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Sentimenti transgenerazionali e insight


Un soggetto costretto a importare in sé modi di essere che non appartengono al suo processo di sviluppo ma agli elementi già svolti dal suo ambiente, è stato probabilmente un soggetto non ammesso come terzo rispetto alla coppia e come aggiunto alla comunità dei fratelli e quindi non è stato messo in grado di esperirne le posizioni e le esperienze. Egli ha dovuto accettare passivamente di ricevere pensieri già pensati, esperienze già vissute, sentimenti già provati, perché ha trovato una linea di demarcazione rigida che lo teneva escluso dall’accesso ai genitori come campo di esperienza e gioco e alla loro relazione come fonte di esperienza fruibile.
E’ frequente fra i pazienti un’importazione degli elementi ambientali o l’immissione forzata e ripetuta nel tempo, assunta a sostituzione di esperienze impossibili o mancanti. L’importazione può essere servita a supportare gli aspetti falsificati dell’autoindividuazione e autodifferenziazione del bambino, cui non è reso possibile di compiere il normale processo separativo dalla madre.
Questi elementi sono facilmente trasmissibili alla mente del bambino, vista la sua permeabilità e immaturità; essi hanno caratteri remoti e le formazioni caratteriali, sintomatiche e comportamentali che vi si riferiscono appaiono le più inaccessibili al processo di trasformazione, per la funzione difensiva che hanno assunto, spesso fragile e utilizzata per proteggere dall’esperienza di una disgregazione vissuta come annientante.
A volte è sufficiente che un evento, sentito come particolarmente minaccioso e tale da suscitare nel soggetto il senso di un’esperienza catastrofica e definitiva, si riveli, dopo essere stato da lui attraversato come se attraversasse la morte, tale che egli possa darsene una rappresentazione corrispondente all’essere sopravvissuto alla morte. Un ancoraggio di questo tipo potrebbe permettere la creazione, nel proprio mondo interno, di polarità più riconoscibili e dialettizzabili tra loro e favorire lo sviluppo di rinnovate attività psichiche.
Questi pazienti chiedono all’analista di sentire materialmente le loro quote amorfe come uno stato di morte e di accompagnarli mentre lo sperimentano; ci chiedono di farli morire, di avere timore per loro, e di credere che non ci sono altre alternative. Essi si sentono portatori di un destino familiare, che ha consegnato loro il compito di portare la fiaccola della stirpe in un luogo determinato. Se l’attraversamento di questo transito li avrà lasciati in vita, si potrà sviluppare il sentimento del vivere e una forma rudimentale di fiducia: potrebbe nascere l’idea di potersi affidare e di poter dipendere e l’idea di immaginare se stessi come capaci di sopravvivere e di essere.
L’alternativa all’attraversamento del morire sta nel tentare di rafforzare un sistema difensivo che consente di incistare l’aspetto inelaborabile e rifiutato, rinforzando la negazione, o di trattarlo come una realtà inaccessibile con la quale dialogare tramite un sistema di formazioni controsimmetriche (la vivacità, la rocciosità) o sublimate (la passione conoscitiva e morale, l’estrosità e la trasgressività). Oppure l’ultima scelta è quella di contenere al proprio interno un doppio registro che consente di oscillare dall’esperienza della falsificazione all’esperienza dell’insight, senza restare emarginati dalla prima, o annientati dal secondo.
Durante il lavoro di analisi, l’analista non può fare uso di pensieri già pensati, cioè pensieri della propria analisi o quelli riportati da altri analisti ai quali si è prestata attenzione particolare, o pensieri svolti in un momento diverso da quello della seduta, o ancora, tratti da letture che sono sembrate aderenti ai casi che si stanno trattando.
Se l’analista non è in grado di offrire nulla di veramente proprio, se ne accorgerà a controattaccherà riuscendo ad instaurare un sistema trasferale sadico e sprezzante.
Quando un paziente mette in atto un tale attacco immobilizzante alla mente dell’analista, si rende necessario, da parte dell’analista, l’uso di un linguaggio, semplice, spontaneo e solidale.
Un altro errore dell’analista consiste nell’uso di un linguaggio eccessivamente penetrativo e oggettivante, che questi pazienti non hanno lo spazio per ospitare, essendo le loro difese fragili e malcerte e i loro confini vacillanti; un soggetto con scarsa individuazione di sé, non potrà confrontarsi con oggetti molto definiti, se non attivando un piano falsificato.

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