Il processo di interpretazione della critica
Mentre la costruzione di significati referenziali ed espliciti riguarda il processo di comprensione, la costruzione di significati impliciti e sintomatici costituisce il processo di interpretazione vero e proprio. Un significato per essere attivo all’interno di una interpretazione deve essere quantomeno messo in relazione a qualcos’altro; inoltre il critico deve mostrare che le correlazioni che si vengono a creare che si vengono a creare tra i significati messi in evidenza e determinate porzioni di film sono appropriate.
Per Bordwell un’interpretazione si trova a fare i conti con almeno quattro problemi:
- dell’appropriatezza. Il critico deve fare in modo che il film risulti degno di essere considerato in modo specifico.
- della corrispondenza tra le unità di analisi e le unità testuali. Il critico deve costruire un discorso che almeno dia l’impressione di essere correlato in qualche modo alla realtà del film.
- dell’originalità. L’istituzione non incoraggia l’utilizzo pedissequo delle idee degli altri; è uno dei motivi per cui chi scrive articoli o saggi riferendosi più che altro al già detto viene spesso accusato di aver fatto un lavoro puramente compilativi. Ci si aspetta quindi che l’interprete utilizzi metodi nuovi, si riferisca a metodi conosciuti ma in modo originale o in riferimento a materiale mai esplorato con quei metodi, che metta in rilievo aspetti di un film precedentemente ignorati o trascurati dalla tradizione.
- della plausibilità che riguarda le strategie attraverso le quali il critico rende persuasivo il proprio discorso. Si tratta della dimensione retorica in senso stretto, su cui ci siamo soffermati in precedenza.
Sono questi gli scopi ai quali l’istituzione considera che i singoli critici debbono rapportarsi.
È chiaro che data la varietà dei significati riportabili alle quattro categorie viste in precedenza, al critico sono possibili molte mosse interpretative. Così si può dare il caso che due critici siano in disaccordo non solo sul significato da dare ad una sequenza specifica, ma anche che lo siano sul tipo di significato da attribuirle; o che si sia d’accordo sul valore letterale o metaforico di un elemento testuale ma non la si pensi nello stesso modo per quanto riguarda la natura sintomatica o implicita del medesimo.
Se da una parte sembra possibile giocare con un numero infinito di temi e significati, dall’altra è vero che non tutti i significati, i temi e gli strumenti di analisi del testo sono percepiti dalla comunità in modo ugualmente valido.
Secondo Bordwell esistono due momenti nella storia dell’interpretazione che sono i principali responsabili storici di un’immagine della critica cinematografica intesa come programma di perfezionamento nella ricerca di significati impliciti e di significati sintomatici.
Da una parte abbiamo una tradizione di studi che si fa risalire al salto qualitativo prodotto dai critici dei Cahiers nel corso degli anni ’50 e che riguarda il concetto di continuità autoriale: i testi significano assai più di quanto sembrino significare, e questo di più è spesso ancorabile alla nozione di personalità d’autore. Ciò che conta qui è considerare la politica degli autori come il luogo generativo di una serie di atteggiamenti intellettuali rivelatisi produttivi sul piano dell’interpretazione. L’umanesimo sartriano che animava la strategia-Cahiers primo periodo può essere letto come un tentativo di riportare le caratteristiche stilistiche e di messa in scena ad una serie di temi sottostanti, di unità di significato implicito. La consuetudine, oggi data per scontata, con alcuni temi, atteggiamenti critici o forme di enunciazione derivano per lo più da una tradizione che si muoveva nella logica di una interpretazione intesa come spiegazione di significati impliciti legati a doppia mandata al film e al suo autore.
Dall’altra parte esiste una corrente di pensiero che ha della nozione di significato una concezione assai diversa. I film possono significare ben al di la delle possibilità delle inferenze pragmatiche di significati impliciti. All’interprete è possibile capire l’autore molto meglio di quanto faccia l’autore stesso. È spesso questione di mettere fuori gioco l’intenzionalità di un soggetto; soprattutto la voce di un soggetto comincia a funzionare come sintomo di altre voci.
Diventa possibile leggere le opere come le opere come luoghi
contraddittori di incontro tra istanze diverse; certi film presentano
scene che contraddicono il loro messaggio esplicito, altri presentano
tensioni tra la morale implicita e ciò che emerge come un sintomo
culturale. I film vengono rivisitati con gli strumenti della sociologia,
della culturologia, dell’analisi del mito attraverso una concezione
implicita della testualità che all’enfasi sulla coerenza formale
sostituisce l’attenzione alle tensioni interne, alle forze disgregatrici
attive nei confronti dell’opera, senza con questo mettere completamente
fuori gioco la rilevanza dell’autore.
È assai difficile oggi imbattersi in esempi concreti di netta
appartenenza ad una o all’altra delle tradizioni; resta valida però
l’intuizione di considerare queste due scuole come elementi guida sul
piano pratico dell’interpretazione odierna.
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Dettagli appunto:
-
Autore:
Nicola Giuseppe Scelsi
[Visita la sua tesi: "A - Menic / Cinema. Da Dada al Progetto Cronenberg"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo
- Esame: Storia e metodologia della critica cinematografica
- Docente: Franco La Polla
- Titolo del libro: Il linguaggio della critica cinematografica
- Autore del libro: Claudio Bisoni
- Editore: Revolver Libri
- Anno pubblicazione: 2003
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