Ebrei e antisemitismo tra emancipazione, nazionalismo e fascismo
Soltanto di recente la storiografia italiana ha cominciato a riflettere seriamente sulle origini e sul percorso di un razzismo italiano, portando in primo piano un rinnovato e quasi inedito interesse per la questione ebraica.
Il razzismo italiano non si qualificò in prima battuta attraverso l’antisemitismo e ciò per il fatto, storicamente fondato, che il pregiudizio contro gli ebrei nella tradizione politico-culturale italiana era di matrice essenzialmente cattolica, esso si rifaceva, cioè, all'antigiudaismo.
Momigliano, un importante storico, nella prefazione alle sue “Pagine ebraiche” scrive:
“Questa strage immane non sarebbe mai avvenuta se in Italia, Francia, Germania non ci fosse stata indifferenza, maturata nei secoli, per i connazionali ebrei. L’indifferenza era l’ultimo prodotto delle ostilità delle chiese per cui la conversione era l’unica soluzione al problema ebraico”.
Nonostante si verificarono episodi di incomprensione per la rivendicazione di una propria identità da parte degli ebrei, l’antisemitismo come fenomeno politico in senso moderno nell'Italia liberale si deve considerare fatto piuttosto sporadico e isolato. L’influenza dello stesso antigiudaismo della Chiesa cattolica risultò circoscritto a un ambito se non ristretto, certamente definito. Ciò non significa che nell'Italia liberale non vi fossero episodi di insofferenza verso gli ebrei, ma essi non ebbero la forza di diventare movimento politico.
Gli ebrei, nell'Italia liberale, non fecero fatica a conservare le loro tradizioni, la loro cultura, i loro rituali e ciò rendeva esplicita l’emancipazione raggiunta.
La posizione degli ebrei nel Regno d'Italia fu caratterizzata dalla spinta all'assimilazione,da una parte, e dalla pulsione a mantenere, se non a sottolineare, gli elementi fondamentali della propria identità, dall’altra.
Nei rapporti con lo Stato l’emancipazione, però, non aveva coperto di per sé tutti i livelli della parificazione agli altri cittadini, perché sussistevano costumi e consuetudini che erano esclusivi e tipici degli ebrei.
Il punto di partenza per la definizione della nuova struttura di rappresentanza degli ebrei italiani fu costituito dalla legge Rattizzi del 1857.
Soltanto con il Codice penale unitario del 1889 vennero parificate tutte le confessioni al rango di culti ammessi e venne fornita loro pari tutela giuridica.
L’unificazione d’Italia non comportò immediatamente l’unificazione dell’organizzazione delle istituzioni rappresentative ebraiche; soltanto col passaggio al nuovo secolo s fece strada l’idea di realizzare una forma di rappresentanza collettiva.
L’emancipazione, come altrove in Europa, tra le altre conseguenze comportò l’accelerazione del processo di inurbamento degli ebrei italiani agevolandone l’accentramento nelle località maggiori e favorendo l’abbandono di quelle minori.
L’atto di nascita del sionismo come movimento politico per il ritorno degli ebrei nella terra di Sion risale alla fine dell'Ottocento; esso era la risposta alla situazione nella quale si venivano a trovare gli ebrei alla fine del secolo: da una parte, le persecuzioni nell'Europa centro-orientale, dall’altra le manifestazioni di antisemitismo nell'Europa occidentale, che erano culminate in Francia con l’affare Dreyfus.
Rispetto alle correnti europee, il sionismo italiano fu un fatto marginale.
Il crescere del nazionalismo italiano comportò la prima esplicita presa di posizione antisemita del nuovo movimento politico.
Il percorso dell’ebraismo italiano verso la piena parificazione fu bruscamente interrotto dal fascismo. La tendenza a identificare ebrei e antifascismo entrò come costante nella polemica dell’estrema ala antisemita del fascismo.
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