La campagna contro gli ebrei. Prima fase: la propaganda.
Contemporaneamente alla retorica dell'Impero, il regime affrontava una fase di rilancio interno e pretendeva di entrare in una fase nuova che doveva coincidere con la costruzione dell'“uomo nuovo”, dell’uomo nuovo fascista consapevole di questa sua nuova identità. Fu in questo contesto che l’incipiente propaganda contro gli ebrei si fuse e si potenziò con la polemica contro la democrazia come sistema, considerata figlia di tutti i mali e le eresie generate dalla Rivoluzione francese, la massoneria, il socialismo, il comunismo.
Se i provvedimenti legislativi e amministrativi contro gli ebrei furono adottati a partire dal 1938, è sicuramente nel corso del 1937 che Mussolini e il regime pervennero alla decisione di dare avvio anche in Italia all’antisemitismo di Stato, ossia alla campagna programmata e sistematica contro gli ebrei.
Nel 1937 venne pubblicata la riflessione su Gli ebrei in Italia di Paolo Orano, uno dei maggiori rappresentanti della cultura fascista. Il libro muoveva dalla denuncia della rivendicazione di un’identità separata ebraica per pervenire a una valutazione riduttiva se non apertamente denigratoria dell'ebraismo italiano. Il messaggio di Orano non era rivolto soltanto agli ebrei e ai sionisti, esso voleva rivolgersi direttamente anche al regime, accusato di un eccesso di tolleranza.
L’attacco di Orano non era soltanto all’ebraismo come tale e al singolo ebreo, esso coinvolgeva l’ebraismo istituzionalizzato attraverso la comunità.
La crisi interna dell’ebraismo si approfondiva parallelamente all’intensificarsi della propaganda antisemita.
Julus Evola, ritenuto uno degli astri teorici del razzismo italiano. Nelle sue opere concepì il concetto di “razzismo spirituale”. Il razzismo spirituale del quale parlava Evola vuole partire dal dato biologico, che gli pare ancora troppo rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento sul piano dello spirito, ovvero sul piano metafisico.
Altra nota voce che si alzò contro gli ebrei fu quella di Giovanni Preziosi.
Preziosi era il direttore di una delle voci più becere e sbracate e più incontrollate e incontrollabili di un vecchio antisemitismo, la “Vita italiana”, e a buon diritto poteva vantarsi di essere stato un antesignano dell’antisemitismo. Il contributo di Preziosi all’antisemitismo italiano non consistette in alcuna elaborazione dottrinale se non nella costanza e nella tenacia con la quale non cessò mai di declinare il tema dell’insidia della cospirazione ebraica; la sua azione fu perciò eminentemente denunciatoria. La sua non era l’elaborazione di una dottrina razzistica, ma la pratica di un metodo propagandistico.
Diverso dalla stile di Preziosi nella campagna contro gli ebrei si mobilita un altro dei giornalisti di regime, esponente di un giornalismo d’assalto, Telesio Interlandi.
Come nel caso di Preziosi, anche l’antisemitismo di Interlandi muoveva da ascendenze cattoliche che presto si saldarono con una oltranzista visione razzista. Interlandi non portò alcun contributo originale all’antisemitismo dal punto di vista concettuale, fu soprattutto un divulgatore dalla penna facile dei suoi slogan più estremisitici.
Nel coro delle voci che agitavano la questione ebraica non potevano mancare voci autenticamente cattoliche.
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