadempimento e non rifiuto.
Oggi, l’inerzia subisce una sanzione, poiché, non esistendo un atto, si nega tutela al cittadino. Il problema è stato dapprima risolto in via giurisprudenziale dal Consiglio di Stato, nel caso di silenzio inadempimento su ricorso gerarchico: se la PA non provvedeva entro 120 giorni, il cittadino poteva diffidare la PA; dopo 60 giorni dalla diffida si intendeva rifiutato. Ebbene, questo rifiuto era considerato, per fictio iuris, un atto, e come tale, impugnabile. Tale disciplina fu estesa al silenzio su qualsiasi atto. Nel 1971 le leggi sul TAR e sul ricorso amministrativo fanno cadere il principio della definitività dell’atto (nel senso che il cittadino non è più tenuto a presentare ricorso amministrativo, e può agire direttamente per via giurisdizionale), e riformano il ricorso giurisdizionale (un solo grado di ricorso all’organo immediatamente superiore; decorsi 90 giorni e non 120 si intende rifiutato; non c’è bisogno di diffida).
Per quanto riguarda il silenzio su domande di provvedimento, il termine è di 60 giorni dalla domanda; c’è ancora bisogno della diffida (30 giorni). Penalmente si configura il reato di omissione in atti d’ufficio: la diffida garantisce che in caso di causa penale si configuri il dolo.
Nel 1978 cambia tutto: il Consiglio di Stato con sentenza sul silenzio su ricorso gerarchico afferma che il silenzio è rigetto (valore confermativo del silenzio)
Sul silenzio su domanda sostiene che la PA perde il potere di decidere.
Nel 1989 nuova tendenza con ritorno alle origini: non c’è più cessazione della materia del contendere sul silenzio; la PA può provvedere; pone a carico del cittadino l’onere di presentare nuovo ricorso (oggi solo integrato).
Nella 205/00 se la PA è inadempiente e formatosi il silenzio rigetto, impugno; il GA ordina alla PA di provvedere; in caso contrario nomina un commissario (che è organo ausiliario del giudice solo nelle sentenze passate in giudicato: negli altri casi è organo della PA, anche contro gli atti del commissario si può procedere).
Il silenzio su domanda di provvedimento ha rilievo giuridico positivo o negativo; significa cioè accettazione o negazione. Nella legge 241 sono specificati alcuni casi agli articoli 19 e 20 (come la DIA). Se non c’è discrezionalità, ad esempio, silenzio: assenso; se c’è: termine per effettuare controlli. Il silenzio è comunque contro il cittadino che rimane nell’incertezza, soprattutto il terzo: se l’assenso è illegittimo o contrario all’interesse del terzo, egli cosa impugna?
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Dettagli appunto:
- Autore: Luisa Agliassa
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto Amministrativo I
- Docente: Garrone
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