Allungamento della vita e età legale di pensionamento
La suddetta conclusione potrebbe essere rovesciata, nel caso in cui si potesse accertare che all'elevazione della durata media della vita corrisponde, oggi, un pari allungamento dell'età fino alla quale si manifesta la piena capacità lavorativa e lucrativa e, dunque, una contrazione del periodo di bisogno teoricamente apprezzabile.
Se così fosse, si potrebbe effettivamente dubitare dell'equità sostanziale del vigente assetto.
E da tale circostanza conseguirebbe anche, a ben vedere, la necessità di optare per interventi correttivi, riferibili all'età legale di pensionamento, piuttosto che al rendimento della pensione.
Può realmente assumersi, però, che all'intervenuto allungamento della durata media della vita residua dei pensionati corrisponde e si accompagna un proporzionale allungamento del periodo di capacità di lavoro e lucrativa?
La questione non è di secondaria importanza: è bene ricordare che è il venire meno di quest'ultima che genera la situazione di bisogno socialmente rilevante.
Ma allo stato una analisi diretta ad accertare lo stato e l'evoluzione rispetto al passato del momento in cui matura mediamente la situazione di bisogno in questione si prospetta oggettivamente assai ardua.
Comunque, non può sfuggire che l'entità delle due distinte suddette situazioni di rilievo statistico-demografico (durata media della vita residua e durata media della vita attiva), dipendono da fattori diversi e in gran parte indipendenti: in sintesi, dai progressi della medicina e dall'evoluzione dello standard sanitario generale, la prima; da "una combinazione di misure volte a fornire più posti di lavoro, a migliorare la qualità del lavoro e a renderlo redditizio, a garantire competenze maggiori e flessibili, e a fare del lavoro uno opportunità reale per tutti", la seconda.
D'altronde, se in molti casi le tradizionali forme di "penosità" fisica e psichica del lavoro possono considerarsi superate, si che giustificabile potrebbe apparire l'attesa sociale di un più lungo periodo di vita attiva, il fenomeno, sempre più frequente e diffuso, della frammentazione e della precarizzazione delle carriere lavorative appare essersi concretamente e fattivamente surrogato, oggi, a quelle tradizionali ragioni di "penosità".
Già tali aspetti della complessiva situazione dovrebbero indurre alla conclusione che nulla di veramente sostanziale può considerarsi modificato, rispetto al passato, quanto a "momento" da reputare "adeguato" per il ritiro dal lavoro a fini di pensionamento.
Continua a leggere:
- Successivo: Adeguatezza delle prestazioni sociali e sostenibilità finanziaria
- Precedente: Allungamento della vita e rendimento delle pensioni
Dettagli appunto:
-
Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto della Previdenza Sociale, a.a. 2008/2009
- Titolo del libro: Il rapporto previdanziale - Il diritto della sicurezza sociale in trasformazione
- Autore del libro: Maurizio Cinelli - Maurizio Cinelli e Stefano Giubboni
Altri appunti correlati:
- Sociologia del Terzo Settore
- La donazione
- Diritto del lavoro
- Introduzione al diritto del lavoro e concorrenza nel welfare italiano
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
- I fondi pensione di tipo chiuso
- La previdenza complementare, la posizione del singolo e la sua libertà
- Il sistema pensionistico nell'ordinamento italiano: evoluzione e prospettive
- La previdenza complementare con particolare riferimento al caso dei dipendenti pubblici
- Il sistema della previdenza complementare nel Regno Unito. Il caso inglese in una prospettiva comparata tra Europa e Italia.
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.
Forse potrebbe interessarti:
La previdenza complementare con particolare riferimento al caso dei dipendenti pubblici
La previdenza complementare con particolare riferimento al caso dei dipendenti pubblici