Musica alta e Musica bassa
È fin troppo evidente che in considerazione dell’estrema molteplicità di espressioni del paesaggio musicale odierno, affrontare la tematica in termini di opposizione è poco proficuo e quanto meno pregiudiziale. Pensare alla varietà della realtà musicale che ci circonda contrapponendo una o più produzione/i “colta/e” (d’accademia, erudita, di “alto livello”, dotta eccetera) a una o tante “musiche popolari” (“incolta”, “ordinaria”, di “larga accesso”, “di consumo” eccetera) vuol dire postulare l’esistenza di un “alto” e un “basso” nei fatti di cultura, di un “livello superiore” e uno (o più) “livello/i inferiore/i”, ossia creare una gerarchia di valori sostanzialmente etnocentrica, che riflette l’egemonia politico-economica occidentale. In breve, è l’”accademia occidentale” a stabilire che la “musica colta” (cioè “alta”, “superiore”) è la musica che ad essa appartiene (ed eventualmente le musiche che essa ritiene tali in quanto paiono avvicinarsi alla propria produzione - come nel caso delle cosiddette musiche colte indiane e dell’estremo oriente in virtù del ruolo in queste esercitato dalla scrittura, della presenza di una teoria esplicita
e così via), definendo per converso “popolare” (“bassa”, “inferiore”) tutta la musica estranea ad essa (Su queste tematiche vedi Pelinski 2002; Feld 2004; Becker 1986).
Di suo l’aggettivo “popolare” è indefinibile (quali sono i confini del concetto di “popolo”?) che nella nostra lingua, applicato alla musica ha generato (e continua a generare) un’inestricabile confusione:
«Il termine popolare in italiano può sembrare ambiguo: è popolare la musica del popolo, cioè quella di tradizione orale delle classi sociali storicamente considerate inferiori (contadini, operai, ecc.) ed è popolare la musica a grande diffusione che non è affatto delle classi sociali inferiori, ma appartiene e a tutte le classi». (Baroni 2005:96)
Se si considerano i meccanismi di diffusione della musica, di circolazione e ascolto, se si entra nello spazio virtuale dei mass-media (mediasfera), qualunque musica è o può diventare “popolare” (fruita da chiunque), a prescindere dai meccanismi della sua produzione, trasmissione, esecuzione – fuori e dentro le accademie (è forse necessario richiamare la “popolarità” di autori quali Mozart, Bach, le cui musiche vengono normalmente utilizzate per qualunque fine, compresi jingle pubblicitari e suonerie di telefonini?) (Vedi Facci 2005) Anzi, si potrebbe arrivare alla conclusione paradossale di definire “colte” - nel senso di “riservate”, “elitarie” - certe espressioni musicali che non appartengono alla (o hanno uno spazio affatto marginale all’interno della) mediasfera, e perciò non possono considerarsi “popolari”: penso, per esempio, a repertori come la canzuna alla carrittera, nel passato espressione di classi socio-economiche “inferiori”, la cui fruizione oggi appartiene ad una ristretta cerchia di studiosi e appassionati (magari con l’aggiunta di un pubblico sparso per il mondo di amanti della cosiddetta
world music), ma che certamente non può definirsi come “musica popolare” se si considera la realtà della sonosfera dei paesi siciliani (del palermitano) dove è stata studiata e conosciuta come pratica musicale diffusa fino a una quarantina d’anni or sono.
Per queste ragioni è da evitare del tutto l’uso dell’espressione “musica popolare” (o “musica folk lorica” o “musica etnica” o “musica extracolta”) per riferirsi a espressioni come il canto a tenore, a chitarra e le altre espressioni musicali.
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