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I mezzi espressivi della critica cinematografica



Infine si da un altro campo in cui l’insieme della critica risulta sfuggente e riguarda non più i ruoli ma i luoghi dai quali viene tradizionalmente condotto il discorso critico. È il problema delle posizioni istituzionali delle pratiche discorsive, dei luoghi dai quali è possibile prendere la parola. Nel caso della critica cinematografica ci troviamo in una serie abbastanza ampia di spazi adibiti alla pronuncia dell’enunciato interpretativo; sono tre le macroistituzioni – ognuna delle quali si divide in sotto gruppi a diverso grado di formalizzazione e visibilità culturale, e rimanda a diversi tipi di mezzo espressivo impiegato per comunicare il proprio sapere – che tradizionalmente hanno ospitato i suoi discorsi:
- il giornalismo. Ci troviamo di fronte a un critico che prende la parola sui giornali, in televisione, sui settimanali di opinione; l’istituzione che formalmente si fa carico della sua figura professionale è la testata per cui lavora; la sua ruolizzazione ed acquisizione di uno status passa attraverso pratiche deboli come l’iscrizione a qualche associazione professionale o sindacato.
- la saggistica. Abbiamo in genere a che fare con un pubblicista che collabora o svolge attività di redazione per periodici specializzati, che è consulente di case editrici o fa parte del direttivo di qualche festival; il suo luogo di enunciazione è di norma la rivista specializzata stessa o il convegno, il suo luogo di socializzazione è rappresentato da una serie di possibilità aggregative informali, come determinate scuole critiche o la tradizione intellettuale della rivista per cui lavora.
- la ricerca accademica. È il campo più definibile perché rimanda a soggetti che godono di un’investitura ufficiale, di uno status sociale esplicito a cui corrisponde un ruolo caratterizzato da una serie di compiti precisi; il docente universitario pubblica con frequenza su riviste accademiche e in occasione di convegni: il luogo di enunciazione coincide qui in gran parte con il luogo della ricerca e dell’insegnamento.
Riassumendo. Possiamo dire che la fragilità della critica su cui abbiamo insistito finora riguarda più ambiti dell’istituzione. Concerne sia il fatto che, sul piano dell’organizzazione discorsiva interna, non si dispone di criteri abbastanza stabili con cui distinguere ciò che è pura teoria o pura storia del cinema da ciò che invece è solo articolazione del giudizio – in concreto: non sempre è possibile isolare la funzione critica da quella storica e teorica –, né sembra facile individuare un sistema di dispersione e relazione tra oggetti, concetti, strategie, stili, enunciati appartenenti alla stessa categoria letteraria come suggerisce di fare il metodo foucaultiano; sia il fatto che, sul piano esterno della disciplina, non esiste per il critico un ruolo definito una volta per tutte in base ad una serie di competenze specifiche ed uno status sociale sancito esplicitamente e che non è possibile descrivere in modo unitario le posizioni istituzionali d’enunciazione delle proposizioni interpretative.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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