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Il percorso di interpretazione del critico cinematografico


Il percorso dell’interpretazione è segnato, ma all’interprete viene lasciata una certa libertà operativa. Il critico deve disporre di una serie di nozioni ma deve anche avere una sensibilità adatta a capire quali tipi di nozioni extratestuali ed extra-artistiche sono adatte ad entrare in relazione con il film creando significati attendibili, attuali e percepiti come rilevanti dal maggior numero di lettori possibile. Ancor oggi la critica sembra non poter fare a meno dell’individuazione delle tematiche come elemento base dei propri ragionamenti.
Che si tratti di nominare esplicitamente o meno la parola “tema”, che sia in gioco una capacità di trovare argomenti sempre percepiti come attuali o vicini a ciò che ci ostiniamo a chiamare la sensibilità postmoderna, la cosa accomunante è lo sforzo di individuare unità tematiche in grado di funzionare da appoggio per ipotizzare altri significati. più una tematica sembra interagire bene con altre zone di discorso, più l’individuazione risulterà pertinente e attuale.
Il campo dei temi è sempre in espansione, ma per ogni tema che diventa rilevante ce ne è un altro che passa nel dimenticatoio. I temi cambiano sotto la modificazione costante del contesto costituito dalle altre suggestioni culturali, ma c’è almeno un tema che dimostra una stabilità in scalfibile: la riflessività.
Abbiamo già incontrato questo concetto centrale sia nel primo capitolo con la teoria metacinematografica di Bruno, sia nel secondo a proposito delle analisi sistematiche; si tratta ora di verificare l’operatività della riflessività sul campo dell’interpretazione.
Oggi, il concetto di autoriflessività è passato indenne attraverso le turbolenze politiche degli anni ’70 e ha dimostrato di essere ancora di grande attualità anche all’interno dei discorsi sul cinema di oggi e di ieri, rivelandosi adatto per lo sperimentalismo politico di Godard, per le riflessioni metasociologiche di Warhol, come per i ludici disincanti della cinematografia neo-manierista contemporanea. Il tentativo di Bruno di identificare nell’elemento metalinguistica il tratto più specifico del cinema odierno sta a dimostrarlo.
Oggi siamo più propensi ad accettare l’autoriflessività come qualcosa di così penetrato nel nostro modo di pensare da sembrare un destino.
Già Jakobson aveva teorizzato la centralità della funzione poetica nella formazione dell’opera d’arte e l’aveva individuata nella nozione di Principio d’equivalenza spostato dall’asse della selezione all’asse della combinazione, cioè un principio intratestuale che marcasse l’opera attraverso un gioco dei segni a sua volta destinato ad accentuare l’attenzione sulle caratteristiche formali della comunicazione.
Stam individua tre tendenze tra le molte possibili:
- una riflessività ludica – da Borges a Keaton, a certe sit-com –;
- una riflessività aggressiva – tipica delle avanguardie storiche, dell’Age d’Or –;
- una riflessività didattica – la fiction materialista e brechtiana di Godard, Berger, Tanner.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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