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La rappresentazione sterile, Scipione Pulzone e Valeriano





Se da una parte abbiamo coloro che si mossero in un senso cubistico, come Sebastiano, Daniele e ecc, dall’altra abbiamo coloro che procedono verso una rappresentazione sterile e descrittiva, come Scipione Pulzone e Valeriano. Abbiamo anche pittori mistici, in cui il sentimento religioso appare come sovrapposto a un linguaggio manieristico, le cui leggi formali non potevano tollerare né la fuga all’irrazionale né la norma di una censura mortificante, come per Marco Pino, Gerolamo Siciolante e Jacopino.
Bisogna anche distinguere da ciò l’opera del Salviati, che nella sua Deposizione, l’opera in cui l’artista è investito maggiormente da misticismo, si ha un rigore formale e una facoltà di sintesi michelangiolesca. In Jacopino, invece, l’elemento illustrativo ebbe il sopravvento e il suo fu solo un esercizio di bravura. Secondo lo Zeri, ciò è dovuto al suo incontro con Ignazio di Loyola, che ebbe un effetto disastroso sull’opera dell’artista e ne è prova il formalismo e la macabra tetraggine della Pietà di Palazzo Massimo a Roma.
Marco Pino, invece, riuscì ad unire i moduli michelangioleschi alle sottigliezze di Salviati e del Vaga, come si può notare nella Caduta di San Paolo dell’Arcivescovado di Palermo. Per non parlare della Pietà dell’Aracoeli, in cui l’artista, ripetendo la Pietà di Michelangelo nel Duomo di Firenze, adotta un linguaggio che rimane in bilico fra devozione apparente e edonismo formale, poiché nel Cristo e nel viso degli angeli ricerca l’intatta bellezza rinascimentale.



Tratto da ARTE MODERNA di Gabriella Galbiati
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