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Casetti e l'immagine dello spettatore



Nel libro di Casetti non è solo in gioco un’ipostatizzazione della disciplina spettatoriale, ma anche un’immagine del soggetto della teoria come di colui che riconduce il caos dei segni a patti, contratti e situazioni comunicative lineari, dove il passaggio da certe costruzioni sintattiche ai loro significati ed effetti perlocutivi è certo e stabile. Il semiologo coglie l’instabilità del testo ma non rinuncia a disciplinandola ricreando una situazione comunicativa testualizzata.
Ciò che interessa qui è piuttosto capire ciò che crea dibattito in campo teorico si travasa nel campo della critica. Dal diffondersi di concetti, idee appartenenti alla teoria dell’enunciazione è possibile reperire anche nella critica concreta una maggiore attenzione al ruolo dello spettatore: ciò che fa problema sul piano teorico può funzionare sul piano procedurale.
Si è visto che nella teoria casettina dell’enunciazione la figura dello spettatore si definisce problematicamente come in bilico tra istanze opposte, tra il desiderio del destinatario di prendere parte alla partita – la necessità della teoria di riconoscergli questo desiderio – e la constatazione di restare comunque sempre ai bordi del quadro, fuori dal gioco – l’esistenza dell’enunciatario ha la qualità del residuo –.
Ora, sembra che la vera posta in gioco di un libro come Dentro lo sguardo sia proprio il desiderio di lavorare su una serie di contraddizioni per riuscire a fermarsi sui limiti dei testi, per vedere all’opera quei meccanismi di libertà e costrizione operativi in ogni atto di comunicazione simbolica, di presa di parola, di interpellazione, per trattenersi ancora in quello spazio mediano tra la raffigurazione dei ruoli e l’intervento dei corpi, dove si colgono meglio le dinamiche di cattura e fuga del – e dal – linguaggio che contribuiscono a costituire gli individui nella loro identità, i soggetti per ciò che sono.
È il critico da parte sua si trova quindi a disposizione una descrizione precisa degli interventi spettatoriali ma contemporaneamente un ragionamento che trattiene lo spettatore ai margini.
Il fatto importante è che la semiotica enunciazionale mette a disposizione degli interpreti una serie di nozioni che nel campo propriamente critico non necessitano di applicazioni concrete per fare sentire su quest’ultimo il proprio peso.
Dalla metà degli anni ottanta, anche all’interno delle recensioni specializzate si assiste a un crescente ricorrere alla nozione di spettatore: si apre uno spazio per un certo tipo di discorso che fa leva su dei distinguo – resi possibili dalla coppia concettuale enunciato/enunciazione – tra discorso del film e discorso nel film. Più in generale, aumenta l’utilizzo di schemi personificanti su elementi come il montaggio, l’angolo di ripresa, i movimenti di macchina, i quali, a loro volta, vengono considerati caratteristiche della manifestazione testuale capaci di generare effetti immediatamente perlocutivi sui destinatari.
Certo, non si può dire che tutto ciò è direttamente correlabile all’influenza di un solo libro, ma si può comunque sostenere che sotto il sistema palese delle citazioni, sotto il gioco di prestiti e furti di porzioni della teoria utilizzati e misletti come pezze d’appoggio per il discorso interpretativo, esiste almeno un altro livello di rapporto critica-teoria, composto da dinamiche implicite, percorsi tortuosi, spostamenti imprevedibili. Esiste un piano sul quale l’influsso della teoria si fa sentire in modo mediato, sul quale si può dire soltanto che l’influenza teorica si percepisce ma non si vede: si percepisce in un certo modo di utilizzare certe nozioni, nella non necessità di richiamare precisazioni qualche anno fa indispensabili, nel cambiamento quantitativo e qualitativo dei riferimenti.
Se quindi si è insistito tanto sull’inconciliabilità tra teoria e critica, era per rimarcare gli effetti di distorsione inevitabili nel loro incontro, per rilanciare il problema in un contesto di maggiore complessità dei rapporti, per sottolineare che gli spostamenti di sapere esplicitamente eseguiti da un piano enunciativo ad un altro sono solo il segmento visibile di un’attività sotterranea più vasta e indeterminata, ma altrettanto centrale in una ricognizione storico culturale.
Sotto i primi livelli esistono giochi di scambio meno confessabili. Esistono dei campi di concomitanza rispetto ai quali gli enunciati di un gruppo non hanno alcun bisogno di entrare visibilmente in un altro gruppo per fare sentire la propria forza, perché questa forza ha già un’attività effettiva nel campo degli enunciati del secondo gruppo svolgendo la funzione – volta per volta differente – di un insieme di premesse accettate per il ragionamento, di istanze superiori, di modelli nei quali trasferire disinvoltamente vari contenuti, di punti di appoggio che rendono superflue ed eccessive talune specificazioni.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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