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Il cibo: per gli dei, contro gli dei


Nutrimento per il corpo secondo i materialisti, per la mente secondo i simbolisti, il cibo diventa un medium importante nella comunicazione con il sacro: gli uomini hanno sempre pianificato offerte agli dei in forma di cibo. Per esempio, nel culto afrobrasiliano del candomblé keto si usa offrire cibo agli orixas, le divinità, che mangiando si ricaricano di una nuova energia, ma devono ricevere un determinato cibo in determinati giorni della settimana: ogni santuario è fornito di cucina di modo che il fedele possa preparare i piatti preferiti dalla divinità a cui si vuole rivolgere l’offerta.
Si ritrovano pratiche di offerta alimentare in molti culti tradizionali: molti luoghi di culto sono caratterizzati da oggetti, statuette, manufatti che rappresentano la divinità, reificandolo, rendendolo talmente tanto materiale che dev’essere anche nutrito.
Anche il digiuno diventa un mezzo di comunicazione con il sacro, praticato tra i nativi americani, in Africa, tra gli sciamani dell’Asia e delle Americhe. L’astinenza è quasi sempre interpretata come pratica purificatoria, come sacrificio che dev’essere sopportato per liberarsi del piacere e delle scorie del cibo. Il fine è raggiungere uno stato di eccezione, che allontani dalla pratica quotidiana per avvicinarsi a una verità sacra: infatti è spesso accompagnato dalla preghiera e dalla meditazione, e diventa l’espressione della capacità di sacrificio e autocontrollo dell’individuo. Nella società occidentale, invece, il non mangiare viene interpretato come patologia, come nel caso dell’anoressia.
Le religioni, spesso, non impongono solo divieti, ma anche regole di consumo di determinati cibi, come per i musulmani che devono mangiare la carne solo se l’animale è stato sgozzato quando era ancora vivo e se il sangue è defluito completamente dal suo corpo.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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