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Lo spetttaore come agente attivo del film

Lo spetttaore come agente attivo del film



Come è noto questo libro lega la propria impostazione ad una triplice metafora: l’idea che il film segnali l’esistenza dello spettatore, che gli assegni un ruolo e che gli faccia percorrere un tragitto. Fin da subito è in gioco una duplice preoccupazione:
- da una parte evitare una concezione dello spettatore come recettore amorfo, passivo davanti alle immagini, marginale rispetto alle figure di significazione;
- dall’altra parte incasellare l’immagine spettatoriale all’interno di una serie di coordinate ben solide, vederlo all’opera nel suo costituirsi come prodotto di forze che si generano altrove.
Lo spettatore quindi come agente attivo, ma anche come figura determinata e prevista.
Il libro non si occupa di atti interpretativi concreti, non di come lo spettatore costruisce il film, ma piuttosto di come il film costruisce il proprio spettatore. A questo proposito esistono luoghi forti, categorie di sguardi, figura vicarie, che nel momento stesso in cui segnalano il farsi e il darsi del film, segnano anche una traccia sulla quale si può modellare il simulacro spettatoriale.
È però anche in gioco uno statuto ambiguo di figure come quelle dell’Enunciatore e dell’Enunciatario, i cui rapporti sono stretti e complessi. Ciò su cui qui interessa insistere è la natura sfuggente del ricettore, di ciò che sta a valle del processo comunicativo: un’istanza in bilico tra realtà di diritto e realtà di fatto, tra la chance di un’autodeterminazione e lo scacco dato dall’essere pedina di un gioco altrui – quello dell’Enunciatore che si affaccia sui bordi del testo, crea il proprio interlocutore e se ne serve per autodefinirsi, di darsi un’identità –; la soggettività è il risultato di contrattazioni e processi complessi sull’asse IO – TU.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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