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L'arresto di G. Bruno , 1592



Nel 1592, viene arrestato dall’inquisitore veneto, denunciato dal Mocenigo insoddisfatto dall’insegnamento mnemonico e perplesso dalle teorie poco ortodosse di Bruno. Quest’ultimo negava, tra l’altro, la Trinità divina, la persona del Cristo, la verginità della Madonna e la transustanziazione. Inoltre era accusato anche per la magia la sua filosofia ritenuta incompatibile con l’insegnamento della Chiesa, come l’infinità del mondo. Si difende discorrendo sulla differenza tra il piano di ragione e quello di fede. Ma nel 1593 viene condotto a Roma su volere della Santa Inquisizione. Qui è anche accusato di negare il culto dei santi, delle reliquie e delle immagini sacre. Durante le udienze, si mostra disponibile ad ammettere i propri errori per la dottrina religiosa ma difende i fondamenti della sua filosofia. Afferma inoltre di essere pronto ad abiurare. Solo che il Tribunale fissa un termine perentorio per l’abiura, in quanto ha acquisito informazioni sullo Spaccio della bestia trionfante. Bruno abbandona l’idea del compromesso e decide di affrontare la morte, asserendo: “non deve e non vuole ravvedersi; né ha materia su cui ravvedersi”. Il papa lo dichiara così eretico formale ed il Tribunale lo condanna alla pena capitale, ordinando che tutti i libri del nolano siano bruciati in piazza San Pietro e tutti gli scritti messi all’indice. Il 17 febbraio del 1600, spogliato e legato ad un palo, Giordano Bruno viene bruciato vivo in Campo dei Fiori.

Tratto da CONTRORIFORMA E SECONDO 800 IN LETTERATURA di Gabriella Galbiati
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