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Evoluzione storica dell'etnomusicologia


Fino agli anni Sessanta-Ottanta del Novecento l’etnomusicologia veniva considerata un ramo della musicologia e doveva spesso lottare per conservare una propria identità a fianco della più consolidata e più elitaria musicologia storica. In generale l’etnomusicologia come campo di studi veniva identificata sulla base degli “oggetti musicali” di cui si occupava. Così, nel 1959 Jaap Kunst definiva l’etnomusicologia come lo studio della musica “tribale e folklorica e di tutti i tipi di musica d’arte non occidentali”; per Marcel Dubois (1958) l’etnomusicologia unisce lo studio delle “musiche primitive e tradizionali del mondo intero così come le culture musicali originali di tipo arcaico di tutti i popoli”; per Bruno Nettl (1964) la disciplina studia tutte “le musiche delle società illetterate, le musiche delle culture alte dell’Asia e Africa del Nord, la musica folklorica di tradizione orale delle regioni che sono dominate da culture alte”.
Negli ultimi due-tre decenni la definizione dell’etnomusicologia è radicalmente mutata e la disciplina ha cominciato ad acquisire pari dignità rispetto alla musicologia.
Oggi l’etnomusicologia propone un apparato concettuale molto complesso dal momento che si occupa di realtà musicali di tutto il mondo, appartenenti a culture profondamente diverse. Le “musiche del mondo”, infatti, rappresentano un’indefinibile varietà di espressioni musicali senza alcuna limitazione di tipo formale, ideologica, di appartenenza sociale e così via. Continuamente le pratiche musicali vanno trasformandosi secondo imponderabili linee di cambiamento, mentre “nuove musiche” si vanno generando ovunque. Alle trasformazioni e innovazioni sul piano tecnico-formale si uniscono complesse elaborazioni sul piano simbolico – concettuale – ossia
per ciò che attiene ai significati veicolati dai suoni.

Tratto da I MONDI DELLA MUSICA. LE MUSICHE DEL MONDO. di Elisabetta Pintus
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