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Razzismo anticoloniale e antisemitismo


La conquista coloniale in Abissinia diede l’avvio a una politica di tutela della razza, in quanto la conquista coloniale e il conseguente incontro con le popolazioni africane, poneva il problema della “contaminazione” della popolazione italiana con gli indigeni. La volontà di affermare la superiorità della razza bianca e della civiltà latina provocò l’adozione di normative e pratiche di tipo razzistico.
All’origine della tutela della stirpe si collocano motivazioni di varia natura. Dal punto di vista politico, il primo a sollevare il problema di una tutela della popolazione fu sicuramente il movimento nazionalista. I congressi nazionalisti dell’inizio del secolo XX furono tra le sedi privilegiate in cui fu sollevata la polemica contro l’emigrazione come perdita non solo di ricchezza nazionale (come manodopera) ma anche di parte dell’identità nazionale stessa. Le colonie erano un’alternativa all’eccedenza demografica, esse davano un luogo in cui collocare la popolazione in eccesso sventando il rischio dell’emigrazione.
Bisognava impedire che la razza italiana andasse a rafforzare altre nazioni demograficamente povere.
L’ufficializzazione e la teorizzazione dei nuovi orientamenti demografici è da attribuire a due testi dello stesso Mussolini: il discorso cosiddetto “dell’Ascensione” (26 maggio 1927) e la prefazione che egli scrisse al testo “Regresso delle nascite, morte dei popoli” di Richard Korherr.
Adottando toni quasi apocalittici, Mussolini tracciava un quadro cupo della situazione demografica: “tutta l’Italia cittadina o urbana è in deficit. Non solo non c’è pù equilibrio, ma i morti superano i nati. Siamo alla fase tragica del fenomeno. Le culle sono vuote e i cimiteri si allargano”.
“la potenza militare dello stato, l’avvenire e la sicurezza della nazione sono legati al problema demografico, assillante in tutti i paesi di razza bianca e anche nel nostro. La giornata della madre e del fanciullo, la tassa sul celibato e la sua condanna morale, salvo i casi nei quali è giustificato, lo sfollamento delle città, la bonifica rurale, l'Opera della maternità e infanzia, le colonie marine e montane, l’educazione fisica, le organizzazioni giovanili, le leggi sull’igiene, tutto concorre alla difesa della razza”.
Il filone di cultura che aveva con maggiore continuità anticipato teorizzazioni di tipo razzistico era per l’appunto quello legato all’africanistica, in cui una tradizione alimentata soprattutto da antropologi ed etnografi aveva fatto circolare, assai prima della conquista dell'impero, stereotipi improntati non a un generico senso di superiorità dei bianchi sui neri, ma a paradigmi di vero e proprio razzismo biologico.
Sul terreno della medicina, l’inferiorità  biologica dei negri fu al centro della pubblicistica antiegualitaria di Giorgio Alberto Chiurlo, docente di patologia chirurgica.
Cipriani, un antropologo, suggerì le modalità per impedire che tra le due razza (bianca e nera) si realizzasse qualsiasi forma di commistione.
La contemporaneità di questi fatti con l’avvio della campagna contro gli ebrei non era di certo casuale.
In questo contesto, l’inserimento, nel 17 novembre 1938, dei Provvedimenti per la difesa della razza italiana nel quadro della campagna contro gli ebrei che proibivano il matrimonio tra cittadini italiani di razza ariana e “persone appartenenti ad altra razza”, perfezionava e generalizzava il principio contenuto nel decreto del 1937, il quale puniva penalmente il matrimonio tra razza bianca e razza nera.
Fu previsto il nuovo reato di “LESIONE DEL PRESTIGIO DELLA RAZZA”.
Bisogna ribadire il nesso tra legislazione razzista contro gli indigeni e legislazione antiebraica e sottolineare il clima di fanatismo e di odio razzista che si voleva instaurare nel paese, rendendo più credibile e quasi accettabile la lotta contro gli ebrei come gruppo minoritario razzialmente diverso.

Tratto da IL FASCISMO E GLI EBREI di Antonino Cascione
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